William Safire, grande giornalista, raccontò sul New York Timesdi una conversazione che ebbe con l’ex presidente americano Richard Nixon ormai anziano. Parlavano di Cina e dell’apertura al grande Paese asiatico che Nixon e Henry Kissinger avevano siglato nel 1972. A un certo punto gli chiese se non avessero «un po’ esagerato nel vendere al pubblico americano i benefici dell’aumento del commercio» che nei decenni ne seguì. «Potremmo avere creato un Frankenstein», rispose Nixon, ancora lucido anni dopo la sua caduta in disgrazia sul caso Watergate.

 In effetti, il viaggio segreto di Kissinger in Cina nel 1971, per preparare l’incontro del presidente americano con Mao Zedong, e quello di Nixon stesso l’anno dopo furono il primo passo della lunga marcia con la quale il gigante asiatico uscì dal suo isolamento e si avviò, dal 1978 in poi, a diventare una grande potenza. Quel doppio viaggio che certificò la rottura tra i regimi comunisti di Pechino e di Mosca, in piena guerra fredda, a vantaggio degli Stati Uniti è in genere letto come uno dei più grandi colpi diplomatici del Novecento: sempre se ne dà il merito a Kissinger (anche se l’idea iniziale fu di Nixon). Una gloria creata dall’intelligenza politica.

 Dal punto di vista economico, quell’apertura pose le basi della globalizzazione economica dei decenni successivi, che senza la Cina non sarebbe stata la stessa. Ma — visti oggi che ci si interroga sulla saggezza di avere favorito l’ingresso rapido di Pechino nel mercato globale — i viaggi del 1971-72 acquisiscono la completezza della loro portata nei decenni: tante luci e un po’ di negatività. Molte illusioni seguirono.

 Difficile dire cosa intendesse Nixon, nei primi Anni Novanta, quando temeva di avere creato assieme a Kissinger un Frankenstein: probabilmente già pensava all’assertività di una Cina potente. Non risulta invece che, fino alla sua morte la settimana scorsa, Kissinger abbia mai espresso un’opinione del genere. La Cina, però, è sempre stata nei suoi pensieri. Fino ai suoi ultimi giorni ne ha elaborato l’emergere per dire che la superpotenza americana e la potenza cinese devono trovare modi per competere ma soprattutto per convivere. Pena la guerra, la distruzione delle economie, molta povertà.

 Se il suo approccio alla rivalità tra Pechino e Washington sia percorribile e se sia quello giusto lo diranno gli eventi dei prossimi anni. La Cina del 1972 non è quella di oggi: nel bene ma anche con parecchi pericoli. Per ora si può affermare che anche i colpi politici più brillanti hanno conseguenze non prevedibili sui tempi lunghi. Safire e Nixon direbbero che la diplomazia certe volte inizia alla grande ma finisce con un Frankenstein economico.

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05 dic 2023

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Henry Kissinger e il Frankenstein economico

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05.12.2023

William Safire, grande giornalista, raccontò sul New York Timesdi una conversazione che ebbe con l’ex presidente americano Richard Nixon ormai anziano. Parlavano di Cina e dell’apertura al grande Paese asiatico che Nixon e Henry Kissinger avevano siglato nel 1972. A un certo punto gli chiese se non avessero «un po’ esagerato nel vendere al pubblico americano i benefici dell’aumento del commercio» che nei decenni ne seguì. «Potremmo avere creato un Frankenstein», rispose Nixon, ancora lucido anni dopo la sua caduta in disgrazia sul caso Watergate.

 In effetti, il viaggio segreto di Kissinger in Cina nel 1971, per preparare l’incontro del presidente americano con Mao Zedong, e quello di Nixon stesso l’anno dopo furono il primo passo della lunga marcia con la quale il gigante asiatico uscì dal suo isolamento e si avviò, dal 1978 in poi, a diventare una grande potenza. Quel doppio viaggio che certificò la rottura tra i regimi comunisti di Pechino e di Mosca, in piena guerra fredda, a vantaggio degli Stati Uniti è in genere letto come uno dei più........

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