Il suo inno per la pace scritto in pandemia, Hymn to humanity, è stato cantato da 250 artisti di tutto il mondo. Ora la 33enne cura il progetto Artist United: «In Germania ho vinto il disco d'oro, ma in Italia non c’è meritocrazia»

Da Boscoreale, alle falde del Vesuvio, alla Los Angeles della collina con l’iconica scritta Hollywood, corre una distanza di un oceano, oltre 10mila chilometri e nove ore di fuso orario. Veronica Vitale, nata trentatré anni fa a Pompei ma cresciuta nel paese vesuviano, dove mamma Carolina è una insegnante alle elementari, papà Giuseppe è il direttore dell’ufficio postale e lei, da piccola, una ragazzina talentuosa ma vittima di bullismo a scuola, ha dovuto annullare tutta quella distanza per riuscire a essere, oggi, una delle musiciste nonché produttrici discografiche più apprezzate degli Stati Uniti.

Il suo nome, infatti, ha già fatto almeno un giro del mondo, letteralmente: nel 2020, in piena pandemia, ha composto una canzone, Hymn to humanity, con la quale ha coinvolto ben 250 artisti da ogni angolo della Terra. La sua preghiera per la pace e la fratellanza tra i popoli e le nazioni, più che mai attuale in questo periodo, è stata intonata in venticinque lingue diverse ed è diventata un inno internazionale che corre, naturalmente, anche sul web: su Facebook e YouTube sono rintracciabili il video e il backstage che racconta l’idea sua e del compagno, Patrick Hamilton, regista e film director, per quella che è stata e continua a essere una vera e propria impresa da record: «Siamo riusciti a coinvolgere centinaia di artisti da tutto il mondo ma a parlare tutti una sola lingua, a creare una comunità che non ha confini». Un esempio? «Hymn to humanity – rivela Veronica – è stata intonata anche da un giovane artista afghano, Aria Fasal, nonostante fosse consapevole di rischiare la vita perché, in Afghanistan, col regime dei talebani, la musica non tradizionale è vietata».
Con lui, Veronica è stata capace di coinvolgere anche artisti di altri Paesi in guerra, magari in questo momento armati l’uno contro l’altro. Con le note del suo inno, un manifesto “fluid/liquid pop”, come definisce la sua musica, «un nuovo genere pop d'avanguardia e cinematografico», Veronica ha conquistato amici e fan dal Pakistan all’Iraq, dal Ghana alla Giamaica, dall’Australia alla Norvegia, dal Canada al Sud Africa, dalle Filippine alla Cina, dagli Stati Uniti alla Russia. E ha dato vita a una fondazione, Artist United, che si propone di essere un po' l’Onu della musica, «più che mai oggi un indispensabile linguaggio universale».

E pensare che la vita di Veronica, a Boscoreale, non è stata sempre facile. «In prima media – racconta – fui costretta a cambiare scuola perché divenni vittima di bullismo. Sono passati molti anni, ma è una cosa che mi segna ancora. Essere nel mirino dei coetanei, soprattutto nell’età della pre-adolescenza, fa davvero male. Ci si sente continuamente sminuiti, in ansia, non all’altezza. Per fortuna, oltre che la mia famiglia, ho avuto sempre la musica dalla mia parte. Dai 9 ai 16 anni, infatti, ho frequentato anche il liceo musicale Santarpino di Scafati dove ho imparato a suonare il pianoforte. E a 11 anni sono stata premiata come la più giovane compositrice». In realtà , una delle poche soddisfazioni che le ha dato il nostro Paese: «In Italia – continua, infatti, Veronica – nessuno ha creduto realmente in me. All’estero, invece, mi hanno dato subito una chance».Â

Per Veronica, il gran salto nel mondo dello spettacolo avviene, prima ancora che negli Usa dove oggi lavora con star sia della musica che del cinema in emittenti come Fox News e Abc, quando ha circa 20 anni a Francoforte, in Germania. «Nel 2009, aprii un mio profilo su un antesignano dei social di oggi, ‘Myspace’, dove caricavo le mie composizioni. Per fortuna, furono apprezzate da alcuni manager di una casa discografica della galassia Sony Music Deutschland. Così, subito dopo, ero lì a firmare il mio primo contratto. E il mio primo album, “Nel mio bosco Reale”, primeggiò nelle classifiche delle vendite in Austria, Svizzera e Germania, conquistando il disco d’oro tedesco con 100 mila copie vendute». Nel 2011, Veronica si ritrova anche ad essere l’unica artista italiana nel progetto "Songs for Japan" voluto da Lady Gaga. Ma la possibilità di affermare la sua arte anche in Italia continua a essere un tabù. «Così, nel 2013, decisi di trasferirmi negli Stati Uniti. Prima a Seattle per collaborare con la Jimi Hendrix Fondation. Poi a Cincinnati per una collaborazione con Bootsy Collins e i Funk Parliament. Per me, niente talent show, quindi. Quello era l'unico modo di sfondare in Italia. Ma io ho voluto mettermi alla prova dove c'era una vera meritocrazia. Con un pubblico reale, non con un televoto».

E negli Stati Uniti Veronica si fa strada. A 24 anni è già produttrice esecutiva. A 27, a Cincinnati, fonda la sua società , la Visionary Vanguard Records, con la quale spazia dalla discografia ai fumetti fino ai documentari che edita con Red Digital Cinema. Ora, ad esempio, è impegnata in una docuserie che racconta la piaga della droga negli Stati Uniti con interviste anche a ex-gangster. «Spesso documentiamo anche la povertà e l’emarginazione che ci sono qui a Los Angeles. Oppure problematiche sociali più generali come la pedofilia, il traffico di organi, la depressione. Io, però, con il mio lavoro, voglio dare un messaggio positivo: voglio dimostrare che, con l’impegno e il lavoro, la fede e la speranza, i sogni si possono realizzare».
Anche se sono davvero tanti: la vita di Veronica non è stata caratterizzata solo dalla musica e dalle produzioni entertainment, ma anche da tanto studio. «Un’altra mia grande passione è la ricerca scientifica. Ho tre lauree con lode: nel campo delle scienze e delle metodologie dell’educazione, in pedagogia e in Scienze dei sistemi, World macroshift e Elementi di fisica quantistica che ho conseguito mentre ero a Seattle. Al momento, però, ho deciso di dedicare la mia vita alla musica, in primis al progetto che più mi sta a cuore: quello della fondazione Artist United. Da piccola, avevo la finestra della mia cameretta che dava sul Vesuvio. Ora la finestra del mio ufficio dà sulla scritta ‘Hollywood’ di Mount Lee. Ma non smetto di sognare. Si è ciò che si sceglie di essere, anche partendo da una situazione di svantaggio».

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28 novembre 2023

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Veronica Vitale, da Boscoreale ad Hollywood: «Qui suono e produco musica, anche con Lady Gaga: in Italia si sfonda solo con i talent show»

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28.11.2023

Il suo inno per la pace scritto in pandemia, Hymn to humanity, è stato cantato da 250 artisti di tutto il mondo. Ora la 33enne cura il progetto Artist United: «In Germania ho vinto il disco d'oro, ma in Italia non c’è meritocrazia»

Da Boscoreale, alle falde del Vesuvio, alla Los Angeles della collina con l’iconica scritta Hollywood, corre una distanza di un oceano, oltre 10mila chilometri e nove ore di fuso orario. Veronica Vitale, nata trentatré anni fa a Pompei ma cresciuta nel paese vesuviano, dove mamma Carolina è una insegnante alle elementari, papà Giuseppe è il direttore dell’ufficio postale e lei, da piccola, una ragazzina talentuosa ma vittima di bullismo a scuola, ha dovuto annullare tutta quella distanza per riuscire a essere, oggi, una delle musiciste nonché produttrici discografiche più apprezzate degli Stati Uniti.

Il suo nome, infatti, ha già fatto almeno un giro del mondo, letteralmente: nel 2020, in piena pandemia, ha composto una canzone, Hymn to humanity, con la quale ha coinvolto ben 250 artisti da ogni angolo della Terra. La sua preghiera per la pace e la fratellanza tra i popoli e le nazioni, più che mai attuale in questo periodo, è stata intonata in venticinque lingue diverse ed è diventata un inno internazionale che corre, naturalmente, anche sul web: su Facebook e YouTube sono rintracciabili il video e il backstage che racconta l’idea sua e del compagno, Patrick Hamilton, regista e film director, per quella che è stata e continua a essere una vera e propria impresa da record: «Siamo riusciti a coinvolgere centinaia di artisti da tutto il mondo ma a parlare tutti una sola lingua, a creare una comunità che non ha confini». Un esempio?........

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