Il poeta e paesologo racconta l'epoca dell'«homo timens»: «È l'epoca delle paure, gli ospedali sono le nuove cattedrali dove andare per ottenere l'assoluzione». E ora organizza anche un Festival

Franco Arminio

«L’uomo di questo secolo è ipocondriaco per eccellenza. Lo definisco homo timens, esemplare caratterizzato dalla paura. Siamo nell’età dello spavento, sia individuale sia collettivo». Franco Arminio, poeta e paesologo, non ha mai fatto mistero delle proprie fragilità , che rispecchiano quelle di una generazione. E proprio di timori e di ansie, ma anche di felicità e di ricerca di senso, Arminio parlerà da oggi a domenica durante le «Quattro giornate di Bisaccia», festival organizzato nell’«Irpinia d’Oriente», a 43 anni dal terremoto. Il poeta ha invitato intellettuali e artisti ma anche amici, semplici cittadini, insomma tutti coloro che sono interessati «alle cose anonime e trascurate». Il programma? Oltre gli incontri, anche passeggiate. «Andremo nei vicoli dove non va più nessuno, apriremo case che da tempo non apre nessuno. Useremo le strade, la luce, anche la pioggia se verrà . Useremo i nostri corpi fragili, parleremo di ipocondria, parleremo dei nostri lutti, ma anche delle nostre passioni. Mangeremo cose buonissime a cominciare dalla pasta e fagioli di mio fratello».Â

Arminio, sull’ipocondria lei dialogherà con lo scrittore e critico lucano Andrea Di Consoli, condividete la stessa visione?Â
«Sì, Andrea è come me. Ricordo che a Perugia stava presentando un mio libro quando tirò fuori la boccetta di Xanax, subito lo presi anche io dalla tasca e la presentazione continuò con gli ansiolitici sul tavolo, mentre il pubblico rideva».Â

Che tipo di ipocondriaco è lei? Quello che va a fare mille visite mediche?
 «No, assolutamente. Le fuggo, mi faccio dare i numeri dei migliori specialisti e poi trovo mille scuse e non chiamo. A questo proposito, annuncio che al festival ci sarà un mio amico medico-umanista, Michele Giasullo, che farà visite gratuite a chi lo desidera. Del resto perché le persone vanno ai festival? Perché stanno male».Â

Ma perché questa epoca ha tanta paura? Eppure il progresso ci ha portato lontano...Â
«Siamo più soli, non esistono più le rivoluzioni e la politica e nemmeno la religione ha più tanta presa. Prima eri proiettato verso l’esterno, ora verso l’interno, dove c’è sempre qualcosa che non va. C’è un ripiegamento, un ristagno narcisistico sul corpo, che produce sintomi immaginari».Â

Quindi l’ipocondria non è più un problema individuale?Â
«È una patologia di massa, come la depressione. Viene avvertita moltissimo la fragilità del corpo, ma molti non lo dicono perché si vergognano. Invece è un problema che va elaborato collettivamente».Â

Cosa può aiutarci? L’ironia?Â
«Quella di sicuro. Io stesso ho scritto qualche tempo fa le Cartoline dei morti, in cui curavo i miei attacchi di panico assumendo la voce dei morti ma con una vena umoristica. Per esempio: “Morto alle 6 del mattino, un modo come un altro per cominciare la giornata”. L’ironia è quasi l’unica arma che abbiamo».Â

Da dove viene la tua ipocondria?Â
«Me l’ha messa dentro mia madre. Mi ha trasmesso l’idea che fossi fragile a partire da una difterite infantile per cui fui ricoverato. E poi io temevo moltissimo che lei si ammalasse. Mio fratello ha pochi anni di differenza da me e non è così ipocondriaco. Mia madre lo ha tenuto in braccio con un sentimento diverso».Â

Quanto è aumentata l’ipocondria collettiva con il covid?Â
«Naturalmente moltissimo. A me non è successo nulla, già ero pauroso al massimo. Anzi, a un certo punto ho reso noto il mio numero telefonico come esperto di panico, ricevevo chiamate dalle 8 alle 14, è stato sfiancante. Ricordo una signora di Bergamo che mi disse: qui non si muore, si sparisce... ed era proprio così, la gente veniva portata via e non sapevi se era viva o morta. Una signora di 80 anni dell’isola d’Elba mi disse che le mancavano i baci, quelli carnali... Un infermiere mi confessò che con la sua compagna non riuscivano più ad avere intimità . Dopo tutto questo, è rimasto qualcosa nella testa delle persone».Â

La letteratura può essere una cura?Â
«Per qualcuno sì, per me no. Però ricevo almeno un messaggio di ringraziamenti al giorno, in cui i lettori mi dicono che li ho aiutati. Del resto anche la psicoanalisi lavora con le parole». C’è un episodio di ansia che ricorda in particolare? «Una volta corsi all’ospedale di Avellino per un attacco di panico che credevo fosse un attacco cardiaco. Avevo dolore al petto che si irradiava al braccio. L’infermiere mi fece stendere per farmi l’elettrocardiogramma, avviò la macchina e poi tacque. Poco dopo mi disse che dovevamo salire in reparto. Quei cinque minuti in ascensore sono stati per me quelli di un condannato a morte, ero certo che mi avrebbero operato d’urgenza. Invece il problema era solo che l’apparecchio giù non funzionava bene, bisognava rifare il tracciato».Â

Non le fa impressione entrare in ospedale?Â
«I Policlinici sono le nuove cattedrali, il primario è il vescovo, affronti la tac con un vago senso di colpa per non aver fatto una vita sana, se poi va tutto bene hai l’assoluzione. È una pratica magica. Invece l’assoluzione dovrebbe dartela la vita. Bisognerebbe capire che si morirà comunque, ma intanto siamo vivi. La malattia è il tempo che passa».Â

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23 novembre 2023

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Arminio: «Vi racconto la mia ipocondria, l'ansia anche per una sola visita medica»

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23.11.2023

Il poeta e paesologo racconta l'epoca dell'«homo timens»: «È l'epoca delle paure, gli ospedali sono le nuove cattedrali dove andare per ottenere l'assoluzione». E ora organizza anche un Festival

Franco Arminio

«L’uomo di questo secolo è ipocondriaco per eccellenza. Lo definisco homo timens, esemplare caratterizzato dalla paura. Siamo nell’età dello spavento, sia individuale sia collettivo». Franco Arminio, poeta e paesologo, non ha mai fatto mistero delle proprie fragilità , che rispecchiano quelle di una generazione. E proprio di timori e di ansie, ma anche di felicità e di ricerca di senso, Arminio parlerà da oggi a domenica durante le «Quattro giornate di Bisaccia», festival organizzato nell’«Irpinia d’Oriente», a 43 anni dal terremoto. Il poeta ha invitato intellettuali e artisti ma anche amici, semplici cittadini, insomma tutti coloro che sono interessati «alle cose anonime e trascurate». Il programma? Oltre gli incontri, anche passeggiate. «Andremo nei vicoli dove non va più nessuno, apriremo case che da tempo non apre nessuno. Useremo le strade, la luce, anche la pioggia se verrà . Useremo i nostri corpi fragili, parleremo di ipocondria, parleremo dei nostri lutti, ma anche delle nostre passioni. Mangeremo cose buonissime a cominciare dalla pasta e fagioli di mio fratello».Â

Arminio, sull’ipocondria lei dialogherà con lo scrittore e critico lucano Andrea Di Consoli, condividete la stessa visione?Â
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