(a cura di Valentina Bartolucci)

Johan Vincent Galtung (1930-2024), pioniere degli Studi per la Pace (Peace Studies) è stato accademico, operatore per la pace, e instancabile attivista. Matematico e Sociologo di formazione, si è dedicato per tutta la vita alle tematiche del conflitto e della pace in chiave internazionale. Nel 1959 fondò il Centro di Ricerca sulla Pace di Oslo (PRIO); cinque anni dopo, il Journal of Peace Research; nel 1993, insieme a Fumiko Nishimura, la rete Trascend International, un'organizzazione per la mediazione dei conflitti avente lo scopo di operare per la costruzione della pace con mezzi pacifici; e, nel 2011, il Galtung Institut a Basilea.

Vista la vastità della sua produzione intellettuale, non è facile racchiudere in poche righe i contributi più importanti del suo complesso (e per alcuni aspetti criticabile) percorso intellettuale. Qua ricordiamo la sua concettualizzazione di “pace positiva”, che attrarrà fin da subito un grande interesse perché particolarmente innovativa, la sua riflessione sulla violenza strutturale e la sua visione del conflitto come potenzialmente positivo.

Nelle sue riflessioni sulla pace, Galtung si ispirò alla scienza medica, che vede la salute sia come assenza di sintomi, sia come un qualcosa di più positivo, e cioè come costruzione di un corpo sano in grado di resistere alle malattie. Lo studioso ammetterà, poi, che questa concettualizzazione, per quanto innovativa, si rivelò ben presto insufficiente. Prendendo in esame il caso di Harare, la capitale dello Zimbawe, notò, infatti, come nel periodo 1923-65 vi fosse un livello di “violenza interrazziale” molto basso. Tuttavia, vi era uno stato di flagrante disuguaglianza tra bianchi e neri che rendeva impossibile definire pace quello stato di cose. Nacque così il concetto di “violenza strutturale”, intesa come “danno involontario arrecato agli esseri umani. Il conflitto, inoltre, è visto come un qualcosa di non necessariamente violento. La visione del conflitto come potenzialmente positivo è stato probabilmente l'intuito più felice di Galtung.

Viaggiatore instancabile, vivrà in numerosi Paesi, tra cui l'Italia. Soggiornerà in Sicilia tra il 1956 e il 1957 su invito di Danilo Dolci, il “Ghandi italiano” come lo chiamava Aldo Capitini. Quell'esperienza segnerà profondamente il giovane ricercatore per la pace norvegese, sia sul piano personale che su quello intellettuale. Fu, infatti, proprio grazie a Dolci che Galtung toccherà con mano l'importanza delle emozioni e il ruolo cruciale dell'immaginazione nei processi di costruzione di pace.

“Nello spirito di una “ricerca-azione”, Galtung ambiva non solamente ad approfondire conoscenze teoriche, ma anche a testarle nella pratica, con lo scopo di introdurre, nella pratica stessa, dei cambiamenti migliorativi. Tra i suoi vari interventi da mediatore in giro per il mondo, è degna di nota la sua mediazione che ha portato all'accordo tra l'Ecuador e il Perù. Fu sua l'idea di una gestione condivisa, come parco naturale, del territorio di frontiera conteso, per il cui possesso esclusivo si erano combattute cruenti battaglie.

Lo studioso norvegese non accettava facilmente critiche ed era restio ad ammettere i propri errori; tuttavia, è ammirabile la tenacia con la quale si è battuto per tutta la durata della vita per ampliare il concetto di pace, dissociandolo da quello di sicurezza (armata). Galtung amava ripetere: “Ci sono alternative!”. Di fronte a percorsi già segnati, che sembrano trascinarci ineluttabilmente nella violenza e nella guerra, ricordiamoci, dunque, che ci sono sempre delle alternative. Per “trovarle”, bisogna pensare fuori dagli schemi, nuotare contro corrente, pensare l'impensabile.

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Johan Vincent Galtung (1930-2024), pioniere degli Studi per la Pace (Peace Studies) è stato accademico, operatore per la pace, e instancabile attivista. Matematico e Sociologo di formazione, si è dedicato per tutta la vita alle tematiche del conflitto e della pace in chiave internazionale. Nel 1959 fondò il Centro di Ricerca sulla Pace di Oslo (PRIO); cinque anni dopo, il Journal of Peace Research; nel 1993, insieme a Fumiko Nishimura, la rete Trascend International, un'organizzazione per la mediazione dei conflitti avente lo scopo di operare per la costruzione della pace con mezzi pacifici; e, nel 2011, il Galtung Institut a Basilea.

Vista la vastità della sua produzione intellettuale, non è facile racchiudere in poche righe i contributi più importanti del suo complesso (e per alcuni aspetti criticabile) percorso intellettuale. Qua ricordiamo la sua concettualizzazione di “pace positiva”, che attrarrà fin da subito un grande interesse perché particolarmente innovativa, la sua riflessione sulla violenza strutturale e la sua visione del conflitto come potenzialmente positivo.

Nelle sue riflessioni sulla pace, Galtung si ispirò alla scienza medica, che vede la salute sia come assenza di sintomi, sia come un qualcosa di più positivo, e cioè come costruzione di un corpo sano in grado di resistere alle malattie. Lo studioso ammetterà, poi, che questa concettualizzazione, per quanto innovativa, si rivelò ben presto insufficiente. Prendendo in esame il caso di Harare, la capitale dello Zimbawe, notò, infatti, come nel periodo 1923-65 vi fosse un livello di “violenza interrazziale” molto basso. Tuttavia, vi era uno stato di flagrante disuguaglianza tra bianchi e neri che rendeva impossibile definire pace quello stato di cose. Nacque così il concetto di “violenza strutturale”, intesa come “danno involontario arrecato agli esseri umani. Il conflitto, inoltre, è visto come un qualcosa di non necessariamente violento. La visione del conflitto come potenzialmente positivo è stato probabilmente l'intuito più felice di Galtung.

Viaggiatore instancabile, vivrà in numerosi Paesi, tra cui l'Italia. Soggiornerà in Sicilia tra il 1956 e il 1957 su invito di Danilo Dolci, il “Ghandi italiano” come lo chiamava Aldo Capitini. Quell'esperienza segnerà profondamente il giovane ricercatore per la pace norvegese, sia sul piano personale che su quello intellettuale. Fu, infatti, proprio grazie a Dolci che Galtung toccherà con mano l'importanza delle emozioni e il ruolo cruciale dell'immaginazione nei processi di costruzione di pace.

“Nello spirito di una “ricerca-azione”, Galtung ambiva non solamente ad approfondire conoscenze teoriche, ma anche a testarle nella pratica, con lo scopo di introdurre, nella pratica stessa, dei cambiamenti migliorativi. Tra i suoi vari interventi da mediatore in giro per il mondo, è degna di nota la sua mediazione che ha portato all'accordo tra l'Ecuador e il Perù. Fu sua l'idea di una gestione condivisa, come parco naturale, del territorio di frontiera conteso, per il cui possesso esclusivo si erano combattute cruenti battaglie.

Lo studioso norvegese non accettava facilmente critiche ed era restio ad ammettere i propri errori; tuttavia, è ammirabile la tenacia con la quale si è battuto per tutta la durata della vita per ampliare il concetto di pace, dissociandolo da quello di sicurezza (armata). Galtung amava ripetere: “Ci sono alternative!”. Di fronte a percorsi già segnati, che sembrano trascinarci ineluttabilmente nella violenza e nella guerra, ricordiamoci, dunque, che ci sono sempre delle alternative. Per “trovarle”, bisogna pensare fuori dagli schemi, nuotare contro corrente, pensare l'impensabile.

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Addio Johan Vincent Galtung, una vita per la pace

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28.02.2024

(a cura di Valentina Bartolucci)

Johan Vincent Galtung (1930-2024), pioniere degli Studi per la Pace (Peace Studies) è stato accademico, operatore per la pace, e instancabile attivista. Matematico e Sociologo di formazione, si è dedicato per tutta la vita alle tematiche del conflitto e della pace in chiave internazionale. Nel 1959 fondò il Centro di Ricerca sulla Pace di Oslo (PRIO); cinque anni dopo, il Journal of Peace Research; nel 1993, insieme a Fumiko Nishimura, la rete Trascend International, un'organizzazione per la mediazione dei conflitti avente lo scopo di operare per la costruzione della pace con mezzi pacifici; e, nel 2011, il Galtung Institut a Basilea.

Vista la vastità della sua produzione intellettuale, non è facile racchiudere in poche righe i contributi più importanti del suo complesso (e per alcuni aspetti criticabile) percorso intellettuale. Qua ricordiamo la sua concettualizzazione di “pace positiva”, che attrarrà fin da subito un grande interesse perché particolarmente innovativa, la sua riflessione sulla violenza strutturale e la sua visione del conflitto come potenzialmente positivo.

Nelle sue riflessioni sulla pace, Galtung si ispirò alla scienza medica, che vede la salute sia come assenza di sintomi, sia come un qualcosa di più positivo, e cioè come costruzione di un corpo sano in grado di resistere alle malattie. Lo studioso ammetterà, poi, che questa concettualizzazione, per quanto innovativa, si rivelò ben presto insufficiente. Prendendo in esame il caso di Harare, la capitale dello Zimbawe, notò, infatti, come nel periodo 1923-65 vi fosse un livello di “violenza interrazziale” molto basso. Tuttavia, vi era uno stato di flagrante disuguaglianza tra bianchi e neri che rendeva impossibile definire pace quello stato di cose. Nacque così il concetto di “violenza strutturale”, intesa come “danno involontario........

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