Ora la ragazza è in un centro antiviolenza. La fuga con la complicità di una vicina

Incrocia le mani e sembra trattenere il respiro. Seduta nella cucina della casa di accoglienza del centro antiviolenza di Mugnano. È lì che è tornata per raccontare la sua storia, lì dove in passato ha trovato sostegno e protezione.
Aurora ha 26 anni e lunghi capelli color magenta, uno sguardo attento, ma non severo. Alle spalle un passato costernato di violenze, davanti a sé la speranza di un futuro gentile. «Io sono assistita perché vittima di violenza». Tra le parole, una sentenziosa consapevolezza. Nello sguardo, il dolore che costa ricordare. Aurora è vissuta in una famiglia dove il padre maltrattava la madre. Una storia di violenza domestica come tante, come troppe. A cambiare, è il punto di vista. Quando hai solo 8 anni, vedere tua madre picchiata da chi dice di amarla, cambia la tua percezione del mondo, fidarsi degli altri è impossibile così come rimanere bambini. Inizi a comportarti da adulta, non come i tuoi coetanei per emulazione ma per sopravvivenza.
«In casa ci comportavamo come soldati. Cercavamo in tutti i modi di evitare qualsiasi cosa potesse farlo scattare, inutilmente. Lui non aveva mai motivi cercava solo pretesti. Il mio unico pensiero era proteggere mia madre, anche solo evitando di uscire con gli amici per non lasciarla sola», racconta Aurora.

Gli anni passano e gli episodi gravi non diminuiscono. Un giorno, tornando a casa, Aurora sente qualcuno urlare. Riconosce quelle urla, sa che è sua madre. Descrive i secondi impiegati per salire le scale come interminabili, attanagliata dalla paura che possa essere troppo tardi. Quello che vede è ciò che un adolescente non dovrebbe mai vedere: calci, tanti, il sangue sul pavimento e uno sguardo vuoto, lo sguardo di chi si è arreso.
Istintivamente cerca di proteggere la donna che le ha dato la vita, attirando la violenza su di sé e ci riesce. Aurora quel giorno vomita sangue e quello stesso giorno denuncia suo padre. Fuggite a casa della nonna, credevano di essere al sicuro. Ignare che le pressioni sociali possono essere altrettanto violente. La realtà dei quartieri non sempre perdona e se ti accoglie è per ricordarti di tornare dove devi. Perché è quello il tuo posto, accanto a tuo marito. Perché «lui è violento ma tu, che hai fatto?». Ed è forse per questo che tornano nella loro casa e dal maltrattante, rassicurate da un finto pentimento e da false promesse.

«La tregua», è così che la chiamano gli addetti ai lavori. Quella della falsa riappacificazione, il più delle volte, è una trappola che fa vacillare molte donne, soggiogate dalle pressioni sociali e dalla speranza che le cose possano davvero cambiare. Basta poco tempo per passare dalle scuse alle giustificazioni, fino ad arrivare a colpevolizzare chi in realtà subisce. Colpe che il più delle volte vengono accettate per poter sopravvivere, per non sentirsi abbandonate all’impotenza. Assumersi colpe significa credere di poter evitare ma l’evitamento, in questi casi, è solo un’illusione.
I figli come Aurora imparano così una caratteristica fondamentale della violenza: è imprevedibile. «Le violenze ricominciarono poco dopo e mia madre cadde in depressione, passava l’intera giornata a letto. Non lavorava più, non cucinava e non riusciva neanche a farsi la doccia. Io la prendevo dal letto, mi spogliavo insieme a lei e la costringevo a lavarsi con me. Tremava sotto il getto dell’acqua nonostante le ripetessi di stare tranquilla, che c’ero io con lei. La lavavo come se fosse una bambina e ricordo le sue lacrime mentre ripeteva “fai presto che sta tornando”».

Quella di Aurora e sua madre però non è solo una storia di violenza e dolore, è anche una storia di coraggio e di salvezza. Appena diciottenne organizza la fuga della persona a lei più cara: «Una vicina mi aiutò. Grazie a lei sono riuscita a comprare un biglietto per la Germania, dove avevo un appoggio sincero. Preparai la valigia un po’ alla volta, avevo paura che togliere tutto repentinamente avrebbe fatto insospettire mio padre». Ricorda che «era un giovedì, mia madre prese un taxi che, sotto mia indicazione, aspettò a diversi isolati da casa. Le portai la valigia all’aeroporto e lì ci salutammo. Tornata a casa dissi a mio padre che non avrebbe visto mai più mia madre, che l’avevo allontanata da lui».

In quel momento Aurora non ha provato paura: «Anche se distrusse ogni cosa che c’era in casa, quel giorno non riuscii né a piangere né ad urlare. Ridevo. Ormai mia madre non era più in pericolo». La storia di Aurora è la voce di chi vede e vive la violenza ogni giorno, in un luogo dove dovrebbe sentirsi al sicuro. È la voce di chi va avanti ma che, anche a distanza di anni, non trattiene il dolore per aver visto la propria madre svalorizzata, segregata e picchiata dal proprio padre. La storia di Aurora è la storia di chi ha assistito e subito. È la storia di un’altra vittima. Dopo quella fuga Aurora e sua madre sono state lontane 9 anni. Adesso, di nuovo insieme, stanno affrontando un’altra battaglia. Ma questa è un’altra storia.

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29 novembre 2023

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QOSHE - Il riscatto di Aurora: «Salvai mamma dalle botte di papà facendola fuggirein Germania» - Flavia Dolgetto
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Il riscatto di Aurora: «Salvai mamma dalle botte di papà facendola fuggirein Germania»

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29.11.2023

Ora la ragazza è in un centro antiviolenza. La fuga con la complicità di una vicina

Incrocia le mani e sembra trattenere il respiro. Seduta nella cucina della casa di accoglienza del centro antiviolenza di Mugnano. È lì che è tornata per raccontare la sua storia, lì dove in passato ha trovato sostegno e protezione.
Aurora ha 26 anni e lunghi capelli color magenta, uno sguardo attento, ma non severo. Alle spalle un passato costernato di violenze, davanti a sé la speranza di un futuro gentile. «Io sono assistita perché vittima di violenza». Tra le parole, una sentenziosa consapevolezza. Nello sguardo, il dolore che costa ricordare. Aurora è vissuta in una famiglia dove il padre maltrattava la madre. Una storia di violenza domestica come tante, come troppe. A cambiare, è il punto di vista. Quando hai solo 8 anni, vedere tua madre picchiata da chi dice di amarla, cambia la tua percezione del mondo, fidarsi degli altri è impossibile così come rimanere bambini. Inizi a comportarti da adulta, non come i tuoi coetanei per emulazione ma per sopravvivenza.
«In casa ci comportavamo come soldati. Cercavamo in tutti i modi di evitare qualsiasi cosa potesse farlo scattare, inutilmente. Lui non aveva mai motivi cercava solo pretesti. Il mio unico pensiero era proteggere mia madre, anche solo evitando di uscire con gli amici per non lasciarla sola», racconta Aurora.

Gli anni passano e gli........

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