Mentre scorrevano i titoli di coda su Cop28, tra applausi, abbracci e strette di mano, saltava agli occhi l'euforia del successo, che aveva contaminato i presenti alla Conferenza internazionale sul clima. La festa, forse liberatoria, arrivava dopo due intense settimane di discussioni, dibattiti, riunioni e tanto lavoro diplomatico. Con quelle immagini prendeva campo la narrativa che finalmente la guerra ai cambiamenti climatici era stata vinta. Insomma, quella di Dubai veniva rappresentata, ed esaltata, come una pietra miliare, una pagina da ricordare nei libri. Perché apre una nuova era, fuori dai problemi ambientali che ci circondano. Questa promessa di cambiamento, leggendo il documento finale, tuttavia, non mi convince. Non per pessimismo, assolutamente, ma per semplice constatazione dei fatti: siamo difronte ad un buco nell'acqua. Affermare che il summit delle Nazioni Unite sia stato un trionfo, epocale, è una grossa bugia. Purtroppo, le bugie ostentate hanno la gambe ancora più corte. E prima o poi presentano il conto.

Per quanto ci siano stati degli indubbi risvolti positivi nel complesso è sbagliato, in queste condizioni, farsi portatori di ottimismo. Eccessivo, poi, l'uso del termine “storico”, che si vuole legare a questa Cop. Parola che ci siamo sentiti propinata con ricorrenza ad ogni minimo passo.

A partire dal 30 novembre, primo giorno della Conferenza quando, ci è stato comunicato che è stato trovato un accordo “storico” per rendere operativo il fondo loss and damage (perdite e danni) per assistere i Paesi in via di sviluppo che sono particolarmente vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico. Budget che dovrà essere amministrato dalla Banca Mondiale. A cui gli Emirati Arabi Uniti hanno annunciato di aderire con 100 milioni di dollari, come la Germania, mentre il Regno Unito si è fatto carico di 40 milioni, 10 milioni invece dal Giappone e 17.5 quelli degli Usa. Si tratta di impegni assunti volontariamente, e la cifra raggiunta è ridicola. Basti pensare, per fare una paragone, che le alluvioni in Emilia Romagna e Toscana hanno causato oltre 10 miliardi di euro di danni.

A fare la “storia” il 1° dicembre, secondo giorno della Conferenza, è stata la firma di 134 Paesi, fra cui l’Italia, alla dichiarazione sull’ agricoltura sostenibile, sistema alimentare resiliente e azione per il clima. Per la prima volta ad una Cop è stata sancita la connessione fra cibo e cambiamento climatico, con la necessità di coinvolgere anche il settore agricolo nel contrasto al cambiamento climatico. Certo, se è sufficiente la primogenitura per guadagnarsi l’appellativo di storico, allora non possiamo dire niente. Ma ci sarebbe piaciuto leggere, oltre alle belle intenzioni, anche qualche impegno su come realizzare una sicurezza alimentare inclusiva, sulla riduzione degli allevamenti intensivi, sulla promozione dell’alimentazione vegetale, sulla riduzione dell’utilizzo dei pesticidi e degli antibiotici, sulla conservazione dei semi e sulla biodiversità, e magari qualcosina sul come fermare il processo di deforestazione.

E infine, “storico” è l’aggettivo qualificativo dato il 13 dicembre alle 8 di mattina (ora italiana) al documento finale a conclusione della Cop28. Che invece registra risultati contrastanti e controversi e non certo all’altezza dei rischi climatici ed economici globali. Infatti, mentre il “trattato” segnala il sostegno chiaro alla scienza (e questa è una felice conferma vista la mala parata iniziale), non riesce a fornire il giusto livello di chiarezza e velocità di cui abbiamo veramente bisogno per la transizione. Il testo inoltre presenta molte scappatoie (una per tutte la data del 2050 per l'abbandono dei combustibili fossili), non spiana davvero la strada alle energie rinnovabili e offre diversi regali ai cosiddetti “greenwashers”, che mistificano la reale uscita dai fossili con tecnologie “verdi”, inserendo la cattura e lo stoccaggio delle emissioni di gas serra, non in chiave di contributo ma di obiettivo.

“Della storia, in senso ampio; o che ha per oggetto e fine la storia, intesa come ricerca, descrizione e interpretazione di fatti che hanno una linea di sviluppo nel tempo”. Così la Treccani definisce il termine “storico”. Ebbene, se guardiamo l’esito di questa ultima Cop siamo davvero lontani dalla realtà storica.

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Mentre scorrevano i titoli di coda su Cop28, tra applausi, abbracci e strette di mano, saltava agli occhi l'euforia del successo, che aveva contaminato i presenti alla Conferenza internazionale sul clima. La festa, forse liberatoria, arrivava dopo due intense settimane di discussioni, dibattiti, riunioni e tanto lavoro diplomatico. Con quelle immagini prendeva campo la narrativa che finalmente la guerra ai cambiamenti climatici era stata vinta. Insomma, quella di Dubai veniva rappresentata, ed esaltata, come una pietra miliare, una pagina da ricordare nei libri. Perché apre una nuova era, fuori dai problemi ambientali che ci circondano. Questa promessa di cambiamento, leggendo il documento finale, tuttavia, non mi convince. Non per pessimismo, assolutamente, ma per semplice constatazione dei fatti: siamo difronte ad un buco nell'acqua. Affermare che il summit delle Nazioni Unite sia stato un trionfo, epocale, è una grossa bugia. Purtroppo, le bugie ostentate hanno la gambe ancora più corte. E prima o poi presentano il conto.

Per quanto ci siano stati degli indubbi risvolti positivi nel complesso è sbagliato, in queste condizioni, farsi portatori di ottimismo. Eccessivo, poi, l'uso del termine “storico”, che si vuole legare a questa Cop. Parola che ci siamo sentiti propinata con ricorrenza ad ogni minimo passo.

A partire dal 30 novembre, primo giorno della Conferenza quando, ci è stato comunicato che è stato trovato un accordo “storico” per rendere operativo il fondo loss and damage (perdite e danni) per assistere i Paesi in via di sviluppo che sono particolarmente vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico. Budget che dovrà essere amministrato dalla Banca Mondiale. A cui gli Emirati Arabi Uniti hanno annunciato di aderire con 100 milioni di dollari, come la Germania, mentre il Regno Unito si è fatto carico di 40 milioni, 10 milioni invece dal Giappone e 17.5 quelli degli Usa. Si tratta di impegni assunti volontariamente, e la cifra raggiunta è ridicola. Basti pensare, per fare una paragone, che le alluvioni in Emilia Romagna e Toscana hanno causato oltre 10 miliardi di euro di danni.

A fare la “storia” il 1° dicembre, secondo giorno della Conferenza, è stata la firma di 134 Paesi, fra cui l’Italia, alla dichiarazione sull’ agricoltura sostenibile, sistema alimentare resiliente e azione per il clima. Per la prima volta ad una Cop è stata sancita la connessione fra cibo e cambiamento climatico, con la necessità di coinvolgere anche il settore agricolo nel contrasto al cambiamento climatico. Certo, se è sufficiente la primogenitura per guadagnarsi l’appellativo di storico, allora non possiamo dire niente. Ma ci sarebbe piaciuto leggere, oltre alle belle intenzioni, anche qualche impegno su come realizzare una sicurezza alimentare inclusiva, sulla riduzione degli allevamenti intensivi, sulla promozione dell’alimentazione vegetale, sulla riduzione dell’utilizzo dei pesticidi e degli antibiotici, sulla conservazione dei semi e sulla biodiversità, e magari qualcosina sul come fermare il processo di deforestazione.

E infine, “storico” è l’aggettivo qualificativo dato il 13 dicembre alle 8 di mattina (ora italiana) al documento finale a conclusione della Cop28. Che invece registra risultati contrastanti e controversi e non certo all’altezza dei rischi climatici ed economici globali. Infatti, mentre il “trattato” segnala il sostegno chiaro alla scienza (e questa è una felice conferma vista la mala parata iniziale), non riesce a fornire il giusto livello di chiarezza e velocità di cui abbiamo veramente bisogno per la transizione. Il testo inoltre presenta molte scappatoie (una per tutte la data del 2050 per l'abbandono dei combustibili fossili), non spiana davvero la strada alle energie rinnovabili e offre diversi regali ai cosiddetti “greenwashers”, che mistificano la reale uscita dai fossili con tecnologie “verdi”, inserendo la cattura e lo stoccaggio delle emissioni di gas serra, non in chiave di contributo ma di obiettivo.

“Della storia, in senso ampio; o che ha per oggetto e fine la storia, intesa come ricerca, descrizione e interpretazione di fatti che hanno una linea di sviluppo nel tempo”. Così la Treccani definisce il termine “storico”. Ebbene, se guardiamo l’esito di questa ultima Cop siamo davvero lontani dalla realtà storica.

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È davvero “storico” l’accordo sul clima di Cop28?

10 0
15.12.2023

Mentre scorrevano i titoli di coda su Cop28, tra applausi, abbracci e strette di mano, saltava agli occhi l'euforia del successo, che aveva contaminato i presenti alla Conferenza internazionale sul clima. La festa, forse liberatoria, arrivava dopo due intense settimane di discussioni, dibattiti, riunioni e tanto lavoro diplomatico. Con quelle immagini prendeva campo la narrativa che finalmente la guerra ai cambiamenti climatici era stata vinta. Insomma, quella di Dubai veniva rappresentata, ed esaltata, come una pietra miliare, una pagina da ricordare nei libri. Perché apre una nuova era, fuori dai problemi ambientali che ci circondano. Questa promessa di cambiamento, leggendo il documento finale, tuttavia, non mi convince. Non per pessimismo, assolutamente, ma per semplice constatazione dei fatti: siamo difronte ad un buco nell'acqua. Affermare che il summit delle Nazioni Unite sia stato un trionfo, epocale, è una grossa bugia. Purtroppo, le bugie ostentate hanno la gambe ancora più corte. E prima o poi presentano il conto.

Per quanto ci siano stati degli indubbi risvolti positivi nel complesso è sbagliato, in queste condizioni, farsi portatori di ottimismo. Eccessivo, poi, l'uso del termine “storico”, che si vuole legare a questa Cop. Parola che ci siamo sentiti propinata con ricorrenza ad ogni minimo passo.

A partire dal 30 novembre, primo giorno della Conferenza quando, ci è stato comunicato che è stato trovato un accordo “storico” per rendere operativo il fondo loss and damage (perdite e danni) per assistere i Paesi in via di sviluppo che sono particolarmente vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico. Budget che dovrà essere amministrato dalla Banca Mondiale. A cui gli Emirati Arabi Uniti hanno annunciato di aderire con 100 milioni di dollari, come la Germania, mentre il Regno Unito si è fatto carico di 40 milioni, 10 milioni invece dal Giappone e 17.5 quelli degli Usa. Si tratta di impegni assunti volontariamente, e la cifra raggiunta è ridicola. Basti pensare, per fare una paragone, che le alluvioni in Emilia Romagna e Toscana hanno causato oltre 10 miliardi di euro di danni.

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