L’attrice è l’anima del Sannazaro: ho sposato il mio fidanzato di scena

La sua sciantosa post moderna è una Barbie irriverente che intrattiene nel salotto della Napoli bene, quel Sannazaro che fu il teatro di Scarpetta, di Concetta e Peppe Barra e, soprattutto, della grandissima Luisa Conte: la nonna a cui Lara Sansone deve l’amore per il teatro e una palestra di vita che l’ha portata a scegliere di restare qui e resistere. A 48 anni è l’unica donna imprenditrice teatrale a Napoli, e con il marito Sasà Vanorio gestisce lo storico teatro di Chiaia. Allo stesso tempo indossa da qualche anno i panni di Bice, parrucchiera pettegola e molto sopra le righe nel social drama Un posto al sole, fa la regia di almeno uno spettacolo all’anno in cartellone e recita e canta in palcoscenico. Stasera debutta con una nuova versione del mitico Café Chantant.

Lara quand’è stata la prima volta che ha cantato un pezzo da sciantosa?
«Ero una ragazzina e per la compagnia giovanile creata da nonna mettemmo in scena Na santarella di Scarpetta, con Concetta Barra. Ero piccola ma molto appariscente, per cui funzionavo nel ruolo. Fu la prima volta e ne rimasi traumatizzata. Pensai: non lo farò mai più. Invece sono trent’anni, è una persecuzione».

Sua nonna la colpevole?
«Un tempo il teatro era come il grande carrozzone del circo, si veniva con i figli e si portavano in scena. Sia io che mia sorella Ingrid per amore di nonna guardavamo tutti gli spettacoli e, come fanno i bambini, io credevo ogni volta che ci fosse qualcosa di personale, quasi come se fosse uno spettacolo recitato per me perché ero nella quinta di fronte al suggeritore. Così imparavo anche le battute a memoria, fino a quando un giorno capitò che il bambino che recitava nella Lisistrata si ammalò e mi proposi per sostituirlo. Nessuno ci credeva, perché ero timidissima. Ma ce la feci».

È stato così che è diventata l’erede di Luisa Conte?
«Nonna mi chiese di scegliere. Io facevo equitazione, lei mi disse: se vuoi essere un’attrice non puoi rischiare di farti male. Così scelsi. Nonna con me aveva un rapporto privilegiato, mi piaceva molto stare con lei, perché nel privato era materna e molto dolce, insieme viaggiavamo tantissimo. Quando morì scoprimmo che manteneva economicamente alcune famiglie, ci vennero a ringraziare».

Faceva parte della grande compagnia di Eduardo. Chi ricorda di loro?

«C’erano i più grandi del teatro napoletano, da Gennarino Palumbo a Nino e Carlo Taranto: era una compagnia fantastica e ciascuno mi regalava un sorriso o un gioco. De Filippo non l’ho conosciuto anche se nonna andava spesso a casa sua, io invece frequentavo quella di Nino Taranto: un gran signore, rigoroso, mai fuori luogo, molto a modo. Ho avuto il piacere di essere in uno spettacolo di Viviani con lui e il fratello Carlo, due attori straordinari, sempre i primi ad arrivare e gli ultimi ad andare via: una grande lezione di rigore. Anche nonna era così. Un generale a teatro».

È da lei che ha imparato il mestiere di imprenditrice teatrale, unica donna in un mondo maschile?
«Il suo è stato il grande esempio di un’imprenditrice tenace che quando credeva in qualcosa non si arrendeva mai. Anche io non mi arrendo, la sua lezione c’è ma devo molto anche a mio marito Sasà Vanorio, che oggi con me gestisce il teatro. Non credo al discorso delle quote rosa: se vali, non importa se sei maschio o femmina. Io non mi sono mai sentita in minoranza».

Tante rinunce per il Sannazaro?

«Studiavo a Londra per l’università ma dopo la morte di nonna ho dovuto aiutare mamma a portare avanti il teatro. C’era chi non si fidava che saremmo riuscite a pagare. Ma ce l’abbiamo fatta e giorno per giorno continuo a mettermi in gioco».

Il Sannazaro teatro anche del suo primo bacio?
«Quello no, ma con Sasà ci siamo conosciuti sul palcoscenico. Interpretavamo due fidanzati e ci siamo innamorati».

A chi deve dire grazie?

«Innanzitutto alla mia famiglia. E grazie a mio marito, che è allegro e solare e un po’ complementare a me, che sono ancora molto timida. Con lui condivido una grandissima fatica, oltre che l’impegno di genitori (di Gabriel, Christopher e della sorella maggiore Greta, avuta dal primo marito, Gianfranco Gallo, ndr). Ho sempre voluto una famiglia numerosa».

Quando non è al Sannazaro a cosa si dedica?

«Mi piace molto “ricevere” come a mia nonna e cucinare. Uso il ricettario ereditato da lei e mamma e scritto a mano, con tutti i piatti napoletani, dal ragù alla genovese, come li faceva lei».

Chi sono stati i suoi maestri, oltre a Luisa Conte?

«Se conosco tutte le canzoni napoletane a memoria lo devo a Sergio Bruni. E poi ricordo con grande affetto Mario Merola, con cui sono stata in tour per l’Italia: era un gran signore, e se a Napoli era famoso, fuori dalla città lo idolatravano. Era uno chansonnier, come Charles Aznavour. Ma un grande maestro per me è stato Leopoldo Mastelloni».

Cosa le ha insegnato?
«Ha sempre avuto uno sguardo molto moderno verso il teatro e mi ha aiutata nel mio percorso di regia. Super pignolo e maniacale per ogni dettaglio, dalle luci alla messinscena, mi ha guidata con attenzione e rispetto fino a quando non mi ha lasciata da sola. E se gli dicevo che in un ruolo non mi sentivo me stessa, mi rispondeva: non devi essere tu, stai recitando».

Il momento più difficile?
«Dopo la morte di nonna nel ‘94 con mia madre eravamo alla ricerca disperata di qualcosa che riuscisse a ridare vita al teatro. Una sera ci affacciammo dai palchetti e dissi: mamma perché non togliamo le poltrone e mettiamo i tavolini come nel café chantant? Partimmo con una settimana e arrivammo a tre quattro mesi di repliche. C’era Gennaro Cannavacciuolo (l’attore scomparso nel 2022): era un grande artista e un amico caro, avevamo il sogno di riproporlo insieme».

Quel café chantant che oggi la perseguita. È vero che sarà Barbie?
«Sì perché è un divertissement e deve essere attuale».

E Bice di Un posto al sole?
«È molto diversa da me, impicciona al limite della follia. Però è diventata un mio alter ego e mi diverte che ci sia questa parte di me in un armadio in Rai dove Bice ha tutto, dai vestiti alle scarpe».

Vai a tutte le notizie di Napoli

Se vuoi restare aggiornato sulle notizie della Campania iscriviti gratis alla newsletter del Corriere del Mezzogiorno. Arriva tutti i giorni direttamente nella tua casella di posta alle 12. Basta cliccare qui.

Siamo anche su Instagram, seguici https://www.instagram.com/corriere.mezzogiorno/

5 aprile 2024 ( modifica il 5 aprile 2024 | 09:18)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

QOSHE - Lara Sansone: «Sul palco porto una Barbie chantant, ma dietro le quinte sono la manager che ha salvato il teatro di nonna, Luisa Conte» - Ida Palisi
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Lara Sansone: «Sul palco porto una Barbie chantant, ma dietro le quinte sono la manager che ha salvato il teatro di nonna, Luisa Conte»

9 1
05.04.2024

L’attrice è l’anima del Sannazaro: ho sposato il mio fidanzato di scena

La sua sciantosa post moderna è una Barbie irriverente che intrattiene nel salotto della Napoli bene, quel Sannazaro che fu il teatro di Scarpetta, di Concetta e Peppe Barra e, soprattutto, della grandissima Luisa Conte: la nonna a cui Lara Sansone deve l’amore per il teatro e una palestra di vita che l’ha portata a scegliere di restare qui e resistere. A 48 anni è l’unica donna imprenditrice teatrale a Napoli, e con il marito Sasà Vanorio gestisce lo storico teatro di Chiaia. Allo stesso tempo indossa da qualche anno i panni di Bice, parrucchiera pettegola e molto sopra le righe nel social drama Un posto al sole, fa la regia di almeno uno spettacolo all’anno in cartellone e recita e canta in palcoscenico. Stasera debutta con una nuova versione del mitico Café Chantant.

Lara quand’è stata la prima volta che ha cantato un pezzo da sciantosa?
«Ero una ragazzina e per la compagnia giovanile creata da nonna mettemmo in scena Na santarella di Scarpetta, con Concetta Barra. Ero piccola ma molto appariscente, per cui funzionavo nel ruolo. Fu la prima volta e ne rimasi traumatizzata. Pensai: non lo farò mai più. Invece sono trent’anni, è una persecuzione».

Sua nonna la colpevole?
«Un tempo il teatro era come il grande carrozzone del circo, si veniva con i figli e si portavano in scena. Sia io che mia sorella Ingrid per amore di nonna guardavamo tutti gli spettacoli e, come fanno i bambini, io credevo ogni volta che ci fosse qualcosa di personale, quasi come se fosse uno spettacolo recitato per me perché ero nella quinta di fronte al suggeritore. Così........

© Corriere del Mezzogiorno


Get it on Google Play