Dopo tre anni e tre Conferenze sul clima seguite da inviato speciale degli Stati Uniti, John Kerry lascia il ruolo, che il presidente Joe Biden volle espressamente per lui. Il testimone passa a John Podesta. 75 anni, stratega democratico di lunga data, già responsabile della campagna per le presidenziali 2016 di Hillary Clinton e attuale consigliere senior della Casa Bianca per l'energia pulita e l'attuazione dell'Inflation Reduction Act. Podesta così raddoppia il suo ruolo: manterrà sia il suo attuale portafoglio di consigliere di Biden, sia il suo impegno nella diplomazia internazionale sul clima, nel momento più complesso e difficile per la democrazia americana.

Kerry nell’uscire di scena ha annunciato che si impegnerà anima e corpo “nel sostegno all’amico Biden”, sino al voto di novembre. Ottant’anni, già candidato del partito democratico alle elezioni presidenziali del 2004 (dove venne sconfitto da George W. Bush) e poi segretario di Stato tra il 2013 e il 2017 durante la presidenza di Barack Obama, John Kerry nell’ultimo triennio si è trovato di fronte a un compito tutt’altro che banale. Quello di restituire agli Stati Uniti un ruolo da protagonista dell’azione per il clima dopo i clamorosi passi indietro compiuti durante la presidenza di Donald Trump, che portarono al ridimensionamento dell’Epa, l’autorevole Agenzia di protezione ambientale, ed al ritiro della firma dall’Accordo sul clima di Parigi. In ogni caso Kerry è stato sicuramente, con luci ed ombre, uno dei protagonisti degli ultimi tre anni della politica sul clima. Anche se a grandi annunci purtroppo non si è riusciti a far seguire fatti altrettanto concreti. E le politiche mondiali sul clima anche di fronte agli scenari di guerra dall’Ucraina al Medioriente e alle conseguenti crisi economiche, stanno vedendo prevalere atteggiamenti moderati da parte dei governi, lasciando il campo solo alla realpolitik. Basta vedere, con l’avvicinarsi del voto di giugno, come anche l’Ue faccia passi indietro: dalle auto Euro7 ai pesticidi, fino alle norme sulle filiere pulite.

Con Kerry escono di scena, e non si ritroveranno a Baku per Cop29, due altre figure chiave della diplomazia mondiale che hanno guidato i negoziati in tre vertici internazionali sul clima, l'ultimo dei quali si è tenuto a Dubai: Xie Zhenhua, inviato speciale per il clima della Cina che ha preferito la pensione e Frans Timmermanns, per oltre tre anni vicepresidente esecutivo della Commissione europea per il Green Deal europeo che si è candidato nei Paesi Bassi alle ultime elezioni politiche (sconfitto dall’estrema destra).

A John Kerry si deve un periodo di intense relazioni diplomatiche. Ha raggiunto diversi accordi internazionali che hanno riportato gli Stati Uniti nel dibattito internazionale sul clima. Nei suoi negoziati è stato aiutato dall'approvazione dell'Inflation Reduction Act nell'agosto del 2022, che ha sostenuto con investimenti significativi gli ambiziosi impegni di Biden in materia di clima. Kerry ha dato priorità alla ripresa dei colloqui internazionali sul clima tra Stati Uniti e Cina, dopo che quest'ultima aveva bruscamente interrotto la cooperazione per altre questioni geopolitiche. Ha infine svolto un ruolo decisivo nel negoziare la dichiarazione di Sunnylands, raggiunta a novembre, un’intesa di ampio respiro sul clima tra i due Paesi prima della COP28. Anche se la Cina non si è ancora decisa ad abbandonare il carbone, il combustibile fossile più sporco e inquinante in assoluto, che tuttora fa la parte del leone nel suo mix energetico. Come all’influenza di Kerry si deve l’obiettivo – fissato dalla Casa Bianca – di tagliare le emissioni del 50-52 per cento entro il 2030, rispetto ai livelli del 2005.

Oggi negli USA quasi il 15% degli americani non crede che il cambiamento climatico sia reale. Lo rivela un nuovo studio dell'Università del Michigan, che analizzando milioni di tweet ha fatto luce sull'atteggiamento altamente polarizzato nei confronti del riscaldamento globale. Il negazionismo è più alto negli Stati Uniti centrali e meridionali, e gli elettori repubblicani sono meno propensi a credere nella scienza del clima. Donald Trump è emerso come una delle figure più influenti tra i negazionisti del cambiamento climatico. I suoi tweet relativi a un'ondata di freddo in Texas nel dicembre 2017, così come le sue missive che rifiutavano il rapporto IPCC del 2018 pubblicato alla conferenza Cop24 delle Nazioni Unite, sono stati alcuni dei suoi post più impegnati sui social media tra i negazionisti del cambiamento climatico. I risultati sono coerenti con studi simili, come il recente sondaggio dell'Università di Yale che stima che nel 2023 il 16% degli americani non crederà nel cambiamento climatico (circa 49 milioni di persone).

In piena campagna elettorale e con Donald Trump prepotentemente sulla scena con il suo populismo sovranista, in particolare sui temi ambientali, per rispondere alla gravità di questo momento i democratici americani si affidano a John Podesta, con l’ambizione di tenere fermo il timone dell'attuazione della legge sul clima. Confermando così di essere uno dei perni della campagna elettorale di Biden. Non sarà facile.

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Dopo tre anni e tre Conferenze sul clima seguite da inviato speciale degli Stati Uniti, John Kerry lascia il ruolo, che il presidente Joe Biden volle espressamente per lui. Il testimone passa a John Podesta. 75 anni, stratega democratico di lunga data, già responsabile della campagna per le presidenziali 2016 di Hillary Clinton e attuale consigliere senior della Casa Bianca per l'energia pulita e l'attuazione dell'Inflation Reduction Act. Podesta così raddoppia il suo ruolo: manterrà sia il suo attuale portafoglio di consigliere di Biden, sia il suo impegno nella diplomazia internazionale sul clima, nel momento più complesso e difficile per la democrazia americana.

Kerry nell’uscire di scena ha annunciato che si impegnerà anima e corpo “nel sostegno all’amico Biden”, sino al voto di novembre. Ottant’anni, già candidato del partito democratico alle elezioni presidenziali del 2004 (dove venne sconfitto da George W. Bush) e poi segretario di Stato tra il 2013 e il 2017 durante la presidenza di Barack Obama, John Kerry nell’ultimo triennio si è trovato di fronte a un compito tutt’altro che banale. Quello di restituire agli Stati Uniti un ruolo da protagonista dell’azione per il clima dopo i clamorosi passi indietro compiuti durante la presidenza di Donald Trump, che portarono al ridimensionamento dell’Epa, l’autorevole Agenzia di protezione ambientale, ed al ritiro della firma dall’Accordo sul clima di Parigi. In ogni caso Kerry è stato sicuramente, con luci ed ombre, uno dei protagonisti degli ultimi tre anni della politica sul clima. Anche se a grandi annunci purtroppo non si è riusciti a far seguire fatti altrettanto concreti. E le politiche mondiali sul clima anche di fronte agli scenari di guerra dall’Ucraina al Medioriente e alle conseguenti crisi economiche, stanno vedendo prevalere atteggiamenti moderati da parte dei governi, lasciando il campo solo alla realpolitik. Basta vedere, con l’avvicinarsi del voto di giugno, come anche l’Ue faccia passi indietro: dalle auto Euro7 ai pesticidi, fino alle norme sulle filiere pulite.

Con Kerry escono di scena, e non si ritroveranno a Baku per Cop29, due altre figure chiave della diplomazia mondiale che hanno guidato i negoziati in tre vertici internazionali sul clima, l'ultimo dei quali si è tenuto a Dubai: Xie Zhenhua, inviato speciale per il clima della Cina che ha preferito la pensione e Frans Timmermanns, per oltre tre anni vicepresidente esecutivo della Commissione europea per il Green Deal europeo che si è candidato nei Paesi Bassi alle ultime elezioni politiche (sconfitto dall’estrema destra).

A John Kerry si deve un periodo di intense relazioni diplomatiche. Ha raggiunto diversi accordi internazionali che hanno riportato gli Stati Uniti nel dibattito internazionale sul clima. Nei suoi negoziati è stato aiutato dall'approvazione dell'Inflation Reduction Act nell'agosto del 2022, che ha sostenuto con investimenti significativi gli ambiziosi impegni di Biden in materia di clima. Kerry ha dato priorità alla ripresa dei colloqui internazionali sul clima tra Stati Uniti e Cina, dopo che quest'ultima aveva bruscamente interrotto la cooperazione per altre questioni geopolitiche. Ha infine svolto un ruolo decisivo nel negoziare la dichiarazione di Sunnylands, raggiunta a novembre, un’intesa di ampio respiro sul clima tra i due Paesi prima della COP28. Anche se la Cina non si è ancora decisa ad abbandonare il carbone, il combustibile fossile più sporco e inquinante in assoluto, che tuttora fa la parte del leone nel suo mix energetico. Come all’influenza di Kerry si deve l’obiettivo – fissato dalla Casa Bianca – di tagliare le emissioni del 50-52 per cento entro il 2030, rispetto ai livelli del 2005.

Oggi negli USA quasi il 15% degli americani non crede che il cambiamento climatico sia reale. Lo rivela un nuovo studio dell'Università del Michigan, che analizzando milioni di tweet ha fatto luce sull'atteggiamento altamente polarizzato nei confronti del riscaldamento globale. Il negazionismo è più alto negli Stati Uniti centrali e meridionali, e gli elettori repubblicani sono meno propensi a credere nella scienza del clima. Donald Trump è emerso come una delle figure più influenti tra i negazionisti del cambiamento climatico. I suoi tweet relativi a un'ondata di freddo in Texas nel dicembre 2017, così come le sue missive che rifiutavano il rapporto IPCC del 2018 pubblicato alla conferenza Cop24 delle Nazioni Unite, sono stati alcuni dei suoi post più impegnati sui social media tra i negazionisti del cambiamento climatico. I risultati sono coerenti con studi simili, come il recente sondaggio dell'Università di Yale che stima che nel 2023 il 16% degli americani non crederà nel cambiamento climatico (circa 49 milioni di persone).

In piena campagna elettorale e con Donald Trump prepotentemente sulla scena con il suo populismo sovranista, in particolare sui temi ambientali, per rispondere alla gravità di questo momento i democratici americani si affidano a John Podesta, con l’ambizione di tenere fermo il timone dell'attuazione della legge sul clima. Confermando così di essere uno dei perni della campagna elettorale di Biden. Non sarà facile.

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Da Kerry a Podesta. I democratici in Usa combattono Trump e il negazionismo climatico

3 1
19.02.2024

Dopo tre anni e tre Conferenze sul clima seguite da inviato speciale degli Stati Uniti, John Kerry lascia il ruolo, che il presidente Joe Biden volle espressamente per lui. Il testimone passa a John Podesta. 75 anni, stratega democratico di lunga data, già responsabile della campagna per le presidenziali 2016 di Hillary Clinton e attuale consigliere senior della Casa Bianca per l'energia pulita e l'attuazione dell'Inflation Reduction Act. Podesta così raddoppia il suo ruolo: manterrà sia il suo attuale portafoglio di consigliere di Biden, sia il suo impegno nella diplomazia internazionale sul clima, nel momento più complesso e difficile per la democrazia americana.

Kerry nell’uscire di scena ha annunciato che si impegnerà anima e corpo “nel sostegno all’amico Biden”, sino al voto di novembre. Ottant’anni, già candidato del partito democratico alle elezioni presidenziali del 2004 (dove venne sconfitto da George W. Bush) e poi segretario di Stato tra il 2013 e il 2017 durante la presidenza di Barack Obama, John Kerry nell’ultimo triennio si è trovato di fronte a un compito tutt’altro che banale. Quello di restituire agli Stati Uniti un ruolo da protagonista dell’azione per il clima dopo i clamorosi passi indietro compiuti durante la presidenza di Donald Trump, che portarono al ridimensionamento dell’Epa, l’autorevole Agenzia di protezione ambientale, ed al ritiro della firma dall’Accordo sul clima di Parigi. In ogni caso Kerry è stato sicuramente, con luci ed ombre, uno dei protagonisti degli ultimi tre anni della politica sul clima. Anche se a grandi annunci purtroppo non si è riusciti a far seguire fatti altrettanto concreti. E le politiche mondiali sul clima anche di fronte agli scenari di guerra dall’Ucraina al Medioriente e alle conseguenti crisi economiche, stanno vedendo prevalere atteggiamenti moderati da parte dei governi, lasciando il campo solo alla realpolitik. Basta vedere, con l’avvicinarsi del voto di giugno, come anche l’Ue faccia passi indietro: dalle auto Euro7 ai pesticidi, fino alle norme sulle filiere pulite.

Con Kerry escono di scena, e non si ritroveranno a Baku per Cop29, due altre figure chiave della diplomazia mondiale che hanno guidato i negoziati in tre vertici internazionali sul clima, l'ultimo dei quali si è tenuto a Dubai: Xie Zhenhua, inviato speciale per il clima della Cina che ha preferito la pensione e Frans Timmermanns, per oltre tre anni vicepresidente esecutivo della Commissione europea per il Green Deal europeo che si è candidato nei Paesi Bassi alle ultime elezioni politiche (sconfitto dall’estrema destra).

A John Kerry si deve un periodo di intense........

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