«Costruite, attraverso la vostra offerta, una domanda diffusa di qualità». Parlando al personale e ai dirigenti della Rai, ieri papa Francesco ha messo il dito su un punto nodale della grande crisi dei media, e ha finito per indicare una delle piccole strade che ci restano per non cedere alla deriva delle fake news o della crescente disaffezione del pubblico per tutto ciò che è informazione. Il discorso di ieri non vale solo per la Rai: in fondo l’informazione è, per definizione, un’attività pubblica con un’alta componente di servizio, al di là di chi sia l’editore. Anzi, dimenticare questa doppia specificità è l’inizio della fine. È il primo passo di quella mediazione costantemente al ribasso che da anni – non solo in Italia – vede i media concentrati molto più sulla pancia che sulla testa del proprio pubblico, pronti ad assecondarla se non addirittura a provocarla.

È proprio su questa dinamica, sottile ma perversa, che invitano a riflettere le parole di Francesco, alte ma al tempo stesso molto calate sulla crisi di identità prima ancora che di reputazione che vivono i media. Serve un colpo di reni, esorta Francesco. Che richiama a «una responsabilità a cui non potete sottrarvi»: costruire, appunto, una domanda diffusa di qualità. Seguendo il discorso del Papa, è qui che deve convergere l’interesse dei giornalisti, ma anche quello degli editori: in fin dei conti, solo preservando il valore dell’informazione se ne potrà giustificare un prezzo adeguato, rendendo le attività editoriali sostenibili economicamente e i professionisti adeguatamente riconosciuti, remunerati e tutelati. Anche perché, la posta in palio va ben oltre: «La comunicazione, proprio in quanto dialogo per il bene di tutti, può svolgere nel nostro tempo un ruolo fondamentale anche nel ritessere valori socialmente vitali come la cittadinanza e la partecipazione».

Ancora due suggestioni. La prima è un rimando alle parole pronunciate da San Giovanni Paolo II nel 2002, quando – parlando ai giovani della Gmg di Toronto – ricordò che «la verità è proposta, mai imposta»: quanto c’è da riflettere, noi per primi, sui toni oltre che sui contenuti dell’informazione che offriamo in una stagione di conflitti come quella presente. Anche qui, sembra suggerire il Papa, c’è da alzare lo sguardo , riscoprendo che l’informazione è anche vocazione, «ad essere strumento di crescita nella conoscenza, a far riflettere e non ad alienare, ad aprire nuovi sguardi sulla realtà e non ad alimentare bolle di indifferenza autosufficiente, a educare i giovani a sognare in grande, con la mente e gli occhi aperti. Questa parola può spaventarci: sognare. Non perdere mai le capacità di sognare, ma sognare alla grande!».

Da dove partire? Il primo passo è sempre il più difficile, ma mai come in questo caso può essere liberatorio: «L’intero sistema dei media ha bisogno di essere provocato e stimolato a uscire da sé e a mettersi in discussione per guardare al di là, oltre ». Certo, una volta usciti da comfort zone e autoreferenzialità varie c’è il rischio di perdersi. Ma a ben guardare l’alternativa è decisamente peggiore: l’irrilevanza.

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Il Papa e il discorso alla Rai La responsabilità di un'informazione che vada oltre

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25.03.2024

«Costruite, attraverso la vostra offerta, una domanda diffusa di qualità». Parlando al personale e ai dirigenti della Rai, ieri papa Francesco ha messo il dito su un punto nodale della grande crisi dei media, e ha finito per indicare una delle piccole strade che ci restano per non cedere alla deriva delle fake news o della crescente disaffezione del pubblico per tutto ciò che è informazione. Il discorso di ieri non vale solo per la Rai: in fondo l’informazione è, per definizione, un’attività pubblica con un’alta componente di servizio, al di là di chi sia l’editore. Anzi, dimenticare questa doppia specificità è l’inizio della fine. È il primo passo di quella mediazione costantemente al ribasso che da anni – non solo in Italia – vede i media concentrati molto più sulla pancia che........

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