Doveva essere la confessione degli errori: ha ammesso solo un torto, quello di non aver inchiodato Spalletti al rispetto del contratto

Così è se vi è pare, ci ha detto Aurelio De Laurentiis. Lo ha affermato ieri a Castel Volturno con un contorno di giornalisti e di pasta e fagioli - ha ripetuto per tre volte, come fosse stata la concessione di un signore contadino di una volta, di quelli che imbandivano la tavola per i poveri: «C’è la pasta e fagioli». E tutto il resto della conferenza è venuta via così, con notizie-pasta e fagioli, gentilmente servite come caviale del Volga. Ai pochi giornalisti che gli hanno chiesto conto della sua gestione spericolata dall’estate ad oggi ha detto, con troppe parole: il padrone sono io, faccio quello che mi pare. Volendolo prendere sul serio, ha fornito più di una chicca saporita.Â

Doveva essere quella di ieri la confessione degli errori: in realtà ha ammesso solo un torto, quello di non aver inchiodato Luciano Spalletti al rispetto del contratto. Varie e colorite le punture di spillo riservate al tecnico dello scudetto - «non aveva vinto niente prima di Napoli». Uno che probabilmente - sospetta il signor Padrone - aveva già contatti con Gravina per dirigere la Nazionale. Una frase merita più di tutte: «E io pensavo che avendo fatto quel campionato trionfale potevo (io, cioè lui), vincere la coppa o perlomeno arrivare in finale e giocarmela». Parliamo della finale di Champions, sapete? Dall’errore di non aver schiacciato Spalletti sono discesi errori a catena, sostiene. Ma attenzione. Non quello di dettare la tattica delle partite a Garcia (lo ha fatto, dice), non quello di aver ingaggiato Mazzarri («un amico di famiglia»). Non quello di aver messo in freezer un campione come Zielinski. Non quello di aver protratto all’infinito le vicende Giuntoli, Spalletti, Osimhen e nuovo allenatore, in un’agonia che ha stremato ambiente e piazza. Non quella di non aver strutturato in modo adeguato la società .Â

Alla domanda se a Napoli calciatori e allenatori non vogliano venire per la sua arroganza, la prima volta ha risposto che questa è la minestra e chi non la vuole, ciccia. Poi, la seconda, ha buttato tutto in vacca facendo le feste all’anziano giornalista che aveva posto la domanda. «Mission 2030», è la nuova parola d’ordine. Nel 2030 lui avrà ottanta anni tondi, che Dio ce lo conservi in ottima salute, ché altrimenti andrebbe ancora peggio. In questi anni, dice, rinnoverà il Maradona o farà un nuovo stadio, costruirà il centro sportivo per la squadra maggiore e per i ragazzi, ricostruirà il Napoli e lo renderà di nuovo vincente (Chiede tre anni per questo). Tutto tambur battente: ultimatum al sindaco di 120 giorni altrimenti va ad Afragola a costruire le nuove strutture. Dove? Non si sa, dice però con i soldi suoi, ché tanto non gli serve niente, né l’aiuto delle banche né di altri. L’unico elemento certo di questo garbuglio oratorio è che il Napoli deve lasciare Castel Volturno fra un anno e mezzo e trovare una nuova casa. I napoletani hanno sentito molte volte parlare di queste strutture - ricordate «la scugnizzeria»? - ma non le hanno mai viste in diciannove anni di regno.

Probabile che questa volta qualcosa si farà , perché urge trovar casa e perché così la società diventerebbe più vendibile - non è da escludere che sia questo il senso di «Mission 2030»: dare i giusti «asset» alla società . Intanto rimprovera i giornalisti - «non siete tifosi del Napoli» (è obbligatorio?). Al giro della prima ora di conferenza parla di un incontro con il presidente del Real Madrid e di fatto si dice d’accordo con la Supercoppa (e quindi con Agnelli). L’oligopolio calcistico, che divora le risorse pubblicitarie e affama il resto del movimento, gli piace. Al giro della seconda ora non è più d’accordo: bisogna fare il campionato europeo e puntare sulla passione del tifo locale. Adombra una discesa in politica, poi mette in ridicolo l’idea. Dice che gli pare giusto che nelle élite europee giochino i club della «parte sinistra della classifica». Ha la certezza che il Napoli ne farà parte alla fine di questo campionato, forse. Certezza che noi non abbiamo. E, caro presidente, lei può ripetere all’infinito «El Parùn sun mi», ma sul tavolo resta il problema della realtà : il piatto piange, non solo quello calcistico, anche quello del buon senso.

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8 febbraio 2024

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QOSHE - Punture di spillo e ultimatum di un Padronesotto sfratto - Vittorio Zambardino
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Punture di spillo e ultimatum di un Padronesotto sfratto

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08.02.2024

Doveva essere la confessione degli errori: ha ammesso solo un torto, quello di non aver inchiodato Spalletti al rispetto del contratto

Così è se vi è pare, ci ha detto Aurelio De Laurentiis. Lo ha affermato ieri a Castel Volturno con un contorno di giornalisti e di pasta e fagioli - ha ripetuto per tre volte, come fosse stata la concessione di un signore contadino di una volta, di quelli che imbandivano la tavola per i poveri: «C’è la pasta e fagioli». E tutto il resto della conferenza è venuta via così, con notizie-pasta e fagioli, gentilmente servite come caviale del Volga. Ai pochi giornalisti che gli hanno chiesto conto della sua gestione spericolata dall’estate ad oggi ha detto, con troppe parole: il padrone sono io, faccio quello che mi pare. Volendolo prendere sul serio, ha fornito più di una chicca saporita.Â

Doveva essere quella di ieri la confessione degli errori: in realtà ha ammesso solo un torto, quello di non aver inchiodato Luciano Spalletti al rispetto del contratto. Varie e colorite le punture di spillo riservate al tecnico dello scudetto - «non aveva vinto niente prima di Napoli». Uno che probabilmente - sospetta il signor Padrone - aveva giÃ........

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