Creare la Doc Campania non significa garantire una migliore qualità  del prodotto e quindi il futuro
Il Vinitaly è lâappuntamento topico del calendario enologico nazionale. Anche se sempre più produttori preferiscono concentrare i loro investimenti su manifestazioni più piccole e, come dire, più a misura dâuomo. La fiera scaligera rappresenta comunque anche lâoccasione per testare lo stato di salute dellâenologia regionale e soprattutto per sondarne le prospettive e per ragionare sugli strumenti più adeguati per progettare un futuro migliore. Su questâultimo aspetto mi fa piacere ritornare. Con pacatezza, ma anche con fermezza. Perché conseguenze di scelte sbagliate potrebbero risultare letali per un comparto di grandissima importanza per lâeconomia campana non tanto per i numeri in sé (di molto inferiori a quelli delle grandi regioni del vino) quanto per le possibili sinergie con altri prodotti agroalimentari, con tutta la filiera della ristorazione e, oserei dire, del turismo.
Da più di un anno, già dunque da prima dello scorso Vinitaly, lâAssessorato regionale allâAgricoltura ha individuato nella creazione della denominazione di ordine controllata Campania unâarma efficace per ridare slancio allâintera filiera del vino regionale. Lâidea ha subito trovato consensi, specialmente nel Sannio, in particolare del locale consorzio dei produttori e delle grandi realtà cooperative che da sole rappresentano una quota significativa non solo della produzione provinciale, ma anche dellâintera regione. Il Sannio, si sa, è da sempre il grande serbatoio della Campania. Ma è anche la terra che, in un passato non troppo lontano, ha maggiormente beneficiato dei contributi assegnati a chi inviava il vino alla distillazione.
Sulla sintonia tra istituzioni pubbliche e grandi produttori, che sembrava destinata a sfociare in tempi brevi nel raggiungimento della meta, è calata però la precisazione del governatore Vincenzo De Luca che ha ricordato che la creazione della doc non è affare della Regione (che nel frattempo aveva commissionato un costoso studio al Nomisma per giustificare la bontà dellâiniziativa) ma dei produttori. Il processo ha dunque subito, se non una battuta di arresto, un forte e senza dubbio opportuno rallentamento.
Nei processi decisionali in democrazia contano senzâaltro i numeri. E da questo punto di vista pesano, tanto per fare un esempio, i 150 mila ettolitri e le circa sei milioni di bottiglie annue del colosso La Guardiense (dati attinti sul sito dellâazienda). Ma è chiaro che una questione tanto delicata non si possa liquidare solo sulla base dei rapporti di forza. Anche perché se proprio di numeri si deve ragionare, ci sono altri numeri da tenere presenti. Per esempio quelli relativi al prezzo medio delle bottiglie. E numeri sono pure quelli che indicano che nel mondo, a fronte dellâapertura di nuovi mercati non sempre in grado di assorbire lâofferta, il consumo di vino pro capite diminuisce secondo un chiaro trend al ribasso. Questo significa che nel pianeta, a partire dallâItalia e dalla Francia (che restano non solo i principali produttori, ma anche i principali consumatori di vino) si beve meno, ma, come confermano autorevoli ricerche, si cerca di bere meglio.Â
Ora, sinceramente non credo che con il semplice innalzamento, da Indicazione geografica tipica a Doc, del livello di tutela alle produzioni, che, solo per comodità definirei generiche, si possa garantire, ipso facto, lâaumento della qualità dei vini e, dunque, il futuro. La narrazione del âpasticciaccio bruttoâ della doc Campania come competizione tra territori, tra Sannio e Irpinia, tanto per essere chiari, non regge. In provincia di Benevento ci sono tanti vignaioli che non ritengono la Doc Campania una priorità . Forse, la querelle, rassomiglia più alla leggenda dello scontro tra Golia e Davide. E se, per caso, così fosse, non avrei dubbi su chi sostenere.
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14 aprile 2024
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Campania del vino, si può fare di più
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Creare la Doc Campania non significa garantire una migliore qualità  del prodotto e quindi il futuro
Il Vinitaly è lâappuntamento topico del calendario enologico nazionale. Anche se sempre più produttori preferiscono concentrare i loro investimenti su manifestazioni più piccole e, come dire, più a misura dâuomo. La fiera scaligera rappresenta comunque anche lâoccasione per testare lo stato di salute dellâenologia regionale e soprattutto per sondarne le prospettive e per ragionare sugli strumenti più adeguati per progettare un futuro migliore. Su questâultimo aspetto mi fa piacere ritornare. Con pacatezza, ma anche con fermezza. Perché conseguenze di scelte sbagliate potrebbero risultare letali per un comparto di grandissima importanza per lâeconomia campana non tanto per i numeri in sé (di molto inferiori a quelli delle grandi regioni del vino) quanto per le possibili sinergie con altri prodotti agroalimentari, con tutta la filiera della ristorazione e, oserei dire, del turismo.
Da più di un anno, già dunque da prima dello scorso Vinitaly,........
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