«Io al posto di Pistoletto non la replicherei. Quella Venere a Napoli è stata un’epifania: è apparsa e scomparsa, secondo me non ha senso rifarla»

La sua Montagna di sale a Napoli, installata in piazza del Plebiscito nel ‘95, fu presa d’assalto dagli scugnizzi e dai passanti che portavano via manciate di sale per buon auspicio, come ha ricordato Eduardo Cicelyn ieri sul Corriere del Mezzogiorno. Eppure Mimmo Paladino, tra i principali esponenti della transavanguardia italiana, non è apparso mai contrariato e men che mai li ha considerati gesti di vandalismo. Anzi. Oggi sostiene che anche il rogo della Venere degli Stracci, sia pure inconsapevolmente, rappresenti una sorta di interazione con un’opera non irripetibile, messa in piazza e che quindi per sua natura è esposta all’ambiente in cui viene collocata.

Maestro, partiamo da quella magica atmosfera del dicembre ‘95 e dalla suggestione che offriva la sua opera in una piazza del Plebiscito che Antonio Bassolino sindaco volle liberare dalle auto.
«Furono giornate molto dense di avvenimenti e di creatività . In effetti Bassolino aveva avuto la grande intuizione di liberare la piazza principale di Napoli che era un enorme parcheggio a cielo aperto e anche di chiuderla al traffico dei veicoli. Largo di palazzo appariva in tutta la sua maestosa grandezza, uno spazio enorme finalmente a disposizione di tutti».

Come le venne l’idea di installare la Montagna di sale?
«Ricordo che fu proprio Eduardo Cicelyn, all’epoca consulente culturale del Comune, a stimolarmi. Mi chiese di far vivere quello spazio con un’opera simbolica, non permanente, che sarebbe stata la prima di una lunga e fortunata serie di installazioni in quel luogo meraviglioso».

E così lei riprodusse la Montagna di sale di Gibellina.
«Sì ma con una sostanziale differenza. Quella di Gibellina è permanente e la base sottostante è stata ricavata dalle macerie del terremoto del ‘68. A Napoli invece, come ho detto, si trattava di un’opera temporanea che doveva dare inizio come una sorta di staffetta all’utilizzo della piazza per altri artisti contemporanei, un museo all’aperto in cui mostrare ai napoletani e al mondo lavori di gente come Kapoor, Kounellis, Kosuth, Sol Lewitt, Serra, Horn e tanti altri».

Indubbiamente una proposta visionaria che, come sappiamo, si rivelò un successo. Ma come reagì la critica all’inizio?
«Molto bene, devo dire. Vi fu una pubblicazione di Fabbri editore con commenti entusiastici, ma ricordo l’apprezzamento anche di tanti artisti della canzone napoletana come Sergio Bruni, Renato Carosone...».

Riusciste a realizzarla a tempo di record, pochi giorni prima del Natale.
«Sì, fu un’autentica corsa contro il tempo. Gli operai di una piccola impresa edile beneventana lavorarono giorno e notte. Venne preparata una grande impalcatura in legno sulla quale, montati i cavalli di legno, fu versato mezzo metro di sale compattato, regalatoci proprio dagli amici di Gibellina».

Quel sale che poi molti napoletani portarono via per buon augurio, mentre di notte tanti scugnizzi si divertivano con gli slittini a scivolare dalla montagna.
«Sì, ricordo che qualcuno si lamentò dell’accaduto, ma io dissi subito che a me piaceva l’idea dell’utilizzo di quell’installazione realizzata con materiali effimeri. Amavo il fatto che i napoletani la sentissero propria al punto da giocarci sopra o da prendere manciate di sale. Se non ricordo male fu arrestato persino un latitante che, per sfuggire alla polizia, aveva tentato di scalarla. Lo spirito era proprio quello di esporre un lavoro poi destinato a morire, anche a causa della pioggia che scioglieva il sale. Tanto che alla fine decisi di farla esplodere: il 17 gennaio festa di Sant’Antonio Abate, mettemmo in scena una sorta di grande rogo, di eruzione con dei fuochi di artificio posti sulla sommità del cono».

Insomma anche la sua Montagna finì con il fuoco come la Venere di Pistoletto...
«Infatti e fu una apoteosi. In un certo senso è accaduta la stessa cosa con l’incendio della Venere. L’autore del rogo, in maniera inconsapevole, ha compiuto un gesto che ha una sua bellezza artistica e non ha certo deprezzato l’opera che è ripetibile visto che di Venere degli Stracci ci sono tante versioni conservate nei musei. Del resto Pistoletto proviene dalle avanguardie più agguerrite e sa bene che un’opera messa in piazza, peraltro destinata a essere smontata, ha una vita limitata ed entra in contatto con l’ambiente in cui si trova. Quel rogo ha una potenza evocativa che a mio avviso ha finito non per mortificare ma per amplificare il valore estetico della Venere».

Quindi a suo avviso quell’incendio non è stato un gesto vandalico?
«È stata una provocazione non una vandalizzazione. Altro sarebbe se qualcuno andasse al Louvre a fare a pezzi la Gioconda che è un’opera irripetibile. Anche nel caso della Gioconda, come è noto, c’è stata più di una provocazione artistica, ad esempio quella di Marcel Duchamp che nel 1919 ne fece una riproduzione con i baffi».

Il Comune di Napoli ha ottenuto da Pistoletto che l’opera venga ricostruita e inaugurata il 22 gennaio sempre nello stesso posto dove era esposta, resterà in piazza Municipio per 4 mesi.
«Premesso che ogni artista è libero di fare ciò che crede, io al posto di Pistoletto non la replicherei. Quella Venere a Napoli è stata un’epifania: è apparsa e scomparsa, secondo me non ha senso rifarla».

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13 dicembre 2023

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Paladino: «È un gestoartistico. Anche la miaMontagna finì con il fuoco»

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13.12.2023

«Io al posto di Pistoletto non la replicherei. Quella Venere a Napoli è stata un’epifania: è apparsa e scomparsa, secondo me non ha senso rifarla»

La sua Montagna di sale a Napoli, installata in piazza del Plebiscito nel ‘95, fu presa d’assalto dagli scugnizzi e dai passanti che portavano via manciate di sale per buon auspicio, come ha ricordato Eduardo Cicelyn ieri sul Corriere del Mezzogiorno. Eppure Mimmo Paladino, tra i principali esponenti della transavanguardia italiana, non è apparso mai contrariato e men che mai li ha considerati gesti di vandalismo. Anzi. Oggi sostiene che anche il rogo della Venere degli Stracci, sia pure inconsapevolmente, rappresenti una sorta di interazione con un’opera non irripetibile, messa in piazza e che quindi per sua natura è esposta all’ambiente in cui viene collocata.

Maestro, partiamo da quella magica atmosfera del dicembre ‘95 e dalla suggestione che offriva la sua opera in una piazza del Plebiscito che Antonio Bassolino sindaco volle liberare dalle auto.
«Furono giornate molto dense di avvenimenti e di creatività . In effetti Bassolino aveva avuto la grande intuizione di liberare la piazza principale di Napoli che era un enorme parcheggio a cielo aperto e anche di chiuderla al traffico dei veicoli. Largo di palazzo appariva in tutta la sua maestosa grandezza, uno spazio enorme finalmente a disposizione di tutti».

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