Non passa giorno e non va in onda telegiornale senza che veniamo investiti dalle immagini e dai racconti della violenza che imperversa nel mondo, sia che si tratti della violenza interpersonale, che sfocia nei casi più drammatici nella aggressione fisica e nella uccisione, ma anche in forme più subdole di violenza psicologica, sia che si tratti della violenza delle guerre e dei terrorismi. Una distruttività e una strage drammatica e continua che lasciano il segno e che vengono amplificate dalla comunicazione di massa.

Secondo un sondaggio di Demopolis ciò che resta nella memoria dell’anno 2023 è per il 60% degli italiani l’uccisione di Giulia Cecchettin, e i fatti che nel mondo hanno segnato il 2023 sono per l’80% l’attacco di Hamas e la risposta di Israele, e per il 66% il perdurare della guerra in Ucraina. E questo tipo di sentimento trova conferma nei dati: dai 103 femminicidi del 2023 in Italia, ai 500mila soldati russi e ucraini morti in combattimento, ai 10 mila civili vittime dell’aggressione russa all’Ucraina, ai mille e 200 israeliani vittime dell’atto terroristico di Hamas, fino ai 20 mila civili morti a Gaza.

La percezione del peso della violenza e della distruttività anche nella realtà sociale attorno a ciascuno di noi è confermata da molti altri dati, come quelli del recente Rapporto di “Save the Children” sugli adolescenti, secondo i quali più di un adolescente su due, tra quelli che hanno un partner o un fidanzato, ha subito comportamenti lesivi o violenti. La consapevolezza e lo sdegno si riflettono nella partecipazione alle manifestazioni di piazza contro la violenza di genere (secondo gli organizzatori più di 500 mila a Roma il 25 novembre scorso) e contro la guerra (molte migliaia in varie occasioni nelle ultime settimane).

Nonostante tutto ciò non si scorgono segnali nella direzione del superamento di tanto orrore, e fa riflettere il fatto che, al di là degli attivisti e di chi manifesta in piazza, esista una maggioranza silenziosa, che in molti casi condivide lo sdegno, ma rimane decisamente inerme.

Certo è che per tutti vale la difficoltà a comprendere come sia possibile che nel XXI secolo esistano tanto odio e tante forme di aggressione, sopraffazione e distruzione nei confronti dei propri simili. A livello di scienze sociali, numerosi sono le analisi che hanno cercato di spiegare la violenza nelle società moderne, in particolare nel corso del ‘900 e dopo gli scempi dell’olocausto e delle altre forme di persecuzione di massa.

In estrema sintesi, i due filoni interpretativi principali rimandano il primo alla psicologia e alla psicanalisi e il secondo alle scienze sociali ed economiche. Ma sono importanti anche i contributi dell’antropologia e della scienza politica. Secondo la scuola psicanalitica e gli importanti contributi di Sigmund Freud, Eric Fromm e di tanti altri, fino ai nostri Vittorino Andreoli e Massimo Recalcati, la violenza degli umani risponde a una pulsione interiore che occorre dominare.

Il fatto che la pulsione distruttiva si rivolga, come nel caso dei femminicidi, verso una persona “amata”, peraltro, pone la specie umana in discontinuità rispetto alle altre specie animali, nelle quali, come ci spiega l’antropologia, la violenza all’interno del proprio gruppo di appartenenza non esiste o è fortemente scoraggiata, mentre sussiste per la sopravvivenza nei confronti di altri gruppi. Secondo la sociologia e l’economia, ci sono soprattutto le condizioni di contorno, economiche e sociali, l’emarginazione ma anche la cosiddetta economia di guerra, alla base di molte forme di violenza, sia quella dei gruppi criminali che quella delle aggressioni tra stati e popoli.

Le analisi socio-politiche del periodo più recente considerano, accanto alle pulsioni della psiche umana e alle motivazioni sociali ed economiche, il contributo che le forme estreme di ideologia identitaria forniscono alla violenza di gruppo e a quella di tipo geo-politico, fino agli estremi dei genocidi, come indicato dalle riflessioni di Amartya Sen.

Ma le interpretazioni scientifiche sull’origine del male poco ci aiutano rispetto alle possibili vie d’uscita, e continuiamo a non capire perché la pace e cooperazione, pur sostenute e declamate a molti livelli, non riescano a diventare modello e valore condiviso da contrapporre alla violenza e all’aggressività. Nella dimensione micro delle nostre città e dei nostri quartieri ci eravamo illusi che la crescita del benessere e dell’istruzione avrebbe annullato le spinte al conflitto violento. Nella dimensione macro della politica europea e mondiale parimenti pensavamo che, almeno in Europa, la pace fosse una conquista irreversibile, e che il dialogo e la concertazione avrebbero soppiantato la guerra come metodo di risoluzione dei conflitti. Ma così non è stato.

Occorre quindi immaginare un salto di qualità rispetto al dramma della violenza e dell’aggressività, che non può che partire dai valori più alti dell’umano, quelli della giustizia e della cooperazione, contro gli istinti primordiali e gli egoismi, sia individuali che di gruppo e di popolo. E ciò potrà avvenire solo se saremo capaci di diffondere una cultura che valorizzi la dimensione spirituale ed etica dell’esistenza, la cooperazione, l’amore e il rispetto.

Il comune sentire rispetto ai mali del pianeta e alla irresponsabilità di uno sviluppo economico e sociale contrario alla giustizia intergenerazionale può costituire uno dei collanti principali di questa nuova cultura. La partecipazione dal basso alle scelte di politica, di comunità e di cultura ne sono uno ulteriore. La valorizzazione della buona scienza e l’uso eticamente sostenibile delle tecnologie allo scopo di promuovere la dignità ed il benessere umano ne sono il terzo. Con una premessa importante: come esseri umani siamo dotati di libero arbitrio e possiamo scegliere, sia nella vita privata e nei rapporti interpersonali che in quella di comunità e nei rapporti politici e sociali, quale sia la strada da percorrere e quali i valori da perseguire per un futuro dell’umanità e del pianeta liberato dalla violenza.

ISCRIVITI ALLE NEWSLETTER DI AVVENIRE

ARGOMENTI:

QOSHE - Società Educare alla cooperazione e all’amore come antidoto a odio e violenza - Carla Collicelli
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Società Educare alla cooperazione e all’amore come antidoto a odio e violenza

4 7
11.03.2024

Non passa giorno e non va in onda telegiornale senza che veniamo investiti dalle immagini e dai racconti della violenza che imperversa nel mondo, sia che si tratti della violenza interpersonale, che sfocia nei casi più drammatici nella aggressione fisica e nella uccisione, ma anche in forme più subdole di violenza psicologica, sia che si tratti della violenza delle guerre e dei terrorismi. Una distruttività e una strage drammatica e continua che lasciano il segno e che vengono amplificate dalla comunicazione di massa.

Secondo un sondaggio di Demopolis ciò che resta nella memoria dell’anno 2023 è per il 60% degli italiani l’uccisione di Giulia Cecchettin, e i fatti che nel mondo hanno segnato il 2023 sono per l’80% l’attacco di Hamas e la risposta di Israele, e per il 66% il perdurare della guerra in Ucraina. E questo tipo di sentimento trova conferma nei dati: dai 103 femminicidi del 2023 in Italia, ai 500mila soldati russi e ucraini morti in combattimento, ai 10 mila civili vittime dell’aggressione russa all’Ucraina, ai mille e 200 israeliani vittime dell’atto terroristico di Hamas, fino ai 20 mila civili morti a Gaza.

La percezione del peso della violenza e della distruttività anche nella realtà sociale attorno a ciascuno di noi è confermata da molti altri dati, come quelli del recente Rapporto di “Save the Children” sugli adolescenti, secondo i quali più di un adolescente su due, tra quelli che hanno un partner o un fidanzato, ha subito comportamenti lesivi o violenti. La consapevolezza e lo sdegno si........

© Avvenire


Get it on Google Play