L’incisiva nota dei vescovi delle diocesi di Sicilia riaccende i riflettori sull’autonomia differenziata e, con essa, sull’eterna questione meridionale che il ddl voluto dal governo Meloni (e soprattutto dalla componente leghista) potrebbe ora anche accentuare. Ma che – va parimenti detto – nemmeno decenni di promesse politiche e di investimenti annunciati (e in buona parte spesi con risultati non all’altezza, evidentemente) hanno contribuito ad alleviare.

L’approfondita analisi evidenzia criticità che permangono nel disegno di legge e si affianca a una prima considerazione da fare: il riscatto del Mezzogiorno passa innanzitutto attraverso l’esigenza di non avere una tensione a intermittenza, una sorta di urgenza sporadica legata ora al varo dell’autonomia, ora all’efficacia nell’impiego dei fondi dedicati – prima di Coesione e oggi anche quelli aggiuntivi del Pnrr –, ma soprattutto di un’attenzione e di una cura costanti nel tempo. Al pari di quelle che vanno riservate a tutti i Sud del mondo, storicamente trascurati, salvo scoprirne poi la rilevanza al manifestarsi di crisi socio-politiche epocali.
Sui ritardi del nostro Mezzogiorno e sulle loro cause, in particolare, sono stati prodotti a centinaia studi e volumi, per non dire dei continui riferimenti fatti pressoché da ogni presidente del Consiglio nei discorsi programmatici. L’asimmetria è atavica, quindi. Il centrodestra appare determinato ad andare fino in fondo e solo il tempo potrebbe dire se questo disegno autonomista sia in grado di avviare una qualche inversione di rotta, come sostengono i promotori, o dare invece corpo a quelle che i vescovi siciliani e non solo definiscono «preoccupanti spinte secessioniste istituzionalizzate» (sospetto, peraltro, che alcune uscite infelici del ministro Calderoli autorizzano a ipotizzare).

Quel che è certo, già oggi, è che la quotidianità del Sud sia composta da una comunità di persone rispettosa delle regole e dello Stato e anche da una classe d’imprenditori nella quale non mancano esempi d’eccellenza. Eppure, l’affermarsi di un’impresa nelle regioni meridionali continua a essere frenata da molteplici fattori. Due in particolare. Il primo è quello, materiale, di una carenza di opere pubbliche che la mancanza di una visione d’insieme, da parte di uno Stato centrale che non ha saputo “cucire” politiche fatte su misura di uno specifico territorio, non ha colmato malgrado decenni di Casse per il Mezzogiorno e di programmi straordinari. Tuttora i trasporti (dai treni agli scali aeroportuali), le telecomunicazioni, la logistica scontano ritardi a tutti evidenti. Il secondo, però, è quello del clima culturale e legalitario di riferimento, che è parte del nutrimento necessario per far fiorire un’azienda: sono evidenti e noti a tutti esempi di attività imprenditoriali sorte più per accedere a qualche beneficio o sgravio occasionale (magari concessi anche dal politico compiacente di turno) che per essere preimpostate in modo da durare nel tempo. Risultato di tutto ciò è che gli occupati nel Sud sono meno di 30 anni fa.

Se lo Stato ha fallito finora, molto lo si deve al fatto che mancano queste due pre-condizioni. L’allora premier Mario Draghi (ecco tornare i discorsi programmatici) parlò nel 2021 della necessità di «creare un ambiente dove legalità e sicurezza siano sempre garantite», oltre che di irrobustire le amministrazioni locali. Ovunque nel mondo far sviluppare un’impresa presuppone sì l’investire, ma ancor più il saper creare un ambiente favorevole alla libera iniziativa privata. Un’iniziativa che, al Sud, farebbe bene poi a non trascurare anche quel mondo del privato sociale dove non mancano esperienze felici (basti ricordare il “Progetto Policoro” della Cei, attivo in tante regioni, o l’esperienza della Fondazione Con il Sud) da far progredire.

Non tutto è negativo, insomma: d’altronde regioni come Puglia e Campania hanno Pil non trascurabili, superiori a Stati dell’Ue come Ungheria e Romania.
Il Sud continuerà a restare una “questione” italiana, insomma, se lo Stato non saprà ragionare con una logica di stimoli reciproci fra territori virtuosi e altri che lo sono meno. Visione e sostanza. Partendo sempre da una base che è essenzialmente culturale: saper formare uomini e donne desiderosi di crescere insieme, anziché farlo l’uno a scapito dell’altro. Saper unire, non dividere. Ѐ sempre da qui che parte la rinascita di un Paese intero.

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Autonomia differenziata L'eterna questione meridionale: fare crescere ciò che unisce

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07.03.2024

L’incisiva nota dei vescovi delle diocesi di Sicilia riaccende i riflettori sull’autonomia differenziata e, con essa, sull’eterna questione meridionale che il ddl voluto dal governo Meloni (e soprattutto dalla componente leghista) potrebbe ora anche accentuare. Ma che – va parimenti detto – nemmeno decenni di promesse politiche e di investimenti annunciati (e in buona parte spesi con risultati non all’altezza, evidentemente) hanno contribuito ad alleviare.

L’approfondita analisi evidenzia criticità che permangono nel disegno di legge e si affianca a una prima considerazione da fare: il riscatto del Mezzogiorno passa innanzitutto attraverso l’esigenza di non avere una tensione a intermittenza, una sorta di urgenza sporadica legata ora al varo dell’autonomia, ora all’efficacia nell’impiego dei fondi dedicati – prima di Coesione e oggi anche quelli aggiuntivi del Pnrr –, ma soprattutto di un’attenzione e di una cura costanti nel tempo. Al pari di quelle che vanno riservate a tutti i Sud del mondo, storicamente trascurati, salvo scoprirne poi la rilevanza al manifestarsi di crisi socio-politiche........

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