Il presidente De Crescenzo: «Non è un’opera storica ma dà un nuovo punto di vista. In un secolo e mezzo, tranne rarissime eccezioni, c'è stato un predominio totalitario della narrazione»

Un grande successo già dal primo giorno in piattaforma con il gradimento dell’80 per cento degli utenti. La serie tv «Briganti» ha sbaragliato la concorrenza con un mix tra storia e genere western, tra realtà e finzione. Molti personaggi sono effettivamente esistiti, da Filumena Pennacchio a Michelina De Cesare, altri no e sembrano a volte essere stati clonati da Clint Eastwood in «Per un pugno di dollari». È il caso dello «Sparviero», stesso cappellone e stesso sigaro perennemente in bocca. Fotografia e location (quasi tutte in Puglia) bellissime però. Pregi e difetti di una fiction.
Per carità nessuna certificazione storica, malgrado ciò la serie televisiva è destinata a far discutere perché si occupa di un’epoca, quella post-unitaria, dal 1862 in poi, mostrandola sotto una diversa luce e promuovendo un messaggio, fin dalle prime battute, totalmente diverso da quello che è sempre stato fornito sul brigantaggio e sulla sua repressione. Qui le vicende da «guardie e ladri» lasciano il posto a scontri da «guerra civile». E il messaggio mediatico, come si sa, crea opinione.Â

Inoltre per la prima volta i piemontesi vengono ritratti come un esercito invasore, spietato, che corrompe e uccide senza pietà . A tratti la serie fa venire alla mente «Soldato blu», il film di Ralph Nelson del 1970 che fu un punto di non ritorno nella cinematografia americana per quanto riguardava la tragedia del popolo indiano. Completamente ribaltata l’epopea western alla John Wayne. Inoltre per la prima volta, dopo il film «impegnato» di Pasquale Squitieri del 1999, i briganti vengono mostrati come «partigiani» o contadini vessati, martoriati, costretti alla macchia e a combattere perché vogliono la libertà e la loro terra. E questo fa venire alla mente «L’uomo che verrà », film sulla strage di Marzabotto ad opera dei nazisti. Ovviamente tutti i paragoni del caso vanno effettuati con i dovuti «distinguo», ma la discussione è già iniziata.

Gennaro De Crescenzo, storico, saggista, professore di italiano a Scampia e presidente del movimento neoborbonico dopo aver visto i primi episodi ringrazia Netflix. «”Dicono che la mia terra è povera e maledetta ma non è vero: la mia terra è ricca e per questo c’è sempre stato qualcuno pronto a saccheggiarla...”. Inizia così la serie Briganti e il messaggio a partire dalla canzone di Bennato versione Raiz è forte e deciso. Bisogna veramente ringraziare autori e produttori di questa fiction, in parte stranieri, perché danno l’opportunità di guardare quelle vicende storiche da un altro punto di vista».

Beh, ovviamente qualche docente universitario storcerà il naso...
«Non si tratta di una fiction storica ma ciò non toglie che sono molti gli spunti interessanti. Dopo circa un secolo e mezzo e con rarissime eccezioni, finora l’Unità d’Italia non era stata raccontata dall’altro punto di vista, compresa la conseguente guerra del cosiddetto “brigantaggio” che devastò l’ex Regno delle Due Sicilie per oltre dieci anni».

Ma nei film ci sono sempre i buoni e i cattivi.
«Lo schema è semplice, vero ed efficace: da un lato i “cattivi” (i piemontesi guidati dal generale Fumel, reale artefice, tra l’altro, di molti eccidi in quegli anni), dall’altro i “buoni”, i briganti (”non siamo banditi, siamo briganti”, grida la protagonista) che pure tra crudeltà e tradimenti, combattono per “l’oro della gente del Sud” in una battaglia che “non è solo per l’oro ma per la terra che ci ha dato Dio e per la libertà nostra e delle donne e degli uomini che verranno”. Esecuzioni sommarie, deportazioni al Nord, il sostegno della chiesa (”Dio mi capirà ”), le bandiere borboniche, il concetto dell’invasione straniera e del saccheggio del Sud: passano molte delle tesi spesso definite “neoborboniche”. Nonostante i 160 anni di predominio totalitario di media e intellettuali ufficiali e nonostante i nostri pochi e piccoli mezzi per controbattere, la nostra lettura del brigantaggio, forse, allora, ha vinto e vincerà ancora, vista anche la diffusione di Netflix soprattutto tra i giovani».

Un’altra cosa che colpisce della fiction è che le donne, tutte, hanno un ruolo da protagonista. Sono loro che comandano, che decidono, che indirizzano il popolo. Una licenza cinematografica?
«Non direi. Nella realtà era così. Basti pensare alla figura di Michelina Di Cesare su cui la fiction punta molto. Sua ad esempio l’immagine-simbolo del manifesto con la parola “libertà ” che viene affisso nei borghi contadini. E la stessa Filumena, la protagonista, non è altro che Filumena Pennacchio, una delle briganti più famose dell’epoca, e poi c’è “Ciccilla”, alias Maria Oliviero che con la banda Monaco diede filo da torcere all’esercito piemontese. Insomma nonostante scenari a volte magico-surreali, anche in questo caso si tratta, sullo sfondo, di verità storiche».

Da sottolineare che l’antropologo Domenico Scafoglio, che (insieme a Simona De Luna) ai briganti ha dedicato un saggio di 600 pagine basato su documenti inediti, intervistato dal Corriere del Mezzogiorno ha ribadito la forza di una protesta che tenne in scacco l’esercito piemontese per dieci anni con pochissimi uomini, ottimi combattenti e strateghi e portatori di una cultura poi sconfitta.

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25 aprile 2024 ( modifica il 25 aprile 2024 | 08:26)

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Briganti, i neoborbonici: «Piemontesi crudeli invasori Finalmente un racconto diverso dell'Unità d'Italia»

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25.04.2024

Il presidente De Crescenzo: «Non è un’opera storica ma dà un nuovo punto di vista. In un secolo e mezzo, tranne rarissime eccezioni, c'è stato un predominio totalitario della narrazione»

Un grande successo già dal primo giorno in piattaforma con il gradimento dell’80 per cento degli utenti. La serie tv «Briganti» ha sbaragliato la concorrenza con un mix tra storia e genere western, tra realtà e finzione. Molti personaggi sono effettivamente esistiti, da Filumena Pennacchio a Michelina De Cesare, altri no e sembrano a volte essere stati clonati da Clint Eastwood in «Per un pugno di dollari». È il caso dello «Sparviero», stesso cappellone e stesso sigaro perennemente in bocca. Fotografia e location (quasi tutte in Puglia) bellissime però. Pregi e difetti di una fiction.
Per carità nessuna certificazione storica, malgrado ciò la serie televisiva è destinata a far discutere perché si occupa di un’epoca, quella post-unitaria, dal 1862 in poi, mostrandola sotto una diversa luce e promuovendo un messaggio, fin dalle prime battute, totalmente diverso da quello che è sempre stato fornito sul brigantaggio e sulla sua repressione. Qui le vicende da «guardie e ladri» lasciano il posto a scontri da «guerra civile». E il messaggio mediatico, come si sa, crea opinione.Â

Inoltre per la prima volta i piemontesi vengono ritratti come un esercito invasore, spietato, che corrompe e uccide senza pietà . A tratti la serie fa venire alla mente «Soldato blu», il film di........

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