La serie racconta in chiave romantica le storie di guerriglia nel Mezzogiorno postunitario. Lo studioso, con Simona De Luna, ha affrontato il tema in un libro appena pubblicato, «Brigantesse e briganti. Le due metà della banda»

Destinata a far discutere, approda oggi su Netflix la serie «Briganti», scritta dal collettivo Grams, in sei episodi ambientati nel 1862. La protagonista femminile è una donna benestante con un marito violento, che sceglie di fuggire nei boschi e aggregarsi alle bande di briganti in un Mezzogiorno appena unificato. Un western-crime che si annuncia glamour e accattivante e che non pone certo questioni storiografiche, ma si muove piuttosto sul piano avventuroso-romantico. Eppure tocca un tema che è ancora scottante, per molti versi. Se ne sono occupati, a livello scientifico, Domenico Scafoglio e Simona De Luna con una ricerca durata anni e confluita nel corposo volume edito da Guida nei mesi scorsi, Brigantesse e briganti. Le due metà della banda. Con l’antropologo Scafoglio, proviamo a fare chiarezza su un argomento sul quale si addensano ancora stereotipi e letture superficiali.

Briganti o eroi, professore? «Per me sono stati eroi», dichiara senza mezze misure. «Erano circa 300 uomini, con a capo personalità come quella di Crocco. Per quasi dieci anni diedero fastidio all’esercito piemontese, sulla base dei loro principi e di innegabili capacità belliche».Â

Nessun timore di avvicinarsi a posizioni neoborboniche?
«I neoborbonici talvolta hanno espresso legittime questioni sull’identità meridionale. Il problema è che sono anacronistici, credono di vivere al tempo stesso dei briganti. Invece Simona De Luna e io abbiamo ricostruito la cultura di cui quel movimento è stato espressione».

«La mia prima idea», aggiunge lo studioso parlando delle origini del documentatissimo saggio, «fu quella di restituire l’epica della guerriglia contadina, la lotta di quelle bande armate che avevano messo in difficoltà la metà circa dell’intero esercito italiano, impegnato in una delle più spietate repressioni dell’età moderna, e alla fine erano state sconfitte, ma non senza essersi guadagnate i riconoscimenti importanti dai suoi stessi nemici.
Per un altro verso non si poteva non dare il giusto rilievo, se non una centralità , a una guerra fratricida, che, unitamente all’ invasione straniera, alla perdita dell’autonomia e al trionfo della parte più oscurantista della società meridionale, segnò l’incipiente declino della nazione, della società e della cultura meridionale, con lo snaturamento delle sue vocazioni migliori, l’oblio del proprio passato e la compromissione del suo futuro».

Ma cosa è venuto fuori dalla lunga ricerca, effettuata anche attraverso fonti mai consultate prima?
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«La nostra conclusione, interamente nuova, è stata che il brigantaggio, nonostante la sua sconfitta e distruzione, liberò straordinarie energie, mostrando le capacità di mutamento e di creatività una cultura immaginata come immobile nella sua arcaica solidità : quegli anni terribili videro l’emergere di giovani strateghi analfabeti di grande talento, con notevoli capacità organizzative e militari, che fondevano quello che avevano imparato come soldati dell’esercito borbonico con le esperienze del precedente brigantaggio endemico, risvegliate dalla memoria storica delle tragiche prodezze del sanfedismo settecentesco. La guerriglia modificò la vita dei contadini e pastori diventati briganti, senza cancellarla; e le condizioni della vita alla macchia, cui erano da sempre assuefatti, ora, governate dalla dura legge della guerra e dalla logica della sopravvivenza, stimolarono la formazione di nuove forme di organizzazione, di strutture gerarchiche che conciliavano egalitarismo e meritocrazia, partecipazione comunitaria e potere autorevole dei capi».

Una guerriglia alla quale parteciparono anche le donne?Â
«Sì, le donne diventarono guerriere e complici coraggiose di guerrieri, brigantesse o “manutengole”. Un elemento di sorprendente originalità storica che però ha anche analogie con alcuni fenomeni diffusi su scala planetaria, come le bande del Sertao brasiliano. La scoperta della figura della combattente, che lascia la casa e il paese per entrare nella banda, rappresenta uno degli eventi più sorprendenti e innovativi del quadro. Questa esperienza modifica la stessa vita degli uomini, che finiscono per accettare la donna per il contributo bellico che fornisce alla comitiva. È una metamorfosi dalle molteplici sfaccettature: la brigantessa comincia come gregaria, ma subisce un processo spontaneo di mascolinizzazione, per integrarsi nel gruppo dei maschi e condividere il loro potere e il loro destino. In fondo si può dire che senza la partecipazione femminile il brigantaggio non sarebbe forze esistito. Le brigantesse erano una minoranza di donne combattenti, ma la vita della banda era resa possibile anche dalla complicità dalle “manutengole”, di solito parenti o amanti dei fuorusciti, che assicuravano ad essi rifornimenti, informazioni sui movimenti dei soldati, oltre che nasconderli quando erano in pericolo. Per il loro numero, costituivano insieme alle loro famiglie una sorta di esercito occulto all’interno dei paesi e delle città ».

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23 aprile 2024 ( modifica il 23 aprile 2024 | 10:06)

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«Briganti», da oggi su Netflix L’antropologo: «Sono stati eroi: in 300 tennero in scacco i piemontesi per anni»

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23.04.2024

La serie racconta in chiave romantica le storie di guerriglia nel Mezzogiorno postunitario. Lo studioso, con Simona De Luna, ha affrontato il tema in un libro appena pubblicato, «Brigantesse e briganti. Le due metà della banda»

Destinata a far discutere, approda oggi su Netflix la serie «Briganti», scritta dal collettivo Grams, in sei episodi ambientati nel 1862. La protagonista femminile è una donna benestante con un marito violento, che sceglie di fuggire nei boschi e aggregarsi alle bande di briganti in un Mezzogiorno appena unificato. Un western-crime che si annuncia glamour e accattivante e che non pone certo questioni storiografiche, ma si muove piuttosto sul piano avventuroso-romantico. Eppure tocca un tema che è ancora scottante, per molti versi. Se ne sono occupati, a livello scientifico, Domenico Scafoglio e Simona De Luna con una ricerca durata anni e confluita nel corposo volume edito da Guida nei mesi scorsi, Brigantesse e briganti. Le due metà della banda. Con l’antropologo Scafoglio, proviamo a fare chiarezza su un argomento sul quale si addensano ancora stereotipi e letture superficiali.

Briganti o eroi, professore? «Per me sono stati eroi», dichiara senza mezze misure. «Erano circa 300 uomini, con a capo personalità come quella di Crocco. Per quasi dieci anni diedero fastidio all’esercito piemontese, sulla base dei loro principi e di innegabili capacità belliche».Â........

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