Basta poco per finire nel mirino delle mafie. Non servono eroi o etichette di antimafia. Basta compiere quotidianamente il proprio dovere, di magistrato o di sacerdote. È accaduto nei giorni scorsi sotto diversi cieli, in Puglia e Calabria, ma in territori dove la presenza della criminalità organizzata, sacra corona unita e ‘ndrangheta, è ugualmente rivendicazione violenta di potere, anche contro Diritto e Vangelo e contro chi li applica con impegno e dedizione.

La testa di agnello mozzata fatta trovare davanti alla porta di casa della gip di Lecce, Maria Francesca Mariano e l’auto bruciata al parroco di Varapodio, don Gianni Rigoli, parlano la stessa lingua, quella della violenza per rivendicare il controllo del territorio anche contro Giustizia e Chiesa. Decidono loro, i mafiosi, e non tollerano chi, coi fatti, si oppone a ingiustizie e soprusi. Sia magistrati che parroci. Basta poco, basta una sentenza non gradita, ritenuta eccessiva, basta ricordare, prima con cortesia poi anche con fermezza, che i riti religiosi non sono occasione di esibizione di potere. E scatta la reazione che, se ripetuta, come per questi casi (tre in cinque mesi per la magistrata, due in due settimane per il sacerdote), significa che si sono toccate “regole” che erano considerate intoccabili.

Le “leggi” delle mafie, non le Leggi di Dio e di uno Stato democratico. Ancor di più se il magistrato è donna o se il sacerdote è della stessa terra dei mafiosi (purtroppo in Calabria ci sono stati invece casi di preti collusi e condannati). Anche in questa fase che vede le mafie più silenziose, impegnate più a fare affari e a tessere rapporti con la politica e l’economia, in Italia e all’estero, meno “boom” e più “clic” di computer, non dimenticano di far capire che ci sono, anche in modo eclatante. Con i vecchi metodi delle teste mozzate di capretto o delle fiamme. “Ci siamo ancora”, dicono, non solo alle vittime ma soprattutto alla gente. Soprattutto quella di casa.

Perché il controllo del territorio, fondamentale anche per le mafie globalizzate, richiede consenso che si ottiene a colpi silenziosi di favori, soprattutto dove i diritti sono poco garantiti, ma se serve anche a colpi rumorosi di kalashnikov. Contro chi, facendo il proprio dovere, ricorda solo quali sono i veri valori di una democrazia che si basa sui diritti, la convivenza, la solidarietà, la responsabilità. Uomini e donne di Giustizia e di Fede. Come i due martiri uccisi dalle mafie per aver fatto bene il loro lavoro in nome della Costituzione e del Vangelo, per aver fatto il proprio dovere. Rosario Livatino e don Pino Puglisi, un magistrato e un sacerdote.

ISCRIVITI ALLE NEWSLETTER DI AVVENIRE

ARGOMENTI:

QOSHE - Minacce Teste d'agnello e auto bruciate: le mafie ancora contro giudici e sacerdoti - Antonio Maria Mira
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Minacce Teste d'agnello e auto bruciate: le mafie ancora contro giudici e sacerdoti

7 15
05.02.2024

Basta poco per finire nel mirino delle mafie. Non servono eroi o etichette di antimafia. Basta compiere quotidianamente il proprio dovere, di magistrato o di sacerdote. È accaduto nei giorni scorsi sotto diversi cieli, in Puglia e Calabria, ma in territori dove la presenza della criminalità organizzata, sacra corona unita e ‘ndrangheta, è ugualmente rivendicazione violenta di potere, anche contro Diritto e Vangelo e contro chi li applica con impegno e dedizione.

La testa di agnello mozzata fatta trovare davanti alla porta di casa della gip di Lecce, Maria Francesca Mariano e l’auto bruciata al parroco di Varapodio, don Gianni Rigoli, parlano la stessa lingua, quella........

© Avvenire


Get it on Google Play