Il direttore del museo napoletano: «Mostre da esportare ma a pagamento»

«La mia candidatura a sindaco di Firenze è un’ipotesi realistica. Per il periodo della campagna elettorale sarei in aspettativa. Poi, se fossi eletto sindaco ovviamente mi dimetterei, ma solo il Pd napoletano ha già la certezza della mia elezione!».

Eike Schmidt gusta la sua cioccolata calda con calma, al bar del museo di Capodimonte, sotto un tiepido sole primaverile. Si concede una breve pausa, mentre l’assistente già lo incalza, ci sono riunioni da convocare, carte da esaminare, il direttore appare in piena attività , ostenta distanza dalla politica. «Se non mi fossi insediato, in questi mesi sarebbe stato un grande problema per il museo. C’erano decisioni importanti da prendere, non si poteva bloccare tutto».

Ora che sta preparando la lista civica e la discesa in campo alle amministrative di Firenze come si reggerà il museo?

«Sono solo 45 giorni! Castel Sant’Elmo e il Mann, che sono rimasti senza direttori, non hanno certo chiuso, continuano a funzionare. E anche noi abbiamo avviato il lavoro con incontri settimanali con i funzionari. Tutto andrà avanti. Per quanto riguarda Firenze, la lista civica è in costruzione, c’è molto interesse per il progetto. Se la cosa andrà in porto la presentazione non ci sarà prima di questo weekend, forse anche nei giorni successivi».

Intanto però Capodimonte soffre per i prestiti prolungati di opere, da Parigi a Torino e a Roma, e durante Pasqua ha fatto registrare numeri abbastanza bassi di visitatori.
«Con la mostra dei capolavori di Capodimonte a Parigi è passato il messaggio che il museo fosse chiuso. Mi è capitato di parlare con napoletani, ma anche con persone nel resto d’Italia e all’estero e molti erano convinti che i lavori in corso avessero imposto la chiusura di Capodimonte. E anche chi sa che non è chiuso pensa che non valga la pena venirci, mentre invece tanti capolavori sono ancora qui, come quelli di Vasari, Tiziano, Simone Martini e cento sale sono aperte. Certo, il museo andrà rilanciato, ma ora non è affatto chiuso».

Manca però uno dei fiori all’occhiello, la Flagellazione di Caravaggio. Come mai non è tornato «a casa» dopo il prestito ed è invece in mostra a Donnaregina?
«Quel quadro non è di Capodimonte ma del Fec, fondo edifici di culto».

Di cui lei è presidente...
«Certo, ma ci sono anche i consiglieri e conta il parere della soprintendenza. In effetti si è voluto celebrare il ritorno del quadro a Napoli, mettendolo in connessione con l’altro Caravaggio, esposto al Pio Monte della Misericordia, poco distante, visitabile con un biglietto unico».

Ma non si ferma qui il viaggio di Caravaggio.
«No, da giugno a settembre andrà a Torino a raggiungere gli altri capolavori di Capodimonte in mostra, poi tornerà definitivamente e starà fermo per un bel po’».

Era stato anche ipotizzato che venisse riportato alla sua sede originale, San Domenico Maggiore.
«Il Fec ha sempre lasciata aperta questa ipotesi, ma solo nel caso che si realizzasse un museo di San Domenico Maggiore che non potrebbe essere pronto prima di cinque anni. La Flagellazione andrebbe esposta in una sede adeguata del complesso, non in quella dove era alloggiato, che faceva parte della clausura ed è poco accessibile».

Come ha trovato Capodimonte al suo insediamento?
«Il Parco è migliorato in maniera straordinaria. Ma il grande problema del museo è il fatto che dopo Spinosa si è interrotta la funzione attrattiva delle mostre. Il numero dei visitatori è progressivamente diminuito e il museo ha dovuto contare sempre più sui fondi ministe-riali. Lo sbigliettamento non raggiungeva il 10 per cento e non c’è stata una spinta per invertire la rotta. Ora stiamo provando ad attivare nuove fonti di reddito per il museo, per esempio realizzando mostre che offriamo ad altri musei dietro pagamento di un canone. Non vogliamo mandare in giro le opere iconiche del museo, ma quelle che sono nei ricchissimi depositi. L’idea è quella di guadagnare un milione e mezzo all’anno e il primo accordo è stato già firmato».

Quali sono i costi più alti per il museo?
«Abbiamo sempre meno dipendenti statali. Ci sono quelli di Ales per i servizi aggiuntivi e la vigilanza privata per il giardino. I costi sono saliti e la situazione economica del museo si è indebolita; ci vuole una svolta. Attraverso un’offerta stabile bisogna far crescere i visitatori».
Oltre ai lavori tecnici di ammodernamento, ci saranno variazioni nell’allestimento?
«Riprendiamo il progetto di Cabinet delle porcellane di Federico Forquet, con oltre seimila pezzi della raccolta borbonica che renderanno spettacolare il percorso. Forquet, a 93 anni, è ancora vulcanico: collaborare con lui, che partecipò all’inaugurazione del museo di Capodimonte nel 1957, significa imparare sempre qualcosa. Se dovessi lasciare Napoli sarebbe un grande rimpianto lasciare questo lavoro».

E i progetti avviati da Bellenger sull’arte contemporanea?
«Per quanto riguarda la Palazzina dei Principi, che ospiterà la collezione di Lia Rumma, abbiamo risolto il problema del Rup, responsabile unico del progetto. L’architetto incaricato è andato in pensione qualche mese fa, così si è creata una vacatio per la carenza di personale di cui soffriamo da tempo. Poi è subentrata una collaborazione con un architetto della soprintendenza e tutto è rientrato sui binari. C’era preoccupazione sulla fattibilità perché il finanziamento può scadere. Sono stato a Roma e mi hanno assicurato che i fondi ci sono. Dovremmo farcela per fine 2025, inizi 2026».

E per Mimmo Jodice?
«Un progetto importante. Sono contento che lo abbia previsto il masterplan di Bellenger ma ora bisogna passare alla fase operativa. Finora era una bellissima idea e niente più. Bisogna trovare i finanziamenti, che per Rumma già ci sono. Sarà un progetto non solo museale ma anche di formazione per i giovani. Tra l’altro Mimmo Jodice ha sempre utilizzato tecniche analogiche e non digitali e molti nuovi fotografi stanno ripercorrendo questa strada. A Napoli il futuro ripartirà dal passato».

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4 aprile 2024 ( modifica il 4 aprile 2024 | 07:19)

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QOSHE - Schmidt: «Risanerò le finanze del Museo. Ma se sarò eletto sindaco di Firenze lascerò» - Mirella Armiero
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Schmidt: «Risanerò le finanze del Museo. Ma se sarò eletto sindaco di Firenze lascerò»

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04.04.2024

Il direttore del museo napoletano: «Mostre da esportare ma a pagamento»

«La mia candidatura a sindaco di Firenze è un’ipotesi realistica. Per il periodo della campagna elettorale sarei in aspettativa. Poi, se fossi eletto sindaco ovviamente mi dimetterei, ma solo il Pd napoletano ha già la certezza della mia elezione!».

Eike Schmidt gusta la sua cioccolata calda con calma, al bar del museo di Capodimonte, sotto un tiepido sole primaverile. Si concede una breve pausa, mentre l’assistente già lo incalza, ci sono riunioni da convocare, carte da esaminare, il direttore appare in piena attività , ostenta distanza dalla politica. «Se non mi fossi insediato, in questi mesi sarebbe stato un grande problema per il museo. C’erano decisioni importanti da prendere, non si poteva bloccare tutto».

Ora che sta preparando la lista civica e la discesa in campo alle amministrative di Firenze come si reggerà il museo?

«Sono solo 45 giorni! Castel Sant’Elmo e il Mann, che sono rimasti senza direttori, non hanno certo chiuso, continuano a funzionare. E anche noi abbiamo avviato il lavoro con incontri settimanali con i funzionari. Tutto andrà avanti. Per quanto riguarda Firenze, la lista civica è in costruzione, c’è molto interesse per il progetto. Se la cosa andrà in porto la presentazione non ci sarà prima di questo weekend, forse anche nei giorni successivi».

Intanto però Capodimonte soffre per i prestiti prolungati di opere, da Parigi a Torino e a Roma, e durante Pasqua ha fatto registrare numeri abbastanza bassi di visitatori.
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