Nel quartiere di Napoli si è sempre vociferato di un 40enne, possibile colpevole

Da sinistra: Ciro Imperante, Giuseppe Larocca e Luigi Schiavo con Roberto Saviano

Mi scuseranno i lettori e il giornale se uso questo spazio, solitamente dedicato ad articoli di economia, per una riflessione sulla tragedia delle bambine di Ponticelli del 1983 tornata d’attualità dopo che Roberto Saviano ha lanciato un appello per la riapertura del processo. Processo che portò alla condanna all’ergastolo dei “mostri”: Giuseppe La Rocca, Ciro Imperante e Luigi Schiavo. Si dà il caso che abitassi proprio nel palazzo accanto a quello di una delle due bambine, Nunzia, che ho visto crescere e giocare fino a quando un pomeriggio scomparve misteriosamente insieme con l’amichetta Barbara, dell’isolato di fronte. Avevano sette e dieci anni e i loro corpi furono ritrovati carbonizzati il giorno successivo in un canale sotto il ponte di Caravita. Se ci penso mi rimbombano ancora nelle orecchie le urla della madre di Nunzia, rese ancora più strazianti dal fatto che era sordomuta, come suo marito. Una coppia molto tranquilla, impiegato postale lui, casalinga lei. Due figli che non avevano la loro disabilità . Ero una diciottenne, più o meno la stessa età di La Rocca, Imperante e Schiavo quando furono arrestati.Â

Tre anni dopo, nel 1986, mi trovavo nell’aula del Tribunale di Castelcapuano nel momento in cui il supertestimone Carmine Mastrillo, incalzato da sua madre che gli chiedeva a voce alta di dire la verità , abbassò la testa e disse: «Sono stati loro». Mastrillo stava confermando la testimonianza iniziale che aveva successivamente ritrattato e io ero a pochi metri da lui. Da ventunenne, per mantenermi all’università , lavoravo part time in uno studio legale della zona. Si dà il caso, anche qui, che lo studio si trovasse nello stesso palazzo in cui abitava la fidanzata di uno dei tre, anche lei ascoltata come testimone nell’ambito delle indagini, e assistita dai legali per cui lavoravo. Andai in Tribunale per seguire un processo storico per la cronaca, ma anche per vedere in faccia i miei coetanei accusati di un crimine così orrendo. Era mai possibile? Anche io, come tanti, ho sempre nutrito dubbi sulla loro colpevolezza. Ma non saprei dire se più perché trovavo inconcepibile il nesso tra il profilo di tre ragazzi incensurati e insospettabili e lo stupro e duplice assassinio di bambine, oppure se per le tante incongruenze denunciate su questo caso dall’ex magistrato Ferdinando Imposimato e raccolte in un dossier di 1.400 pagine. Anche perché nel quartiere si è sempre vociferato di un uomo adulto, sulla quarantina, come possibile colpevole.

Il profilo di un pedofilo vero, molto più convincente (e rassicurante) di quello di tre giovani. Ma la giustizia ha fatto il suo corso e l’esito ha portato alla condanna dei tre, che hanno scontato 27 anni di carcere. «Sono innocenti», dice Saviano, che sicuramente ha letto le carte processuali e se ne è persuaso. Io, premetto, non ho la stessa conoscenza approfondita, ma ho vissuto quel periodo orribile da vicino, con tutto lo sconcerto e la tristezza per non vedere più Nunzia e Barbara correre in bicicletta e sui pattini a rotelle nella “piazzetta” sotto casa mia. È qui che è avvenuto l’adescamento. La piazzetta, oltre che dai bambini, cominciò a essere frequentata da ragazzi più grandi, a piedi o sui motorini. Era estate, si conoscevano di vista tutti, corse, risate, gelati e chiacchiere. E un invito a un picnic, rivolto anche a una terza bambina, Silvana, che per sua fortuna non andò all’appuntamento. Ma con chi, esattamente? Con Luigi, Ciro e Giuseppe oppure con un altro uomo rimasto impunito? L’ombra del dubbio, il titolo della docuserie di Sky dedicata alla vicenda, è molto azzeccato, forse più dell’assoluzione dei tre condannati proclamata da Saviano via social prima ancora che un nuovo tribunale si pronunci.

Ma Saviano crede nella sua battaglia, mentre io sono attanagliata da dubbi dopo quarant’anni, anche se penso che la revisione di un processo sia preferibile a ignorare un possibile errore giudiziario. Un aspetto che meriterebbe di essere approfondito è quale fosse esattamente il contesto in cui sono maturati i fatti. Le cronache e i filmati, compreso quello di Sky, raccontano Ponticelli come un’area degradata e fortemente infiltrata dalla camorra mettendo, però, insieme strade e complessi di edifici di diverse parti di un quartiere immenso e sfaccettato. Ma così non si capisce molto. Il contesto è quello del Rione Incis che nel 1983 era ancora un posto abbastanza tranquillo, un po’ defilato rispetto al resto. Era il rione degli statali: ferrovieri, personale di polizia, dell’aeronautica militare, dei vigili del fuoco (come il padre di Barbara) e dei postali (papà di Nunzia). Palazzi decenti e giardini curati, un tessuto sociale sano, un discreto decoro. Tutto è cambiato dopo il terremoto dell’80 quando con i fondi della legge 219 furono costruiti, a qualche chilometro di distanza, decine di torri bianche orribili per dare una casa ai senza tetto, ma anche a tanta gente senza arte né parte. Il degrado di oggi è stato generato anche da scelte politiche e urbanistiche che svuotarono il centro di Napoli da un “popolino” ingombrante.Â

Il 1983 è per il Rione Incis un anno di transizione, tra il nucleo abitativo storico, la piccola borghesia statale, e i tanti di passaggio che venivano dalle zone circostanti. Le bambine continuavano a scendere da sole in cortile, guardate dalla finestra dalle mamme, ma l’atmosfera non era più la stessa. Barbara e Nunzia sono andate incontro alla morte perché qualcuno nella “piazzetta”, che era l’equivalente del loro mondo, le aveva convinte ad allontanarsi. Un adulto, che, per forza, conoscevano. Una domanda che farei a Giuseppe, Ciro e Luigi, che si sono sempre proclamati innocenti, è se hanno mai frequentato la “piazzetta” — visto che non abitavano nel Rione Incis — e, in caso positivo, se e chi del gruppo dei grandi che lì bazzicavano quell’estate avessero visto parlare con le bambine nei giorni precedenti alla loro scomparsa. In fondo, era ed è uno spazio molto piccolo.

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21 gennaio 2024

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QOSHE - Massacro di Ponticelli,l’utilità di rifare il processo e la caccia all’«uomo adulto» - Mariarosaria Marchesano
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Massacro di Ponticelli,l’utilità di rifare il processo e la caccia all’«uomo adulto»

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21.01.2024

Nel quartiere di Napoli si è sempre vociferato di un 40enne, possibile colpevole

Da sinistra: Ciro Imperante, Giuseppe Larocca e Luigi Schiavo con Roberto Saviano

Mi scuseranno i lettori e il giornale se uso questo spazio, solitamente dedicato ad articoli di economia, per una riflessione sulla tragedia delle bambine di Ponticelli del 1983 tornata d’attualità dopo che Roberto Saviano ha lanciato un appello per la riapertura del processo. Processo che portò alla condanna all’ergastolo dei “mostri”: Giuseppe La Rocca, Ciro Imperante e Luigi Schiavo. Si dà il caso che abitassi proprio nel palazzo accanto a quello di una delle due bambine, Nunzia, che ho visto crescere e giocare fino a quando un pomeriggio scomparve misteriosamente insieme con l’amichetta Barbara, dell’isolato di fronte. Avevano sette e dieci anni e i loro corpi furono ritrovati carbonizzati il giorno successivo in un canale sotto il ponte di Caravita. Se ci penso mi rimbombano ancora nelle orecchie le urla della madre di Nunzia, rese ancora più strazianti dal fatto che era sordomuta, come suo marito. Una coppia molto tranquilla, impiegato postale lui, casalinga lei. Due figli che non avevano la loro disabilità . Ero una diciottenne, più o meno la stessa età di La Rocca, Imperante e Schiavo quando furono arrestati.Â

Tre anni dopo, nel 1986, mi trovavo nell’aula del Tribunale di Castelcapuano nel momento in cui il supertestimone Carmine Mastrillo, incalzato da sua madre che gli chiedeva a voce alta di dire la verità , abbassò la testa e disse: «Sono stati loro». Mastrillo stava confermando la testimonianza iniziale che........

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