Torna al Bellini lo spettacolo «Tre modi per non morire» con Toni Servillo. L’autore parla del ruolo dell’intellettuale e dei suoi progetti, tra cui un nuovo romanzo

A sentirsi chiamare «maestro», Giuseppe Montesano sarebbe senz’altro pronto a schermirsi e forse anche a farsi una risata. Eppure, a conti fatti, lo è. E Napoli ha realmente bisogno di intellettuali liberi e acuti come lui. Nei suoi ultimi libri, lo scrittore visionario e febbrile degli anni Novanta sembra cercare la via per fondare un nuovo umanesimo, senza proclami eccessivi, ma indicando alcune strade percorribili. A cominciare dalla letteratura, che non può essere intrattenimento, ma ha una ben chiara funzione civile. Montesano ci spinge a diventare «lettori selvaggi», ovvero quelli che leggono in treno, in metro, sotto il tavolo... E ci indica percorsi per sopravvivere in un tempo così difficile e anestetizzante come il nostro.
Un’occasione per ascoltare le sue parole, attraverso la magistrale interpretazione di Toni Servillo, è offerta ora dal teatro Bellini dove torna in scena (dal 19 al 23) lo spettacolo tratto da Tre modi per non morire, che ha già riscosso grande successo nella passata stagione. Un viaggio poetico che prende le mosse da tre riferimenti: Baudelaire, Dante, i Greci, per cercare un antidoto «alla paralisi del pensiero».

Montesano, lo spettacolo è basato dal suo testo. Lo sente come una sua «creatura» tanto quanto il libro?
«Una mia creatura senza dubbio, come il libro no. Il teatro, se è teatro vivo, è sempre diverso dai libri. Quando ascolto e vedo in scena Servillo ascolto altre cose, altre emozioni, altre sfumature: vengono dalle mie parole, ma la voce e il corpo di Servillo, che le incarnano, trasformano le mie parole, e mi fanno pensare e sentire in modo nuovo».

Com’è andata la collaborazione con Toni Servillo?
«L’ho raccontato in Tre modi per non morire. Abbiamo lavorato alla stessa cosa, lo spettacolo che è il libro e il libro che è lo spettacolo, ognuno con le proprie energie, ognuno prendendo dall’altro e dal suo modo di fare arte tutto ciò che poteva prendere. Questo presuppone la voglia di ascoltarsi, il dialogo non fasullo ma il dialogo reale, che fra me e Toni è vivo e agisce anche al di là della razionalità . Agisce in profondo, emotivamente. Quando lavoriamo, per me ascoltare Toni che pesa una frase, la dice, la ripete, e mi interroga mentre in realtà interroga sé stesso, è un momento creativo impagabile, perché mi permette di vedere come le parole si fanno teatro. In modo essenziale. In modo che la scena, attraverso il suo corpo di attore, riveli la verità delle parole».

È uno scrittore abbastanza appartato, sui giornali parla più di libri che di attualità o politica. Serve ancora l’intellettuale militante?

«Forse il punto non è se serve un intellettuale che interviene sulle questioni politiche o imparentate con la politica, e cioè tutte: ma cosa può mai fare oggi. Un intellettuale che interviene sui fatti del giorno esiste se vive di un contesto che lo ascolta e dialoga con lui, e oggi chi ascolta davvero chi? Da tempo il sistema mediatico è diventato un circolo vizioso. I media lanciano questioni e i social le riprendono, poi i media riprendono le questioni passate sui social, e via all’infinito nel chiasso che nasconde la realtà . Ognuno seleziona ciò che è più superficiale e si presta al clic nevrotico mi piace/non mi piace. A chi cerca di pensare sul serio non interessa questo clic nevrotico, perché è menzognero. Ma se chi cerca di pensare vuole entrare nel discorso menzognero collettivo deve anche lui semplificare, sì/no, e a me semplificare non interessa, perché il clic sì/no tradisce la realtà , sempre complessa. Quindi racconto i libri, e con essi cerco di offrire a me e ai lettori una molteplicità di emozioni e visioni del mondo, diverse e in contrasto tra loro, che ci aiutano a capire e a vivere. La letteratura apre la mia mente oppressa o ipnotizzata, i miei sensi svuotati o imprigionati, e vorrei che aprisse la mente e i sensi di chi mi legge».

In ogni caso, i suoi ultimi libri segnano una presa di posizione precisa. La letteratura, intesa in senso alto, è salvifica. Il mondo che ci circonda è in fiamme, forse irreversibilmente… Cosa lasciamo in eredità alle nuove generazioni?
«Forse la spinta a scrivere Lettori selvaggi e Come diventare vivi è nata dal desiderio di mettere nello zainetto delle nuove generazioni, ma anche nel mio e di chiunque, tutto ciò che era bello e vero, e che gli artisti del passato conoscevano, sa, un po’ come uno che deve partire per un luogo inesplorato, il futuro, e nello zainetto mette le cose essenziali per costruire o ricostruire la sua vita. A chi viene dopo di noi non dovremmo lasciare chiacchiere e cenere, ma parole piene di senso e qualche pozza d’acqua non inquinata. Poi toccherà a loro, e a noi, l’impresa del viaggio».

È passato dalla narrativa alla saggistica, anche se è elaborata in maniera del tutto personale, come mai?
«Che domanda difficile. Ho sentito che era urgente raccontare non più storie di immaginazione, ma raccontare gli scrittori, le loro vite, le vite dei loro personaggi, e la possibilità straordinaria che abbiamo, attraverso la lettura che diventa vita, di non essere più schiavi. Raccontare i libri come personaggi viventi e invitare i lettori a parlare con loro. Ora ci si lamenta perché secondo i test la capacità di lettura e di ragionamento dei giovani è diminuita. Sarà vero, o saranno sbagliati i test e chi li inventa? E poi: i lamentosi sono sicuri che gli adulti sappiano leggere, cioè che siano capaci di decifrare i libri e il mondo reale? O gli adulti leggono, e male, le frasette dei social dove ci si azzanna su una pseudo-politica e su uno pseudo-mondo? A vedere il degrado della società , e penso al maschilismo patriarcale e omicida a ogni età , direi che sono in tanti a non saper decifrare il mondo, l’amore, la vita. Se come scrittore riuscissi a trasmettere che solo un certo modo di leggere e pensare, vitale e non morto o aggressivo, ci insegna l’attenzione amorosa e lucida che è necessaria a vivere pienamente, ci permette di leggere la realtà e così di salvarci, sarei felice».

Alcuni suoi romanzi sono assolutamente profetici, basta guardare la Napoli Luna Park in cui viviamo oggi…

«Tutto era già visibile nel 2001 in cui lo raccontavo. Bisognava solo leggerlo. Io l’ho visto, come se vedessi un’allucinazione che diventa reale, che prende corpo. La paura, anzi il terrore, che Napoli diventasse una controfigura fasulla di sé stessa è stata la spinta a scrivere Di questa vita menzognera. Oggi per Napoli la turistificazione è come la scoperta del Nuovo Mondo: distruggerà noi indigeni o ci migliorerà ? Forse le due possibilità sono ancora in pareggio, ma bisognerebbe decidersi se stare con la distruzione mascherata da benessere, o con il benessere senza distruzione. Cosa sceglieremo? Del resto sono convinto che chiunque, anche oggi, potrebbe fare una previsione su ciò che verrà : basta leggere con attenzione dietro lo schermo di menzogne con cui ci nutrono, e la realtà ci spiega tutto. Scrivere romanzi è come sollevare un sipario e raccontare cosa c’è dietro il sipario ingannevole, raccontare il male e il bene, il riso e il pianto, l’amore e il disamore. E il mistero di questa città , che ti sfiora e non lo puoi mai dire completamente, e proprio per questo sei sempre tentato dal volerlo raccontare. Ancora. Di nuovo. Nonostante tutto».

Ma se scriverà , come mi sembra di capire, un romanzo, sarà una commedia o una tragedia?
(Ride.) «Ah, questo non lo so. Ma sarebbe certo come nella vita, dove tragedia e commedia si toccano e ballano insieme, inseparabili».

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15 dicembre 2023

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QOSHE - Giuseppe Montesano: «Circolo vizioso tra social e media: ogni like è menzognero» - Mirella Armiero
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Giuseppe Montesano: «Circolo vizioso tra social e media: ogni like è menzognero»

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15.12.2023

Torna al Bellini lo spettacolo «Tre modi per non morire» con Toni Servillo. L’autore parla del ruolo dell’intellettuale e dei suoi progetti, tra cui un nuovo romanzo

A sentirsi chiamare «maestro», Giuseppe Montesano sarebbe senz’altro pronto a schermirsi e forse anche a farsi una risata. Eppure, a conti fatti, lo è. E Napoli ha realmente bisogno di intellettuali liberi e acuti come lui. Nei suoi ultimi libri, lo scrittore visionario e febbrile degli anni Novanta sembra cercare la via per fondare un nuovo umanesimo, senza proclami eccessivi, ma indicando alcune strade percorribili. A cominciare dalla letteratura, che non può essere intrattenimento, ma ha una ben chiara funzione civile. Montesano ci spinge a diventare «lettori selvaggi», ovvero quelli che leggono in treno, in metro, sotto il tavolo... E ci indica percorsi per sopravvivere in un tempo così difficile e anestetizzante come il nostro.
Un’occasione per ascoltare le sue parole, attraverso la magistrale interpretazione di Toni Servillo, è offerta ora dal teatro Bellini dove torna in scena (dal 19 al 23) lo spettacolo tratto da Tre modi per non morire, che ha già riscosso grande successo nella passata stagione. Un viaggio poetico che prende le mosse da tre riferimenti: Baudelaire, Dante, i Greci, per cercare un antidoto «alla paralisi del pensiero».

Montesano, lo spettacolo è basato dal suo testo. Lo sente come una sua «creatura» tanto quanto il libro?
«Una mia creatura senza dubbio, come il libro no. Il teatro, se è teatro vivo, è sempre diverso dai libri. Quando ascolto e vedo in scena Servillo ascolto altre cose, altre emozioni, altre sfumature: vengono dalle mie parole, ma la voce e il corpo di Servillo, che le incarnano, trasformano le mie parole, e mi fanno pensare e sentire in modo nuovo».

Com’è andata la collaborazione con Toni Servillo?
«L’ho raccontato in Tre modi per non morire. Abbiamo lavorato alla stessa cosa, lo spettacolo che è il libro e il libro che è lo spettacolo, ognuno con le........

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