Il 2023 sul fronte dei salari è stato un anno di spine, che stagione sarà invece quella che ci apprestiamo a vivere nel 2024? Per provare a rispondere alla domanda partiamo, intanto, dalla più stretta attualità: venerdì 22 dicembre è previsto uno sciopero generale dei lavoratori del commercio e del turismo che hanno da tempo immemore il contratto in scadenza. È sicuramente il contratto più importante del terziario privato dove per altro circa il 70% dei dipendenti è in attesa di rinnovo, con un ritardo medio rispetto alla scadenza di ben 27 mesi. Per dovere di cronaca vale la pena aggiungere che nel pubblico la quota di dipendenti con il contratto scaduto arriva al 100 per cento. Nell’industria, invece (come sottolinea sempre il presidente confindustriale Carlo Bonomi), quasi tutti i contratti sono stati rinnovati, ma a giugno 2024 scadrà quello più importante che riguarda i metalmeccanici e non a caso proprio in questi giorni la dirigenza di Fiom-Fim-Uilm ha lanciato una prima consultazione tra i lavoratori sugli obiettivi del rinnovo.

Il declino del potere d’acquisto

Il riepilogo sui tempi della negoziazione nazionale ha un senso perché il tema della caduta del potere d’acquisto dei ceti medi non può essere eluso. Fra il 2019 e il 2023 i salari reali sono calati del 5,4% mentre nell’area euro sono scesi solo dell’1,1% e questa disparità riflette, per l’appunto, i ritardi nel rinnovo dei contratti (a fronte invece di una dinamica più sostenuta della contrattazione di secondo livello). La stagnazione delle retribuzioni si associa a un’analoga tendenza della crescita della produttività italiana, decisamente in basso nelle classifiche internazionali. La caduta dei salari reali ha aumentato le difficoltà delle famiglie più deboli per il combinato disposto con un’inflazione più alta sulle utenze domestiche e quindi che ha finito per colpire maggiormente le classi di reddito inferiori. «Il punto più generale — si legge in un report di Ref Ricerche — è che abbiamo visto arretrare l’intero ceto medio: anche famiglie al di sopra della soglia di povertà si sono ritrovate nella condizione di ridimensionare i propri stili di vita». E in parallelo è aumentato il flusso degli italiani che hanno deciso di andare a lavorare all’estero. Se fra il 2019 e il 2023 i salari reali in Italia hanno registrato un perdita di 4 punti percentuali superiore alla media dell’Eurozona, la produttività del lavoro registra una variazione praticamente nulla rispetto al dato medio del 2019 mentre nell’area euro è aumentata di poco più dell’1%. Se poi prendiamo in esame il costo del lavoro per unità di prodotto, il Clup, la differenza tra Italia ed Eurozona nel periodo 2019-2023 è di addirittura cinque punti.

di Claudio Bozza

Il nuovo scenario del 2024

Nel 2024 lo scenario dovrebbe però cambiare radicalmente. «Mi aspetto un anno di recupero dei salari reali a cui va aggiunto l’effetto degli sgravi fiscali previsti dalla legge di Bilancio in discussione al Parlamento», spiega Fedele De Novellis, partner di Ref Ricerche. Il riferimento al provvedimento sul cuneo fiscale che dovrebbe avere un costo complessivo di 11 miliardi e dovrebbe riguardare i redditi medio-bassi fino a 35 mila euro. Quest’intervento si aggiungerebbe a quanto già introdotto con la delega fiscale approvata ad ottobre con un primo modulo di riforma dell’Irpef e la riduzione delle aliquote da quattro a tre. Ne viene fuori una pressione fiscale e contributiva sulle retribuzioni medio-basse che scende e riduce così il divario tra retribuzione lorda e netta.
Ma non è tutto. Secondo De Novellis ci dobbiamo attendere nel 2024 una crescita dei salari nominali tra il 3 e il 4% a fronte di un’inflazione che viaggia decisamente sotto l’obiettivo del 2 % (l’ultima rilevazione Istat dà addirittura su base annua solo +0,7%). «Considerando che l’inflazione scende di più per i redditi medio-bassi, perché cala prima sull’energia e poi sul carrello della spesa, possiamo pensare che il 2024 sarà interessante sul versante della redistribuzione dei redditi dopo due anni difficili per i ceti deboli».

di Diana Cavalcoli

Lo spostamento di risorse verso il basso

Come si concilia una tendenza di questo tipo con una conflittualità esasperata tra Cgil e governo che ha portato allo sciopero generale diluito in tre settimane è, se vogliamo, un mistero buffo. Ma lo spostamento di risorse verso il basso della piramide sociale può portare nel breve a una significativa ripresa dei consumi e di conseguenza attenuare il rallentamento dell’economia? Secondo le analisi di Ref Ricerche quest’effetto si farà sentire lentamente e quindi si può collocare verosimilmente nella seconda parte dell’anno. I prezzi finali sono i più lenti a scendere e perché quindi ci sia un rialzo dei consumi le famiglie con recupero del potere d’acquisto devono avvertire la discontinuità (e ci vuole tempo). «Ma se vogliamo capire l’andamento dell’economia non bisognerà guardare all’inflazione ma alle decisioni di politica monetaria della Bce». Un ritardo nel taglio dei tassi potrebbe prolungare la stagnazione e quindi ritardare la ripresa.

Occupazione e dinamica dei salari

Un’ipotesi di questo tipo avrebbe anche effetti negativi sull’occupazione che invece nel 2023 ha fatto segnare una crescita in contraddizione con l’andamento del Pil? Le previsioni dicono che il ciclo al rialzo delle assunzioni a tempo indeterminato è impensabile che continui all’infinito e in questo caso «i benefici sul versante dell’incremento dei salari reali verrebbero purtroppo controbilanciati da minore occupazione». E comunque «quest’inflazione che restituisce potere d’acquisto alle famiglie non è una sorpresa, caso mai arriva anch’essa in ritardo rispetto alla discesa dei prezzi delle materie prime, soprattutto il gas».
L’ultima domanda da porsi riguarda gli orientamenti del sindacato e le richieste che potrebbe portare avanti: operando in un clima di inflazione bassa si sentiranno autorizzati ad alzare il tiro? E che disponibilità troverebbero da parte delle imprese, soprattutto le Pmi che non avranno ancora incassato il beneficio di una ripartenza dei consumi? La risposta è che se la dinamica dei salari reali resta nell’orbita del 3-4% il percorso è gestibile, se saliamo al 6-7% lo scenario cambia. E può aprire una divaricazione tra le sensibilità delle piccole imprese rispetto alle grandi.

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18 dic 2023

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Più salari, meno inflazione: il recupero dopo il salasso (ma la ripartenza sarà lenta)

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19.12.2023

Il 2023 sul fronte dei salari è stato un anno di spine, che stagione sarà invece quella che ci apprestiamo a vivere nel 2024? Per provare a rispondere alla domanda partiamo, intanto, dalla più stretta attualità: venerdì 22 dicembre è previsto uno sciopero generale dei lavoratori del commercio e del turismo che hanno da tempo immemore il contratto in scadenza. È sicuramente il contratto più importante del terziario privato dove per altro circa il 70% dei dipendenti è in attesa di rinnovo, con un ritardo medio rispetto alla scadenza di ben 27 mesi. Per dovere di cronaca vale la pena aggiungere che nel pubblico la quota di dipendenti con il contratto scaduto arriva al 100 per cento. Nell’industria, invece (come sottolinea sempre il presidente confindustriale Carlo Bonomi), quasi tutti i contratti sono stati rinnovati, ma a giugno 2024 scadrà quello più importante che riguarda i metalmeccanici e non a caso proprio in questi giorni la dirigenza di Fiom-Fim-Uilm ha lanciato una prima consultazione tra i lavoratori sugli obiettivi del rinnovo.

Il declino del potere d’acquisto

Il riepilogo sui tempi della negoziazione nazionale ha un senso perché il tema della caduta del potere d’acquisto dei ceti medi non può essere eluso. Fra il 2019 e il 2023 i salari reali sono calati del 5,4% mentre nell’area euro sono scesi solo dell’1,1% e questa disparità riflette, per l’appunto, i ritardi nel rinnovo dei contratti (a fronte invece di una dinamica più sostenuta della contrattazione di secondo livello). La stagnazione delle retribuzioni si associa a un’analoga tendenza della crescita della produttività italiana, decisamente in basso nelle classifiche internazionali. La caduta dei salari reali ha aumentato le difficoltà delle famiglie più deboli per il combinato disposto con un’inflazione più alta sulle utenze domestiche e quindi che ha finito per colpire maggiormente le classi di reddito inferiori. «Il punto più generale — si legge in un report di Ref Ricerche — è che abbiamo........

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