Alle 16 e 30 del 18 marzo 1944 il vulcano esplose. Il direttore dell'Osservatorio Imbò restò nella sua stanza per documentare l'eruzione. Gli alleati filmarono e fotografarono le fontane di lava, la cenere e i lapilli

Il 15 marzo i bombardieri americani B25 Mitchell dell’operazione Strangle si levarono in volo per andare a colpire le truppe naziste a Cassino. Tre giorni dopo, il 18 marzo, il Vesuvio eruttò

Erano le 16 e 30 del 18 marzo 1944 quando iniziò l'ultima eruzione del vulcano, che terminò undici giorni dopo. Se noi oggi possiamo raccontarla nel dettaglio lo dobbiamo a un uomo che, mettendo a repentaglio la propria vita, la studiò da vicino, documentando quell'evento e raccogliendo dati preziosi per il futuro. Giuseppe Imbò era il direttore dell'Osservatorio vesuviano. Costretto a vivere in una stanza dopo che gli alleati occuparono la struttura. Nel '43, Cassandra inascoltata, predisse che un'altra eruzione sarebbe stata imminente. Nessuno gli diede retta. Imbò non lasciò mai quei pochi metri quadrati, neanche nel momento più tragico e pericoloso. È grazie a lui che conosciamo le quattro fasi di quell'evento. Ed è grazie alla presenza delle truppe britanniche e americane a Napoli che abbiamo foto e video di cosa accadde. Per gli scienziati l'eruzione del '44 è una sorta di secondo tempo di quella del 1906. In totale causò 216 vittime e migliaia di sfollati. Ma soprattutto trasformò la montagna: da vulcano con attività a condotto aperto a condizioni di condotto ostruito, in cui ci troviamo ora, caratterizzate esclusivamente da attività fumarolica e bassa sismicità .Â

«L'atteso parossismo (eruzione) aveva inizio con la brusca ripresa di energiche attività effusiva ed esplosiva poco prima del tramonto del 18 marzo. Dall'Osservatorio notai la repentina riapparizione dei fumi, elevantisi in rapide volute, assumevano poi l'aspetto di gigantesco pennacchio inclinato a N e intensamente rossigno, per vivaci riverberi, sulla parte inferiore», ecco cosa scrive Giuseppe Imbò. Alle 16 e 30 cominciò la prima fase: la effusiva. Un'esplosione distrusse il cono di scorie, colate di lava iniziarono a scendere verso Nord, Sud e Ovest, correndo a 50 e 300 metri all'ora. L'esercito alleato evacuò i paesi di San Sebastiano al Vesuvio e Massa di Somma. Nelle prime ore del 21 marzo le due città , infatti, furono invase dalla lava. Il 22 marzo le due colate si arrestarono.

La prima fase effusiva

La seconda fase: delle fontane di lava. Intorno alle 17 del 21 marzo iniziò una nuova fase esplosiva stromboliana. Le fontane di lava erano alte tra gli 800 e anche i mille metri. In tutto furono otto. L'ultima durò cinque ore. Le ceneri vennero trasportate nell'aria e coprirono i paesi vesuviani e quelli dell'agro nocerino, le più leggere arrivarono a 400 chilometri di distanza.
Il successore di Imbò all'Osservatorio, Paolo Gasparini infatti racconta: «Avevo 7 anni. Mi trovavo a Sant'Anastasia. Ricordo pioggia di ceneri (si accumularono una decina di centimetri). Durò alcuni giorni; raramente si vedevano dei bagliori. Avevo notizie di persone sgomberate a San Sebastiano che si informavano spesso dell'avanzamento della lava ed è presumibile che tornassero frequentemente lì».

La terza fase fu quella delle esplosioni miste. Cominciò il 22 marzo: le fontane di lava furono sostituite da lancio di bombe e lapilli. Sulla montagna si alzò una colonna di gas e ceneri a 5 chilometri di altezza (ma gli studiosi oggi pensano che sia stata di dieci chilometri). Piccoli collassi causarono flussi piroclastici. Ma a causare 23 vittime fu la cenere nera che posandosi sui tetti della case ne provocò il crollo.

Terza fase: esplosioni miste

La quarta e ultima fase: la sismo-esplosiva. Dalle 12 del 23 marzo le esplosioni divennero meno frequenti e l'attività passò ad intense esplosioni con emissione di cenere e piccole colonne eruttive non più alte di 2 chilometri. Ma soprattutto in questa fase ci fu un'intensa attività sismica. Il 24 marzo il Vesuvio si imbiancò e non certo per la neve, era cenere chiara. Il segno che l'attività stava diminuendo. Il 29 marzo terminarono. Il 7 aprile il cratere si presentò completamente ostruito dando così inizio all'attuale periodo a condotto chiuso.

Il Vesuvio imbiancato per la cenere chiara

I paesi più danneggiati dalla caduta del materiale piroclastico furono Terzigno, Pompei, Scafati, Angri, Nocera, Poggiomarino e Cava de' Tirreni. Gli abitanti di San Sebastiano, di Massa e di Cercola, circa 10.000 persone, furono costrette all’evacuazione. Napoli, in qualche modo, si salvò dalla furia della montagna. Favorita dalla direzione dei venti che allontanarono dalla città la nuvola di cenere e lapilli. Lo si evince anche dalla testimonianza di Giuseppe Luongo che ha diretto l'Osservatorio fino al 1993: «Avevo sei anni. Ricordo il flusso lavico osservato dopo l'imbrunire, evidente per il colore rosso della lava incandescente. Non ricordo caduta di cenere. Osservavo da Posillipo, bagno Elena, Villa Gercia, vicino al casino di Lady Emma. Per osservare il Vesuvio mi spostavo sul pontile di cemento di Bagno Elena che si prolungava in mare. C'era la guerra e l'eruzione non destava preoccupazione. Sicuramente il riferimento a San Gennaro era molto frequente negli adulti».

Quello che racconta Luongo è in alcune cronache. In molti videro i napoletani rivolgere l'effige di San Gennaro verso lo sterminator Vesevo. Dana Craig, attendente dello squadrone di soccorso americano scrisse sul suo diario : «Capimmo quello che stava succedendo la mattina del 23 marzo. Fino al giorno prima il Vesuvio aveva soltanto fumato. Ricorderò per sempre il momento in cui il Vesuvio ha eruttato. Non ho mai visto nessuna bomba fare tanto. Noi dovevamo lavorare tra pietre che cadevano e cenere. Tutti avevamo i giubbotti di protezione e i caschi. Poi arrivò l’ordine di evacuare verso Napoli».

Da domenica 17 marzo a martedì 19 marzo 2024, a 80 anni dall’ultima eruzione del Vesuvio, si terranno tre giorni di visite guidate alla sede storica dell’Osservatorio Vesuviano e ai luoghi del vulcano, aperte alle
famiglie e agli studenti delle scuole della “zona rossa” individuata dal Piano Nazionale della protezione civile. Tre giorni organizzati dall'Osservatorio vesuviano, dal Dipartimento della Protezione civile, dalla Protezione civile della Regione Campania e dall'Ente parco del Vesuvio.

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11 marzo 2024 ( modifica il 11 marzo 2024 | 13:57)

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QOSHE - Ottant'anni fa l'ultima eruzione del Vesuvio: le quattro fasi, lo scienziato che rischiò la vita e San Gennaro. Ecco cosa accadde - Simona Brandolini
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Ottant'anni fa l'ultima eruzione del Vesuvio: le quattro fasi, lo scienziato che rischiò la vita e San Gennaro. Ecco cosa accadde

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11.03.2024

Alle 16 e 30 del 18 marzo 1944 il vulcano esplose. Il direttore dell'Osservatorio Imbò restò nella sua stanza per documentare l'eruzione. Gli alleati filmarono e fotografarono le fontane di lava, la cenere e i lapilli

Il 15 marzo i bombardieri americani B25 Mitchell dell’operazione Strangle si levarono in volo per andare a colpire le truppe naziste a Cassino. Tre giorni dopo, il 18 marzo, il Vesuvio eruttò

Erano le 16 e 30 del 18 marzo 1944 quando iniziò l'ultima eruzione del vulcano, che terminò undici giorni dopo. Se noi oggi possiamo raccontarla nel dettaglio lo dobbiamo a un uomo che, mettendo a repentaglio la propria vita, la studiò da vicino, documentando quell'evento e raccogliendo dati preziosi per il futuro. Giuseppe Imbò era il direttore dell'Osservatorio vesuviano. Costretto a vivere in una stanza dopo che gli alleati occuparono la struttura. Nel '43, Cassandra inascoltata, predisse che un'altra eruzione sarebbe stata imminente. Nessuno gli diede retta. Imbò non lasciò mai quei pochi metri quadrati, neanche nel momento più tragico e pericoloso. È grazie a lui che conosciamo le quattro fasi di quell'evento. Ed è grazie alla presenza delle truppe britanniche e americane a Napoli che abbiamo foto e video di cosa accadde. Per gli scienziati l'eruzione del '44 è una sorta di secondo tempo di quella del 1906. In totale causò 216 vittime e migliaia di sfollati. Ma soprattutto trasformò la montagna: da vulcano con attività a condotto aperto a condizioni di condotto ostruito, in cui ci troviamo ora, caratterizzate esclusivamente da attività fumarolica e bassa sismicità .Â

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