Mostra inaugurata alle Scuderie del Quirinale alla presenza di Mattarella. L'ex direttore: «La situazione a Capodimonte? È un’opera buffa»

Bellenger e MattarellaÂ

«A Capodimonte abbiamo esposto un Ottocento privato ma non è così, e dobbiamo ripresentarlo nel suo splendore, non semplificarlo secondo il gusto dei Savoia». Torna idealmente al Museo e Real Bosco di Capodimonte, che ha diretto per otto anni Sylvain Bellenger e che, quando era giovane, lo indusse a diventare storico dell’arte (sedotto dall’opera di Masaccio). La mostra "Napoli Ottocento" in programma nelle Scuderie del Quirinale a Roma è un grande atto d’amore per Napoli e per il lavoro fatto qui.Â

Direttore com’era la Napoli rappresentata dagli artisti dell’800?
«Diciamo che consideriamo il secolo dal 1750 fino alla prima guerra mondiale. Napoli resta una delle più grandi città del Regno che, dopo l’unità d’Italia, entra in dialogo più stretto con altre capitali europee, prima fra tutte Parigi. Dopo la scoperta di Pompei ed Ercolano gli artisti vengono qui perché vogliono vedere le città sepolte e scoprono la bellezza di Napoli. Qui nasce la pittura en plein air e Napoli è il cuore dell’Ottocento italiano».Â

Quante opere della mostra a Roma provengono dal museo napoletano?
«Quaranta, il corpus principale sulle 254 in mostra, che arrivano anche dai musei dove sono stato direttore, a Cleveland e Chicago, oltre che da Inghilterra, Germania, Francia e Roma. Ho curato personalmente tutti i testi dell’audioguida che volevo fossero all’altezza delle opere. Poi ho chiesto a un artista napoletano, Stefano Gargiulo, di portare l’elemento mineralogico e geologico con il Vesuvio che è la prima espressione di Napoli per il mondo intero».Â

È con il Vesuvio che si accoglie il visitatore?
«Sì, da un’esplosione che è trasformata in fuoco d’artificio, mentre il mondo scientifico è evocato dalle pietre vulcaniche del museo della Mineralogia e la stazione Dohrn con un’altra opera. Si chiude poi con il trionfo della materia, con un omaggio a Mancini e Gemito. C’è una stanza dedicata alla loro storia parallela, fatta di miseria, genio e follia. Il tema del sublime è molto rappresentato: c’è anche un quadro di Hackert con Goethe che guarda a bocca aperta il Vesuvio e viene da una collezione privata tedesca».Â

Che ha detto il Presidente Mattarella all’inaugurazione?
«È stato molto colpito dalla qualità e dalla coerenza del racconto. È una mostra che abbraccia il secolo nella sua totalità , con una sintesi e diversi livelli di lettura, e lui l’ha apprezzato».Â

C’è anche molto sul Degas napoletano.
«Abbiamo provato a capire fino a che punto la conoscenza della città e del mondo napoletano avessero potuto influenzarlo e fare la differenza con la scuola francese. Degas viene in città per la prima volta a sei anni e ci ritorna poi spesso tra il 1850 e il 1909. Parlava la lingua napoletana che non si impara a scuola o a casa, dove usavano il francese. L’ha imparata per strada, cantava le canzoni napoletane. In mostra ci sono tutti i dipinti che sono stati realizzati a Napoli tranne uno, troppo delicato per trasportarlo, quattro provenienti dal Museo d’Orsay e due dall’America».Â

In che modo Napoli lo influenzò?
«Si vede che c’è una diversa sensibilità verso la pittura che condividono Degas, Mancini e Michetti. Non possiamo dire che fosse in contatto con loro e abbiamo anche prove che, contrariamente a quanto è stato scritto in alcuni studi su di lui, non studiò all’Accademia di Belle Arti a Napoli però la sua diversa sensibilità rispetto alla scuola francese si deve all’ambiente napoletano.».Â

La mostra è dunque un omaggio a Napoli e al suo lavoro a Capodimonte?
«È certo un mio omaggio alla città , ma anche la conclusione di tutte le mostre che abbiamo fatto. Tengo a dirlo perché i miei colleghi avevano costituito una squadra straordinaria che spero rimanga, perché crearla richiede anni di lavoro, bastano due mesi per distruggerla».Â

Che ne pensa della situazione di incertezza alla guida del Museo e Real Bosco di Capodimonte?
«Questa storia è stata già scritta da Rossini e messa in musica molte volte, fa parte della grande tradizione dell’opera buffa. Posso solo augurare a Capodimonte che trovi una guida del livello che merita come istituzione e che i progetti in corso siano portati a termine, oltre che il grande lavoro fatto non venga perso».Â

Dopo la mostra tornerà in Francia?
«No, farò il contadino a Ischia. Non mi ritiro però. Ho già tre progetti in America e due anche a Ischia, alla Torre Michelangelo e alla Colombaia, che vorrei recuperare per raccontare di nuovo la grande storia di Visconti».

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27 marzo 2024

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QOSHE - Napoli Ottocento, Bellenger: «Racconto il vostro Degas, è il mio regalo a questa città» - Ida Palisi
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Napoli Ottocento, Bellenger: «Racconto il vostro Degas, è il mio regalo a questa città»

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27.03.2024

Mostra inaugurata alle Scuderie del Quirinale alla presenza di Mattarella. L'ex direttore: «La situazione a Capodimonte? È un’opera buffa»

Bellenger e MattarellaÂ

«A Capodimonte abbiamo esposto un Ottocento privato ma non è così, e dobbiamo ripresentarlo nel suo splendore, non semplificarlo secondo il gusto dei Savoia». Torna idealmente al Museo e Real Bosco di Capodimonte, che ha diretto per otto anni Sylvain Bellenger e che, quando era giovane, lo indusse a diventare storico dell’arte (sedotto dall’opera di Masaccio). La mostra "Napoli Ottocento" in programma nelle Scuderie del Quirinale a Roma è un grande atto d’amore per Napoli e per il lavoro fatto qui.Â

Direttore com’era la Napoli rappresentata dagli artisti dell’800?
«Diciamo che consideriamo il secolo dal 1750 fino alla prima guerra mondiale. Napoli resta una delle più grandi città del Regno che, dopo l’unità d’Italia, entra in dialogo più stretto con altre capitali europee, prima fra tutte Parigi. Dopo la scoperta di Pompei ed Ercolano gli artisti vengono qui perché vogliono vedere le città sepolte e scoprono la bellezza di Napoli. Qui nasce la pittura en plein air e Napoli è il cuore dell’Ottocento italiano».Â

Quante opere della mostra a Roma provengono dal museo........

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