Si riparla di legge pro-concorrenza, di balneari e di taxisti e una riflessione andrebbe portata fino in fondo sull’uso dell’espressione «ceti medi produttivi». Non c’è solo una ragione di mera filologia sociologica, ma come dimostrano le vicende degli ultimi giorni c’è anche molto di politica. Siamo sicuri che la condizione in cui versano artigiani e commercianti esposti al mercato aperto sia la stessa dei loro colleghi ambulanti, conducenti di taxi e concessionari dell’utilizzo delle spiagge?

Prima di approfondire il tema e tentare di rispondere a questa domanda è utile fare un passo indietro e tornare ai risultati dell’ultimo sondaggio sulle preferenze politiche degli italiani pubblicato sul Corriere del 31 dicembre e curato da Nando Pagnoncelli: conteneva una traccia preziosa sull’evoluzione dei rapporti tra questi comparti della società e la politica. Stiamo parlando del calo del gradimento nei confronti del governo e della premier Giorgia Meloni, passati rispettivamente da 54 a 44 punti e da 58 a 44. Un calo la cui origine è stata individuata dall’Ipsos innanzitutto in una disaffezione dei lavoratori autonomi. Addirittura doppia per proporzioni rispetto alla delusione riscontrabile nell’intero elettorato. La ragione di questa presa di distanza — che per ora definiremo solo sentimentale — è riassumibile nella critica al mancato mantenimento da parte del governo delle destre delle promesse sbandierate in campagna elettorale. In sostanza il governo aveva giurato protezione ai ceti medi deboli e non avrebbe tenuto fede fino in fondo ai propri indirizzi. Almeno questa è la percezione che i lavoratori autonomi che avevano votato per Fratelli d’Italia e gli altri partiti di governo hanno maturato in questo scorcio di stagione.

di Redazione Economia

Competitività

Spiega Pagnoncelli che nel 2023 costi dell’energia e ondata inflattiva hanno avuto pesanti conseguenze sugli artigiani e i commercianti esposti alla concorrenza. Pensavano che il governo sarebbe intervenuto sulle accise e non lo ha fatto, avevano sperato che avrebbe preso provvedimenti fiscali che in qualche maniera li avvantaggiassero e questo non è avvenuto. Così si è radicata nel ceto medio produttivo l’idea che le grandi imprese abbiano potuto operare in questo difficile 2023 più al riparo dalle intemperie, grazie alla loro proiezione internazionale (leggesi export) e alle economie di scala, mentre piccoli commercianti e artigiani più strettamente legati alle dinamiche del mercato interno hanno sofferto in pieno la contrazione dei consumi, l’aumento dei canoni di locazione e il calo di fiducia delle famiglie. Pagnoncelli aggiunge che questa delusione non è detto che abbia conseguenze di tipo politico-elettorale e la spiegazione sta in una anomalia del sistema politico italiano di questi tempi che non sembra proporre alternative plausibili.

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Tifo di maggioranza

Ma poi è vero che il governo e i partiti del centro-destra non hanno protetto le Pmi o è solo frutto di una percezione? La risposta, forse paradossale, è che Meloni & co. hanno steso l’ombrello principalmente per aiutare quelle categorie che avevano il vantaggio di una rendita, mentre caso mai hanno lasciato che si bagnassero le categorie più esposte al mercato libero. Il flop dell’iniziativa di contenimento dei prezzi finali, denominata «Carrello Tricolore», ne è una piccola riprova. E allora forse quell’espressione — ceti medi produttivi — non solo è imperfetta, ma ha avuto e ha la prerogativa di trarre in inganno la politica e portarla a sbagliare. Sul piano dei numeri, infatti, la somma di ambulanti (160 mila), taxisti (23 mila) e balneari (gli stabilimenti sono 7 mila) non è nemmeno lontanamente paragonabile ad artigiani (più di 1,5 milioni) e commercianti (oltre 2 milioni), eppure sono loro ad aver usufruito di una sorta di golden share del centro-destra.

C’è chi come Stefano Fassina, ex deputato ed ex vice-ministro del governo Letta, accusa oggi la Ue di soggiacere all’ordoliberismo, c’è chi più semplicemente si fa paladino della propria minuscola constituency elettorale ma guai a parlare di rendita. Eppure la posizione di cui godono sul mercato oggi i taxisti come può essere catalogata in altro modo? La domanda in questo caso è prigioniera di un’offerta che ha il privilegio di condizionare il servizio, di contingentare le vetture e di tenere in pugno la politica grazie alla propria capacità di creare il caos minacciando la serrata. E i balneari non hanno potuto quest’estate, al riparo dalla concorrenza, aumentare a piacimento i prezzi di ombrelloni, sdraio e ingressi in spiaggia? Il paradosso di cui è sopra è figlio di una comunicazione che ha “mangiato” la politica, chi occupa la scena mediatica — e i taxisti, ad esempio, lo sanno fare alla perfezione — ha avuto la meglio e ha imposto la sua agenda, per di più spacciandola per quella dell’intero ceto medio produttivo. Così non è e le ambiguità sono destinate a sommarsi. Lo scenario più probabile, a cui anche Pagnoncelli accenna, è quello di un «tutti contro tutti», un individualismo della rivendicazione in cui anche piccole constituency riescono ad avere la meglio sui grandi aggregati.

Scalate d’opposizione

È facile in questo contesto ricordare le colpe di chi, in materia di rappresentanza, non ha voluto che il ceto medio produttivo unificasse le sue associazione e creasse una grande confederazione come avrebbe dovuto essere Rete Imprese Italia. Quel sogno non si è realizzato, in molti lo hanno sabotato per non rinunciare alle poltrone (cinque presidenti avrebbero dovuto diventare uno solo e così a spiovere) e oggi il confronto tra società e politica rischia di essere condotto da tribù capaci di dilatare le loro proporzioni grazie a una rappresentazione mediatica distorta. Taxisti e balneari pesano poco a livello di elettorato complessivo e di campionatura per sondaggi, ma influenzano molto la politica, portando addirittura il governo in rotta di collisione con Bruxelles e il Quirinale.

Sarà l’avvicinarsi delle elezioni europee, ma anche nel centro-sinistra è tornata in voga la questione dei ceti medi produttivi e dei rischi di loro retrocessione. La segretaria del Pd, Elly Schlein, ha fatto sapere che inizierà a breve un viaggio nei distretti industriali nel quale si farà accompagnare dal governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. L’Arel, il centro studi caro ad Enrico Letta, organizzerà a fine mese un seminario proprio sul ceto medio e «sul suo scivolamento verso condizioni di insicurezza» con Giuseppe De Rita, Andrea Brandolini economista della Banca d’Italia, Marianna Madia e Lia Quartapelle. Si tratta di due novità e forse di altrettanti generosi tentativi di scalare la montagna, ma soprattutto il Pd dovrà scegliere con cura cosa andare a dire nelle zone di industrializzazione diffusa dove Pmi e partite Iva non si riescono nemmeno a contare per quante sono. Sceglierà di insidiare la destra promettendo a sua volta protezione o cercherà di lavorare sulle contraddizioni, ma non derogando a quella cultura della concorrenza “senza se e senza ma” che caratterizza da anni il principale partito del centro-sinistra? Vedremo e comunque nelle scelte di Schlein conterà la competizione con la destra, ma anche il derby dell’opposizione che vede i Cinque Stelle ben insediati non tra i piccoli imprenditori ma tra gli operai sì.

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Commercianti, ecco perché si lamentano delle tutele riservate agli ambulanti

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10.01.2024

Si riparla di legge pro-concorrenza, di balneari e di taxisti e una riflessione andrebbe portata fino in fondo sull’uso dell’espressione «ceti medi produttivi». Non c’è solo una ragione di mera filologia sociologica, ma come dimostrano le vicende degli ultimi giorni c’è anche molto di politica. Siamo sicuri che la condizione in cui versano artigiani e commercianti esposti al mercato aperto sia la stessa dei loro colleghi ambulanti, conducenti di taxi e concessionari dell’utilizzo delle spiagge?

Prima di approfondire il tema e tentare di rispondere a questa domanda è utile fare un passo indietro e tornare ai risultati dell’ultimo sondaggio sulle preferenze politiche degli italiani pubblicato sul Corriere del 31 dicembre e curato da Nando Pagnoncelli: conteneva una traccia preziosa sull’evoluzione dei rapporti tra questi comparti della società e la politica. Stiamo parlando del calo del gradimento nei confronti del governo e della premier Giorgia Meloni, passati rispettivamente da 54 a 44 punti e da 58 a 44. Un calo la cui origine è stata individuata dall’Ipsos innanzitutto in una disaffezione dei lavoratori autonomi. Addirittura doppia per proporzioni rispetto alla delusione riscontrabile nell’intero elettorato. La ragione di questa presa di distanza — che per ora definiremo solo sentimentale — è riassumibile nella critica al mancato mantenimento da parte del governo delle destre delle promesse sbandierate in campagna elettorale. In sostanza il governo aveva giurato protezione ai ceti medi deboli e non avrebbe tenuto fede fino in fondo ai propri indirizzi. Almeno questa è la percezione che i lavoratori autonomi che avevano votato per Fratelli d’Italia e gli altri partiti di governo hanno maturato in questo scorcio di stagione.

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Spiega Pagnoncelli che nel 2023 costi dell’energia e ondata inflattiva hanno avuto pesanti conseguenze sugli artigiani e i commercianti esposti alla concorrenza. Pensavano che il governo sarebbe intervenuto sulle accise e non lo ha fatto, avevano sperato che avrebbe preso provvedimenti fiscali che in qualche maniera li avvantaggiassero e questo non è avvenuto. Così si è radicata nel ceto medio produttivo l’idea che le grandi imprese abbiano potuto operare in questo difficile 2023 più al riparo dalle intemperie, grazie alla loro proiezione internazionale (leggesi export) e alle economie di scala, mentre piccoli commercianti e artigiani più strettamente legati alle dinamiche del mercato........

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