La parola più abusata sul proscenio nazionale italiano è sicuramente “Riformista”. Chi scrive fa parte di una generazione che quando attuava il riformismo correva il rischio di finire in una lista di soggetti pronta ad essere “gambizzata” da squadre che si dicevano rivoluzionarie. Oggi questo nobile termine della filosofia politica è stato preso in ostaggio da quasi tutti. Esiste, per chi non lo sapesse ancora il Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei. Una contraddizione in termini in quanto o si è conservatori oppure riformisti. Nella dichiarazione di Reykjavík del 21 marzo 2014 questo partito ha definito la base ideale e programmatica su cui si fonda la sua azione. Con l’alibi e l’abuso di questa parola si è toccato il fondo in quanto l’unica leva che è stata toccata è quella di buttare via soldi in quantità industriale. Sono anni nei quali, aumentando la spesa pubblica, arrivata ad oltre 1.100 miliardi di euro, si regalano a gruppi ben identificati di soggetti sociali un po’ di soldi a pioggia senza che ciò determini un vero e proprio investimento produttore di ricchezza. L’abuso principale sta in una parola che ci porterà al collasso: “bonus”! Nessuna forza politica si è sottratta a questo sperpero di denaro dei contribuenti. Quest’ultimo governo ha varato quello sul lavoro, quello per le assunzioni senza scadenza di giovani, quello per le donne e un altro per il sud. Poi ci sono i bonus per aziende in crisi, gli incentivi all’autoimprenditorialità, fondi da 30 a 50 mila euro per l’acquisto di beni per l’avvio di attività. Senza parlare di quelli cambiati in corso d’opera come il bonus sulle famose tredicesime subito cambiato in bonus Befana in quanto sarà erogato a gennaio prossimo. In estrema sintesi pare che ce ne siano, ormai, più di 600, una vera follia ed il loro costo complessivo si aggira su circa 150 miliardi di euro l’anno. La cosa buffa, se non fosse tragica, è che questa è l’unica linea di politica economica tenuta da tutti: aumento della spesa pubblica. La cosa è così senza senso in quanto è legata alla sola annualità del bilancio in corso, infatti per confermare gli scomputi fiscali del 2024 per il 2025 dovranno rastrellare una ventina di miliardi che non si sa dove li potranno pescare. Dopo la follia del superbonus edilizio al 110%, checché ne dicano, voluto da tutti ecco che un altro sta emergendo il superbonus del 120% per tutte le assunzioni a tempo indeterminato e al 130% per chi ingaggia lavoratori “svantaggiati”. La cosa strana e che, in questo momento, le aziende faticano a trovare manodopera per cui non si comprende il provvedimento. Da Renzi a Meloni è stato sempre e solo battuto questo tasto stonato.
Nel mondo sindacale il massimalismo di Landini della CGIL a cui ha aderito in modo ancillare Bombardieri della UIL cozza contro una visione costruttiva e veramente riformista della CISL di Luigi Sbarra che, da sola, si è fatta carico di due elementi che, se realizzati, daranno vigore alla ripresa economica nazionale. Il primo riguarda l’attuazione all’articolo 46 della Costituzione, nato per rafforzare il protagonismo dei lavoratori nella vita economica del Paese, seguendo la direzione, del modello tedesco che va dalla partecipazione alle decisioni, agli utili, fino alla stessa organizzazione delle imprese con una raccolta di firme a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare di cui quasi nessuno parla. La seconda, invece, riguarda la decisione di offrire una sponda politica alla Cisl nel suo essere l’unica voce fuori dal coro massimalista e bonista. In questa ennesima narrazione che si potrebbe definire dei sogni o più efficacemente come “bonus economy” si dovrebbe prendere atto che la voragine fiscale che si è creata fra lavoratori autonomi e dipendenti è un macroscopico errore che, oltre ad essere anticostituzionale, ha creato un circolo vizioso in cui chi incamera più di 40.000 euro lordi convenga sia all’azienda e sia al lavoratore modificare l’attuale rapporto di lavoro e trasformarlo in uno a partita IVA, la qual cosa sta già avvenendo con un danno incalcolabile. Senza dimenticarci del gravissimo problema delle retribuzioni fra le più basse dell’intera Europa con una politica cieca che grava solo sul basso costo del lavoro e della pluridecennale confusione nel sistema pensionistico dove la voce “assistenza”, che costa ben 140 miliardi l’anno, grava sulla voce delle pensioni.

QOSHE - Quale riformismo - Raffaele Romano
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Quale riformismo

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06.05.2024

La parola più abusata sul proscenio nazionale italiano è sicuramente “Riformista”. Chi scrive fa parte di una generazione che quando attuava il riformismo correva il rischio di finire in una lista di soggetti pronta ad essere “gambizzata” da squadre che si dicevano rivoluzionarie. Oggi questo nobile termine della filosofia politica è stato preso in ostaggio da quasi tutti. Esiste, per chi non lo sapesse ancora il Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei. Una contraddizione in termini in quanto o si è conservatori oppure riformisti. Nella dichiarazione di Reykjavík del 21 marzo 2014 questo partito ha definito la base ideale e programmatica su cui si fonda la sua azione. Con l’alibi e l’abuso di questa parola si è toccato il fondo in quanto l’unica leva che è stata toccata è quella di buttare via soldi in quantità industriale. Sono anni nei quali, aumentando la spesa pubblica, arrivata ad oltre 1.100 miliardi di euro, si regalano a gruppi ben identificati di soggetti sociali un po’ di soldi a pioggia senza che ciò determini un vero e proprio investimento produttore di........

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