“Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione perfino biologica”, scrive Salvador Allende in un discorso del 1972, cinquant’anni fa, nell’epoca della generazione degli adulti di oggi. Vi è una strana e simbolica coincidenza tra due eventi che mi hanno colpita in questi giorni: da una parte la circolare ministeriale che invita le scuole a non far utilizzare smartphone e tablet, neanche per fini didattici, dall’altra le cariche della polizia di Pisa contro un corteo di studenti con l’unico torto di voler raggiungere una zona della città a loro interdetta. Le ultime ricerche hanno fatto emergere il non beneficio effettivo di device in ambito scolastico. Una nota che, credo, come me, l’intera mia categoria professionale reclamava e auspicava da tempo. Via i telefoni, torniamo a parlare, a giocare, a far parlare i ragazzi, a farli giocare, a farli studiare con matita e - perché no? - con i colori. Torniamo a farli creare, a far loro discutere le proprie idee, insegniamogli ad esporle, a crederci, a condividerle. Facciamoli uscire fuori, facciamoli stare con i loro amici, facciamoli parlare delle cose in cui credono e a combattere per esse. Ecco, facciamogli fare tutto questo perché tutto questo dà loro entusiasmo.

Sono in grado di farlo, i ragazzi li conosco; li vedo a studio, mi parlano, mi raccontano, hanno il viso che prende mille forme e colori mentre raccontano le loro emozioni. ‘Ma guardate il sorriso, guardate il colore, come gioca sul viso di chi cerca l’amore’, cantava Fabrizio De Andrè. Prende l’entusiasmo ad una psicoanalista che i ragazzi, i giovani, il nostro futuro, li difende sempre, spesso anche dai loro stessi genitori. Prende l’entusiasmo… che poi tragicamente crolla dinanzi alle immagini che in tanti Social abbiamo visto, quelle dei ragazzi, minorenni, scioperanti a Pisa. Ragazzi, un po’ troppo piccoli per ricevere manganellate, non sufficientemente pericolosi per giustificarle.

Un corteo non autorizzato, si discolperebbero le Forze dell’Ordine. “Ma se è autorizzata che rivoluzione è?”, mi chiede un mio giovanissimo paziente. Devo esser sincera? Non ho saputo rispondergli se non con un ‘mi dispiace’. Sì, perché mi viene solo da chiedere scusa a quei ragazzi a cui io stessa sono la prima ad insegnare a credere e a manifestare le loro idee. La sensazione che ho immediatamente dopo, ricollegando i discorsi che faccio con i genitori, con gli insegnanti, con i legali e con tutta la sfera adulta, è che per i ragazzi di oggi, in effetti, non c’è posto!

Pensiamo allo smartphone, uno strumento che dato ai nostri figli piccoli ha come primo effetto di silenziarli: un miracolo! Improvvisamente nostro figlio che prima giocava con la palla in casa, distruggendo soprammobili e facendosi male, non si sente più. Ah, che pace! E poi? E poi iniziamo a preoccuparci dopo qualche anno: ‘Dottoressa non si sente, non fa niente, non esce, non parla'. E quindi lavoriamo per farlo ricominciare a credere, di nuovo, a vivere gli amici, a ridere, a divertirsi. Gli trasmettiamo pensieri e concetti. Ed ecco che lui inizia a farne buon uso. Ed è proprio attraverso quello stesso smartphone che lui si mette d’accordo con altri ragazzi, simili a lui, e decide di scioperare, di manifestare la sua idea. Dopotutto è cittadino di un paese democratico. Le idee, se educate, possono essere manifestate. Ma ecco che viene preso a manganellate proprio da chi dovrebbe proteggerlo e soprattutto proteggere il suo diritto di manifestarle quelle idee! E allora mi viene solo in mente la frase che mi disse un mio paziente con disabilità intellettiva: ‘I forti non menano, difendono'.

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“Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione perfino biologica”, scrive Salvador Allende in un discorso del 1972, cinquant’anni fa, nell’epoca della generazione degli adulti di oggi. Vi è una strana e simbolica coincidenza tra due eventi che mi hanno colpita in questi giorni: da una parte la circolare ministeriale che invita le scuole a non far utilizzare smartphone e tablet, neanche per fini didattici, dall’altra le cariche della polizia di Pisa contro un corteo di studenti con l’unico torto di voler raggiungere una zona della città a loro interdetta. Le ultime ricerche hanno fatto emergere il non beneficio effettivo di device in ambito scolastico. Una nota che, credo, come me, l’intera mia categoria professionale reclamava e auspicava da tempo. Via i telefoni, torniamo a parlare, a giocare, a far parlare i ragazzi, a farli giocare, a farli studiare con matita e - perché no? - con i colori. Torniamo a farli creare, a far loro discutere le proprie idee, insegniamogli ad esporle, a crederci, a condividerle. Facciamoli uscire fuori, facciamoli stare con i loro amici, facciamoli parlare delle cose in cui credono e a combattere per esse. Ecco, facciamogli fare tutto questo perché tutto questo dà loro entusiasmo.

Sono in grado di farlo, i ragazzi li conosco; li vedo a studio, mi parlano, mi raccontano, hanno il viso che prende mille forme e colori mentre raccontano le loro emozioni. ‘Ma guardate il sorriso, guardate il colore, come gioca sul viso di chi cerca l’amore’, cantava Fabrizio De Andrè. Prende l’entusiasmo ad una psicoanalista che i ragazzi, i giovani, il nostro futuro, li difende sempre, spesso anche dai loro stessi genitori. Prende l’entusiasmo… che poi tragicamente crolla dinanzi alle immagini che in tanti Social abbiamo visto, quelle dei ragazzi, minorenni, scioperanti a Pisa. Ragazzi, un po’ troppo piccoli per ricevere manganellate, non sufficientemente pericolosi per giustificarle.

Un corteo non autorizzato, si discolperebbero le Forze dell’Ordine. “Ma se è autorizzata che rivoluzione è?”, mi chiede un mio giovanissimo paziente. Devo esser sincera? Non ho saputo rispondergli se non con un ‘mi dispiace’. Sì, perché mi viene solo da chiedere scusa a quei ragazzi a cui io stessa sono la prima ad insegnare a credere e a manifestare le loro idee. La sensazione che ho immediatamente dopo, ricollegando i discorsi che faccio con i genitori, con gli insegnanti, con i legali e con tutta la sfera adulta, è che per i ragazzi di oggi, in effetti, non c’è posto!

Pensiamo allo smartphone, uno strumento che dato ai nostri figli piccoli ha come primo effetto di silenziarli: un miracolo! Improvvisamente nostro figlio che prima giocava con la palla in casa, distruggendo soprammobili e facendosi male, non si sente più. Ah, che pace! E poi? E poi iniziamo a preoccuparci dopo qualche anno: ‘Dottoressa non si sente, non fa niente, non esce, non parla'. E quindi lavoriamo per farlo ricominciare a credere, di nuovo, a vivere gli amici, a ridere, a divertirsi. Gli trasmettiamo pensieri e concetti. Ed ecco che lui inizia a farne buon uso. Ed è proprio attraverso quello stesso smartphone che lui si mette d’accordo con altri ragazzi, simili a lui, e decide di scioperare, di manifestare la sua idea. Dopotutto è cittadino di un paese democratico. Le idee, se educate, possono essere manifestate. Ma ecco che viene preso a manganellate proprio da chi dovrebbe proteggerlo e soprattutto proteggere il suo diritto di manifestarle quelle idee! E allora mi viene solo in mente la frase che mi disse un mio paziente con disabilità intellettiva: ‘I forti non menano, difendono'.

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I forti non menano, difendono

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23.02.2024

“Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione perfino biologica”, scrive Salvador Allende in un discorso del 1972, cinquant’anni fa, nell’epoca della generazione degli adulti di oggi. Vi è una strana e simbolica coincidenza tra due eventi che mi hanno colpita in questi giorni: da una parte la circolare ministeriale che invita le scuole a non far utilizzare smartphone e tablet, neanche per fini didattici, dall’altra le cariche della polizia di Pisa contro un corteo di studenti con l’unico torto di voler raggiungere una zona della città a loro interdetta. Le ultime ricerche hanno fatto emergere il non beneficio effettivo di device in ambito scolastico. Una nota che, credo, come me, l’intera mia categoria professionale reclamava e auspicava da tempo. Via i telefoni, torniamo a parlare, a giocare, a far parlare i ragazzi, a farli giocare, a farli studiare con matita e - perché no? - con i colori. Torniamo a farli creare, a far loro discutere le proprie idee, insegniamogli ad esporle, a crederci, a condividerle. Facciamoli uscire fuori, facciamoli stare con i loro amici, facciamoli parlare delle cose in cui credono e a combattere per esse. Ecco, facciamogli fare tutto questo perché tutto questo dà loro entusiasmo.

Sono in grado di farlo, i ragazzi li conosco; li vedo a studio, mi parlano, mi raccontano, hanno il viso che prende mille forme e colori mentre raccontano le loro emozioni. ‘Ma guardate il sorriso, guardate il colore, come gioca sul viso di chi cerca l’amore’, cantava Fabrizio De Andrè. Prende l’entusiasmo ad una psicoanalista che i ragazzi, i giovani, il nostro futuro, li difende sempre, spesso anche dai loro stessi genitori. Prende l’entusiasmo… che poi tragicamente crolla dinanzi alle immagini che in tanti Social abbiamo visto, quelle dei ragazzi, minorenni, scioperanti a Pisa. Ragazzi, un........

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