L'attore napoletano, 85 anni, premio alla carriera al PulcinellaFilmFest, si racconta: «Con Pasolini diventammo amici, gli dissi che non mi sarei mai spogliato sul set e lui rise. Sorrentino è un genio ma ha un brutto carattere»

Giacomo Rizzo in una scena de «L'amico di famiglia», di Paolo Sorrentino

«Vecchio io? Macché! Anagraficamente lo sarei, ma non penso di diventarlo davvero prima di una ventina di anni». Ha tanti progetti Giacomo Rizzo, 85 anni a gennaio, arrivato sulle scene da ragazzino, come “il piccolo Totò” per la somiglianza con il principe della risata: statura non eccezionale, mento pronunciato, comicità nel sangue.

Un modello inarrivabile: lo ha conosciuto?
«Sì, in un paio di occasioni. Ho anche fatto un piccolissimo ruolo in “Operazione San Gennaro” proprio per poterlo vedere all’opera sul set. Dopo venne Nino Manfredi che mi volle in “Pane e cioccolato”. Avevo debuttato nel ’47 con Mario Merola, nella sceneggiata. Un’esperienza formativa».

Poi c’è stato un altro incontro importante nella sua carriera, con Pasolini.
«Sì, in Galleria, luogo dove noi attori ci ritrovavamo, seppi che Pasolini faceva provini al Jolly Hotel e mi precipitai. Così lo conobbi ma ci tenni a precisare che non mi sarei mai spogliato per esigenze sceniche, avevo vergogna… ma lui rise e mi disse che non ce n’era bisogno e mi prese per il Decameron».

Com’era Pasolini sul set?
«Molto forte e deciso, robusto anche fisicamente, gli piaceva giocare a pallone e a volte si allontanava dalla sala di doppiaggio per andare a scambiare quattro calci con dei ragazzi, lì parlava romanaccio, si scazzottava… diventammo amici, è stato un essere umano di grandissimo spessore».

Attualmente lei è nelle sale con “In fila per due”, dove interpreta un sindaco alle prese con il Vesuvio e i suoi potenziali rischi di eruzione.
«Un film divertente, fatto da giovani, che però è di grande attualità , vista la situazione dei Campi Flegrei con il bradisismo».

Tra cinema e teatro qual è la sua vera passione?
«Tutti e due, il teatro mi dà grandi soddisfazioni ma purtroppo sono lontano dai palcoscenici da due anni. Il Covid mi ha bloccato, nella prima fase della pandemia sono stato ricoverato in ospedale quaranta giorni tra la vita e la morte e ho perso diverse occasioni. Ora però ho scritto una commedia su “due cuori e una capanna”, vedremo. Quando la rileggo rido da solo! E sto scrivendo anche la mia autobiografia che si intitolerà “Mi ritorna in mente”, come la canzone di Battisti» (canta a squarciagola).

E per il grande schermo?
«Dovevo fare un film importante, in cui interpretavo un malato di Alzheimer, ma non abbiamo avuto i fondi del ministero, come è accaduto alla Cortellesi. Peccato non averlo girato».

Un film importante lo ha fatto con Paolo Sorrentino, “L’amico di famiglia”.
«Sì, un grande successo anche a Cannes. Sorrentino è un genio straordinario ma non ha un bel carattere. Dal film in poi non mi ha mai più parlato, gli avrò fatto 40-50 telefonate. Ma niente, non mi ha mai risposto. Eppure tutti mi hanno osannato per quel ruolo».

Quel ruolo parla di un’ossessione d’amore… Lei ha avuto tanti amori, è vero?
«Quattro donne importanti, tutte bellissime, e tutte mi hanno lasciato. Perché per la donna l’amore a un certo punto finisce, invece per me non finisce mai, non so disinnamorarmi. Comunque sono rimasto in ottimi rapporti e mi hanno dato le mie splendide figlie, quindi ora ho deciso, non voglio innamorarmi più!».

Lei riceverà un premio alla carriera al PulcinellaFilmFest il 7 dicembre. Cosa resta oggi della tradizione scenica napoletana?
«Rischia di non rimanere più nulla. Nessuno sa più scrivere il napoletano e a volte nemmeno pronunciarlo. Ho paura che a breve non si potranno più recitare né Eduardo né Viviani. Sui social girano versioni orribili del napoletano, che è una lingua vera e propria. Io sogno una scuola attoriale e mi propongo come maestro. E vorrei vedere in scena e sui set veri attori, non persone prese dalla strada. Quello dell’attore è un mestiere importante, si impara e non si improvvisa. Con tante serie ambientate a Napoli, quello della formazione attoriale è un lavoro che andrebbe fatto sul serio».
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4 dicembre 2023

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Giacomo Rizzo: «Sorrentino dopo il film insieme non mi ha più risposto: gli ho fatto circa 50 telefonate»

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04.12.2023

L'attore napoletano, 85 anni, premio alla carriera al PulcinellaFilmFest, si racconta: «Con Pasolini diventammo amici, gli dissi che non mi sarei mai spogliato sul set e lui rise. Sorrentino è un genio ma ha un brutto carattere»

Giacomo Rizzo in una scena de «L'amico di famiglia», di Paolo Sorrentino

«Vecchio io? Macché! Anagraficamente lo sarei, ma non penso di diventarlo davvero prima di una ventina di anni». Ha tanti progetti Giacomo Rizzo, 85 anni a gennaio, arrivato sulle scene da ragazzino, come “il piccolo Totò” per la somiglianza con il principe della risata: statura non eccezionale, mento pronunciato, comicità nel sangue.

Un modello inarrivabile: lo ha conosciuto?
«Sì, in un paio di occasioni. Ho anche fatto un piccolissimo ruolo in “Operazione San Gennaro” proprio per poterlo vedere all’opera sul set. Dopo venne Nino Manfredi che mi volle in “Pane e cioccolato”. Avevo debuttato nel ’47 con Mario Merola, nella sceneggiata. Un’esperienza formativa».

Poi c’è stato un altro incontro importante nella sua carriera, con Pasolini.
«Sì, in Galleria, luogo dove noi attori ci ritrovavamo, seppi che Pasolini faceva........

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