Uno dei benefici insospettabili del Piano nazionale di ripresa e resilienza è nella traiettoria del debito pubblico: se quest’anno non salirà, ma resterà più o meno stabile, lo si dovrà principalmente ai suoi fondi. Non tanto perché gli investimenti del Pnrr dovrebbero contribuire per il 70% alla pur anemica crescita del 2024, secondo l’economista Luigi Guiso dell’Istituto Einaudi (Eief). C’è anche un motivo più concreto: se la quarta rata del Pnrr da 16,5 miliardi non fosse stata provvidenzialmente versata a tre giorni dalla fine del 2023, quest’anno il rapporto fra debito pubblico e prodotto lordo sarebbe salito in violazione di tutte le regole europee. Invece, una gestione abile della liquidità versata da Bruxelles nel conto del Tesoro per l’esecuzione del Piano dovrebbe ridurre per il governo l’urgenza di rivolgersi al mercato per collocare sempre nuovi titoli. Paradossalmente aiutano, in questo, proprio i ritardi dei progetti.

Una simile strategia implica però dei costi più avanti, perché obbligherà il Tesoro a emettere molti più titoli di Stato nel 2025 e 2026 quando si tratterà di pagare per i cantieri oggi in gestazione. Si prolunga dunque la fase attuale di dipendenza acuta del governo dalla fiducia del mercato.

Il segreto del contenimento del debito grazie al Pnrr sta nello scarto — molto forte — fra incassi e pagamenti del Piano. Il governo finora ha ricevuto da Bruxelles quattro rate, per 102 miliardi di euro. È impossibile sapere quanto abbia già pagato per i progetti perché — osserva l’economista Luca Deidda dell’Università di Sassari — «non esiste un sistema di dati sufficiente per seguire l’attuazione del Piano con tempestività». Deidda e Guiso ne hanno parlato di recente a un convegno sul Pnrr della Fondazione Segni a Sassari. Sembra però estremamente probabile che i pagamenti dai conti del Tesoro per progetti del Pnrr non superino i 30 o 40 miliardi. In sostanza il governo ha incassato da Bruxelles parecchie decine di miliardi in più rispetto a quanto abbia per ora speso (come del resto era previsto dall’inizio).

di Federico Fubini

I fondi eccedenti del Piano vengono depositati nel conto unico del Tesoro presso la Banca d’Italia, da dove partono tutti i pagamenti delle amministrazioni. Al 31 dicembre scorso quel conto presentava un saldo di 48,9 miliardi, in aumento di circa 16 miliardi su novembre grazie proprio alla rata del Pnrr composta in grandissima parte di prestiti. In sostanza si trova sul conto del Tesoro molta meno liquidità di quanta teoricamente sarebbe disponibile dai fondi non ancora usati del Pnrr, a maggior ragione perché quel conto è alimentato anche dal gettito fiscale e dagli introiti dalla vendita di titoli di Stato. Ciò significa che il governo oggi sta impiegando buona parte dei fondi non utilizzati del Pnrr a copertura del proprio fabbisogno (ben 108 miliardi nel 2023), fatto di investimenti ordinari e in gran parte di spesa corrente. Tanto più lo sta facendo, in quanto i cantieri del Piano sono indietro e dunque non devono ancora essere saldati: secondo Deidda — che cita dati Openpolis — l’avanzamento degli investimenti è del 40,3% contro il 60,5% previsto.

L’uso della liquidità ferma del Pnrr per coprire il fabbisogno corrente non è anomalo. Sarebbe illogico per il Tesoro gonfiare il proprio conto presso Banca d’Italia di decine di miliardi di depositi in più a rendimenti bassissimi, mentre finanziarsi sul mercato per far fronte agli altri pagamenti gli costa molto di più. Di certo senza Pnrr negli ultimi mesi avrebbe dovuto emettere molti più titoli di Stato, con ricadute negative sullo spread e sul costo del debito. Dunque il governo non fa che una gestione sana e razionale della cassa.

Con due sfumature in più, tuttavia. In primo luogo, l’arrivo della quarta rata di 16,5 miliardi da Bruxelles sul conto del Tesoro entro la fine del 2023 permetterà al governo di attingere a proprio a quella liquidità nel 2024, invece di emettere altri titoli di Stato: così il debito dell’anno scorso risulta più alto di circa 16 miliardi (0,8% del Pil), quando non valeva il Patto di stabilità; ma consumare quella somma per coprire il fabbisogno permetterà di non far salire debito nel 2024.

L’altro lato della medaglia è che il Tesoro dovrà emettere molti più titoli invece nel 2025 e 2026, quando si tratterà di pagare in concreto per i progetti del Pnrr. Dunque il rapporto dell’Italia con il mercato resterà delicatissimo almeno per altri tre anni.

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Pnrr, versati quasi 102 miliardi. Ma il rischio è che finanzi la spesa corrente

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29.01.2024

Uno dei benefici insospettabili del Piano nazionale di ripresa e resilienza è nella traiettoria del debito pubblico: se quest’anno non salirà, ma resterà più o meno stabile, lo si dovrà principalmente ai suoi fondi. Non tanto perché gli investimenti del Pnrr dovrebbero contribuire per il 70% alla pur anemica crescita del 2024, secondo l’economista Luigi Guiso dell’Istituto Einaudi (Eief). C’è anche un motivo più concreto: se la quarta rata del Pnrr da 16,5 miliardi non fosse stata provvidenzialmente versata a tre giorni dalla fine del 2023, quest’anno il rapporto fra debito pubblico e prodotto lordo sarebbe salito in violazione di tutte le regole europee. Invece, una gestione abile della liquidità versata da Bruxelles nel conto del Tesoro per l’esecuzione del Piano dovrebbe ridurre per il governo l’urgenza di rivolgersi al mercato per collocare sempre nuovi titoli. Paradossalmente aiutano, in questo, proprio i ritardi dei progetti.

Una simile strategia implica però dei costi più avanti, perché obbligherà il Tesoro a emettere molti più titoli di Stato nel 2025 e 2026 quando si tratterà di pagare per i cantieri oggi in gestazione. Si prolunga dunque la fase attuale di dipendenza acuta del governo dalla fiducia del mercato.

Il segreto del contenimento del debito grazie al Pnrr sta nello scarto — molto forte — fra incassi e pagamenti del Piano. Il governo finora ha ricevuto da Bruxelles quattro rate, per 102 miliardi di euro. È impossibile sapere quanto abbia già........

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