Lo chef dei Quattro Passi si racconta: «Amo le canzoni nostalgiche e i gialli. Da bambino, ogni giovedì quando tornavo da scuola sentivo il profumo del gattò della nonna quando salivo le scale»
Sua mamma Rita e suo padre Tonino gli hanno dato fiducia. I mezzi e il tempo di crescere. E Fabrizio Mellino, 32 anni, li ha ripagati alla grande. Portando nel locale di famiglia, i Quattro Passi di Nerano, quel valore aggiunto fondamentale per la conquista della preziosissima, quasi inarrivabile, terza stella Michelin che ha determinato lâupgrade di una cucina già grandissima. Su di lui si sono accesi allâimprovviso i riflettori. Ma al di là dei meriti culinari, si sa ancora poco di questo ragazzo, apparentemente schivo, in realtà riservato, riflessivo, dalle idee chiarissime e dalla determinazione inscalfibile.Â
Sta vivendo un bel sogno?Â
«Sicuramente sì».Â
Con chi e come ha festeggiato?Â
«Con la famiglia. Dopo la cerimonia delle stelle siamo rientrati in albergo abbiamo cenato lì. Un festeggiamento molto sobrio perché eravamo comunque provati dal viaggio del giorno precedente e dallâemozione».Â
Ha riportato la terza stella al Sud, ma soprattutto a Massa Lubrense, venti anni dopo il Don Alfonso. Câè un significato particolare?Â
«Massa Lubrense è un posto fortunato. Per il suo microclima, per i prodotti, per lâambiente. Certo, alla famiglia Iaccarino va dato merito: lâesperienza del Don Alfonso è stata fonte di ispirazione per tanti, compreso mio padre. Grazie a loro la ristorazione di qualità è cresciuta in tutta lâarea circostante».
Chi è suo fratello Raffaele che si occupa della sala e della cantina?Â
«à una persona dal gran cuore. Quando, dopo essere stato allâestero, è rientrato alla base mi ha detto: âsono tornato per aiutarti a realizzare il sognoâ. Un grande segnale di fratellanza».Â
Che ruolo gli attribuirebbe in una rock band?Â
«Una metafora rockettara? Forse quello del bassista. Stare a contatto con i clienti è impegnativo: bisogna saper filtrare tutto. Lui ha questa dote che io forse non ho».Â
Suo padre Tonino: per lei più padre o più maestro?
«Più padre, dai».Â
Più severo o più indulgente?
«Un padre che ha cercato di trasmetterci la sua passione. Poi è chiaro che tra giovani e meno giovani non sempre si parla lo stesso linguaggio. In alcuni momenti quindi poteva sembrare severo, in realtà non lo era».Â
E sua madre Rita?
«Mamma è una spugna che assorbe qualsiasi pressione che possa disturbarmi. Mi lascia quella libertà che serve a uno chef per potersi esprimere al meglio».Â
Dopo il diploma al liceo linguistico subito tanta formazione specialistica e tanto lavoro. Sente di aver perso qualcosa della gioventù?
«Direi di no perché quello che ho fatto lâho fatto con piacere E non mi è pesato. Certo, le rinunce per chi sceglie questo percorso sono tante: il sabato sera non puoi stare in giro».Â
Lâamore?
«Lâanno prossimo mi sposo con Annamaria. Data già fissata».
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Oltre che sullâaffetto, su quale patto si regge il rapporto tra un professionista tanto impegnato, come lei, e la sua futura moglie?
«Sulla forza di un sogno condiviso. Ho la fortuna di aver trovato una persona che sa capire, standoci dentro, il lavoro che faccio».
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A un figlio consiglierebbe la via della ristorazione?
«Sì, perché ci sono tante storie familiari, come quella dei Santini del Pescatore a Canneto sullâOglio, che continuano felicemente».
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I suoi amici sono solo nel mondo dellâenogastronomia o ha mantenuto i contatti con quelli storici?
«Sì, non con tutti ma con quelli importanti sì».
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Segue il calcio?
«Abbastanza».
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Tifoso?
«Sono sincero: la squadra del cuore è lâInter, storia vecchia. Ma sono anche simpatizzante del Napoli».
Le piace leggere?
«Sì, sono appassionato di letteratura straniera. E amo molto i gialli. Da poco ho iniziato i «Bastardi di Pizzofalcone».
Che musica ascolta?
«Vado a periodi, non ho preferenze particolari. Mi piacciono anche le canzoni nostalgiche, di Pino Daniele, di Battisti».
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Il film preferito?
«Rivedrei volentieri Sette Anime diretto da Muccino».Â
Cosa pensa della cucina in tv?
«Negli ultimi anni il livello dei programmi è salito. E quando trasmettono messaggi positivi, ben vengano».Â
Parteciperebbe?
«Mai dire no a priori. So però che richiederebbe impegno e tempo. E non so se sarebbe compatibile con il lavoro».
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Qual è stata la reazione dei suoi colleghi alla notizia della terza stella?
«Ha scosso tutti. In tanti si sono complimentati. Penso sia stato un bel traguardo per tutti. Il nostro successo non esclude che altri possano arrivarci nel prossimo futuro».
Ora, teme più lâinvidia o lâadulazione?
«Non mi sono posto il problema. Penso al mio percorso».
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Nella vita i risultati sono sempre proporzionati ai sacrifici fatti?
«Câè sempre il lieto fine? Nel mio caso sì. Lâimpegno è un fattore oggettivo che si vede. Però poi câè sempre lâeccezione. Oltre alla bravura, al background, câè sicuramente bisogno anche di fortuna intesa come capacità di cogliere al volo lâopportunità ».
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Con lei sono venuti alla ribalta tanti altri giovanissimi chef campani. Chi sente più vicino?
«Maicol Izzo di Piazzetta Milù. Anche lui ha alle spalle una grande famiglia e ha fatto importanti esperienze formative».
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Come ha adattato gli insegnamenti ricevuti nelle grandi cucine del mondo alla proposta storica del suo locale?
«Ho cercato di cogliere più lâessenza e la filosofia che i loro piatti».Â
Qual è stato lâinput principale che ha raccolto in giro per il mondo?
«Sono ritornato in Campania con la consapevolezza che abbiamo grandi prodotti che vanno sempre tenuti in primo piano».
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Cosa amava mangiare da piccolo Fabrizio Mellino e cosa preferisce attualmente?
«Tornando da scuola, già per le scale sentivo lâodore del gattò di patate della nonna. E realizzavo che era giovedì. Ora mangio un piatto di pasta a pranzo e proteine la sera, con condimenti leggeri».
Nellâalta cucina câè spazio anche per ingredienti poveri?
«Certo».
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Nel suo locale si servono grandissimi vini. Câè il rischio che i piatti vengano messi un poâ in ombra?
«No, perché il vino resta un complemento».Â
A lei il vino piace?
«Sì, ma non sono un bevitore quotidiano. Mi piace coglierne le sfumature, gli aromi. Mio fratello mi tiene allenato. à un bellâesercizio di stile».Â
à giusto avere un approccio timoroso verso la cucina dei grandi ristoranti?
«à giusto che quando si varca la soglia di un locale importante ci sia un pizzico di emozione. Lâemozione fa parte dellâesperienza. Poi tocca ai maestri di sala e allo chef: devono mettere subito lâospite a proprio agio».
Entra in sala alla fine del servizio?
«Non sempre, spesso sì. Da lontano mi accorgo che papà e Raffaele sono così bravi. E non mi va di rubare la scena, anche se sono consapevole che dâora in avanti la mia presenza sarà più richiesta».
Un antipasto, un primo, un secondo e un dessert per iniziare a conoscere la cucina dei Quattro Passi?
«Il fiore di calamaro, le linguine alla Nerano, la spigola allâacetosella e per finire il soufflé al cioccolato con gelato di mandorla».Â
Proporre la pasta con le zucchine, il simbolo di Nerano, può sembrare limitativo?
«No, sono stato sempre favorevole a proporla e ho cercato di interpretarla al meglio».
Ci vuole il burro?
«Naturalmente sì, di altissima qualità ».
Quando si è già raggiunto il massimo riconoscimento per uno chef, quale obiettivo si mette nel mirino?
«Me lo sto chiedendo da giorni. La vera sfida è onorare il riconoscimento ricevuto. Ed essere allâaltezza del confronto con grandi chef che incarnano lo spirito della cucina italiana».
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18 novembre 2023
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