L’indagine sembra muoversi sul sottile crinale che divide l’attività politica, svolta per venire incontro ai legittimi interessi di coloro che regolarmente finanziano l’attività governativa (peraltro tramite regolari bonifici), dalla corruzione
La presenza di tanti casi giudiziari di presidenti di Regione indagati, sputtanati mediaticamente e poi assolti (da Pittella a Fontana, da Oliverio a De Luca, da Zingaretti a Bonaccini), come ben evidenziato da Enrico Costa, impone di valutare con molta prudenza le accuse che ieri hanno travolto il governatore della Liguria, Giovanni Toti. Anche in quei casi, le accuse mosse dai magistrati inizialmente erano apparse granitiche, salvo poi sgretolarsi in sede di giudizio, spesso addirittura ancor prima di andare a processo. Le modalità con le quali, poi, è stata attuata la misura di custodia cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di Toti (eseguita a cinque mesi di distanza dalla richiesta della procura genovese, in piena campagna elettorale per le europee, e nonostante ciò notificata al diretto interessato alle tre del mattino, neanche si fosse di fronte a un lestofante in procinto di fuggire all’estero) riportano purtroppo all’attenzione alcune storture micidiali del nostro sistema giudiziario.
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Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]