C'è una parola tedesca che mi fa rabbrividire, è judenrein. Significa “libero dagli ebrei”. Nel 1943 era uno slogan in voga nella Germania nazista e razzista. Lo ascoltavi alla radio, lo trovavi scritto a caratteri cubitali sui muri, sui portoni, nelle vetrine e nei manifesti pubblicitari. Rosse, bianche o nere. Allora, i pochi ebrei rimasti nel Reich erano per lo più in fuga, chiamati “U-Boot” o “sottomarini” vivevano nella paura della deportazione, cercavano rifugio e spesso lo ebbero, anche grazie a chi decise di non voltarsi dall’altra parte. Alcune di queste anime buone, che hanno dato una mano, sono state riconosciute come “Giusti tra le nazioni”.

Tutto ebbe inizio il 9 e 10 novembre 1938 con “la notte dei cristalli”: durante un pogrom antisemita, vennero uccisi ebrei, distrutti edifici, negozi e sinagoghe, iniziò la deportazione. Da allora ci sono stati giorni tetri e cupi in cui, in Europa e anche in Italia, con le leggi razziali e razziste (come davvero furono), iniziò la caccia all'ebreo. Spietata. Tragica.

Intere famiglie per sopravvivere furono costrette a seguire l'istinto naturale della reazione al pericolo. E nelle loro menti risuonarono parole d’emergenza. Scappa. Corri. Salvati. Trova aiuto tra gli amici. Non ti fidare degli altri. Cerca di diventare invisibile. Nasconditi meglio che puoi. Lascia la tua identità e arrampicati tra altre: diverse, immaginarie e forse sicure. Sparisci dagli occhi indiscreti della gente che ti odia per la tua religione, fai in modo che non parlino male di te. Pensa che ogni giorno c'è il rischio che puoi essere arrestato, fucilato o deportato in un campo di concentramento. Proteggi i tuoi cari, a ogni prezzo e modo.

Sì prudente e soprattutto coraggiosa: «Eccoli! Avevo visto un camion fermarsi davanti al cancello, e ne erano scesi dei soldati tedeschi; quanti? Non so; scavalcarono rapidamente il cancello e si diressero verso casa». Che poi era la dimora estiva a Porto Corsini (Ravenna) della famiglia Ottolenghi. Racconta Ada: «l'ufficiale che parlava italiano mi disse: potere voi lasciare casa entro ventiquattro ore? Comando tedesco venire abitare qui! Signore Iddio ti ringrazio, non ci portano via, vogliono solo la casa! Mentre il mio cuore tremava di questa nuova speranza, risposi, calma come se avessi dovuto organizzare un trasloco qualunque, che sì, potevamo trasferirci in una casa vicina e che avremmo lasciato tutto libero in pochissimo tempo». Le memorie di Ada Ottolenghi (1903-1979) sono raccolte nel libro, dedicato alla nipote Raffaella, dal titolo “Ci salveremo insieme”. Storia di una famiglia ebrea nella tempesta della guerra, edizioni il Mulino, 2021. Prefazione della storica Liliana Picciotto: «Il libro di Ada Valabrega Ottolenghi conferma una pratica abituale nelle famiglie ebraiche: dispiegare un racconto funzionale a legare ogni generazione alla successiva con una catena, impalpabile ma infinita, di parole, gesti, oggetti carichi di significato che diventano quasi simboli, usi, convinzioni, valori».

In occasione del 27 gennaio, Giorno della Memoria, per commemorare le vittime della Shoah, questo libro è di grande attualità, soprattutto in questi tempi difficili dove l’antisemitismo è tornato prepotente, anche in Europa. Le pagine parlano di lacrime, persecuzioni e paura, ma offrono allo stesso tempo una testimonianza unica, piena di emozioni e speranze, vicenda reale e vissuta di una moglie e madre: «Dopo tante ore di incubo, non eravamo stati presi, potevamo ancora fuggire, portare i nostri bambini in qualche altro luogo, chissà? Verso altri pericoli? Verso altri agguati? Non dovevo più ragionare, dovevo lasciarmi portare e bisognava fare in fretta, molto in fretta».

Quel drammatico vissuto di Ada è l'epopea storica di una donna in fuga, via mare o palude, tra i monti e nelle città abbruttite dal conflitto. Alla ricerca di una luce, che finalmente risplende tra le strade di Roma, liberata dagli alleati. Ma anche l'affetto dimostrato nei gesti e visibile nei volti di coloro che sapevano di fare la cosa giusta, come le pagine di questo libro fotografano, certificano e attestano. Nomi e cognomi che oggi troviamo onorati allo Yad Vashem di Gerusalemme.

“Ci salveremo insieme” è scritto nella forma di una bellissima lettera, pervasa dal senso amorevole nei confronti del destinatario della missiva. È l'invito umile e dolce ai giovani, alle future generazioni, perché non si dimentichino mai di loro. Appassionandosi nell'arco della loro vita tanto al desiderio di giustizia quanto alla profondità della solidarietà, tra esseri umani. È l'insegnamento a essere fieri di mantenersi ebrei, in mezzo a tante traversie. È il destino, la «grande fortuna» che aiuta gli audaci a passare immuni attraverso tutte le persecuzioni. Verso la libertà.

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C'è una parola tedesca che mi fa rabbrividire, è judenrein. Significa “libero dagli ebrei”. Nel 1943 era uno slogan in voga nella Germania nazista e razzista. Lo ascoltavi alla radio, lo trovavi scritto a caratteri cubitali sui muri, sui portoni, nelle vetrine e nei manifesti pubblicitari. Rosse, bianche o nere. Allora, i pochi ebrei rimasti nel Reich erano per lo più in fuga, chiamati “U-Boot” o “sottomarini” vivevano nella paura della deportazione, cercavano rifugio e spesso lo ebbero, anche grazie a chi decise di non voltarsi dall’altra parte. Alcune di queste anime buone, che hanno dato una mano, sono state riconosciute come “Giusti tra le nazioni”.

Tutto ebbe inizio il 9 e 10 novembre 1938 con “la notte dei cristalli”: durante un pogrom antisemita, vennero uccisi ebrei, distrutti edifici, negozi e sinagoghe, iniziò la deportazione. Da allora ci sono stati giorni tetri e cupi in cui, in Europa e anche in Italia, con le leggi razziali e razziste (come davvero furono), iniziò la caccia all'ebreo. Spietata. Tragica.

Intere famiglie per sopravvivere furono costrette a seguire l'istinto naturale della reazione al pericolo. E nelle loro menti risuonarono parole d’emergenza. Scappa. Corri. Salvati. Trova aiuto tra gli amici. Non ti fidare degli altri. Cerca di diventare invisibile. Nasconditi meglio che puoi. Lascia la tua identità e arrampicati tra altre: diverse, immaginarie e forse sicure. Sparisci dagli occhi indiscreti della gente che ti odia per la tua religione, fai in modo che non parlino male di te. Pensa che ogni giorno c'è il rischio che puoi essere arrestato, fucilato o deportato in un campo di concentramento. Proteggi i tuoi cari, a ogni prezzo e modo.

Sì prudente e soprattutto coraggiosa: «Eccoli! Avevo visto un camion fermarsi davanti al cancello, e ne erano scesi dei soldati tedeschi; quanti? Non so; scavalcarono rapidamente il cancello e si diressero verso casa». Che poi era la dimora estiva a Porto Corsini (Ravenna) della famiglia Ottolenghi. Racconta Ada: «l'ufficiale che parlava italiano mi disse: potere voi lasciare casa entro ventiquattro ore? Comando tedesco venire abitare qui! Signore Iddio ti ringrazio, non ci portano via, vogliono solo la casa! Mentre il mio cuore tremava di questa nuova speranza, risposi, calma come se avessi dovuto organizzare un trasloco qualunque, che sì, potevamo trasferirci in una casa vicina e che avremmo lasciato tutto libero in pochissimo tempo». Le memorie di Ada Ottolenghi (1903-1979) sono raccolte nel libro, dedicato alla nipote Raffaella, dal titolo “Ci salveremo insieme”. Storia di una famiglia ebrea nella tempesta della guerra, edizioni il Mulino, 2021. Prefazione della storica Liliana Picciotto: «Il libro di Ada Valabrega Ottolenghi conferma una pratica abituale nelle famiglie ebraiche: dispiegare un racconto funzionale a legare ogni generazione alla successiva con una catena, impalpabile ma infinita, di parole, gesti, oggetti carichi di significato che diventano quasi simboli, usi, convinzioni, valori».

In occasione del 27 gennaio, Giorno della Memoria, per commemorare le vittime della Shoah, questo libro è di grande attualità, soprattutto in questi tempi difficili dove l’antisemitismo è tornato prepotente, anche in Europa. Le pagine parlano di lacrime, persecuzioni e paura, ma offrono allo stesso tempo una testimonianza unica, piena di emozioni e speranze, vicenda reale e vissuta di una moglie e madre: «Dopo tante ore di incubo, non eravamo stati presi, potevamo ancora fuggire, portare i nostri bambini in qualche altro luogo, chissà? Verso altri pericoli? Verso altri agguati? Non dovevo più ragionare, dovevo lasciarmi portare e bisognava fare in fretta, molto in fretta».

Quel drammatico vissuto di Ada è l'epopea storica di una donna in fuga, via mare o palude, tra i monti e nelle città abbruttite dal conflitto. Alla ricerca di una luce, che finalmente risplende tra le strade di Roma, liberata dagli alleati. Ma anche l'affetto dimostrato nei gesti e visibile nei volti di coloro che sapevano di fare la cosa giusta, come le pagine di questo libro fotografano, certificano e attestano. Nomi e cognomi che oggi troviamo onorati allo Yad Vashem di Gerusalemme.

“Ci salveremo insieme” è scritto nella forma di una bellissima lettera, pervasa dal senso amorevole nei confronti del destinatario della missiva. È l'invito umile e dolce ai giovani, alle future generazioni, perché non si dimentichino mai di loro. Appassionandosi nell'arco della loro vita tanto al desiderio di giustizia quanto alla profondità della solidarietà, tra esseri umani. È l'insegnamento a essere fieri di mantenersi ebrei, in mezzo a tante traversie. È il destino, la «grande fortuna» che aiuta gli audaci a passare immuni attraverso tutte le persecuzioni. Verso la libertà.

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La resistenza a un mondo judenrein e la salvezza che si costruisce insieme

3 1
27.01.2024

C'è una parola tedesca che mi fa rabbrividire, è judenrein. Significa “libero dagli ebrei”. Nel 1943 era uno slogan in voga nella Germania nazista e razzista. Lo ascoltavi alla radio, lo trovavi scritto a caratteri cubitali sui muri, sui portoni, nelle vetrine e nei manifesti pubblicitari. Rosse, bianche o nere. Allora, i pochi ebrei rimasti nel Reich erano per lo più in fuga, chiamati “U-Boot” o “sottomarini” vivevano nella paura della deportazione, cercavano rifugio e spesso lo ebbero, anche grazie a chi decise di non voltarsi dall’altra parte. Alcune di queste anime buone, che hanno dato una mano, sono state riconosciute come “Giusti tra le nazioni”.

Tutto ebbe inizio il 9 e 10 novembre 1938 con “la notte dei cristalli”: durante un pogrom antisemita, vennero uccisi ebrei, distrutti edifici, negozi e sinagoghe, iniziò la deportazione. Da allora ci sono stati giorni tetri e cupi in cui, in Europa e anche in Italia, con le leggi razziali e razziste (come davvero furono), iniziò la caccia all'ebreo. Spietata. Tragica.

Intere famiglie per sopravvivere furono costrette a seguire l'istinto naturale della reazione al pericolo. E nelle loro menti risuonarono parole d’emergenza. Scappa. Corri. Salvati. Trova aiuto tra gli amici. Non ti fidare degli altri. Cerca di diventare invisibile. Nasconditi meglio che puoi. Lascia la tua identità e arrampicati tra altre: diverse, immaginarie e forse sicure. Sparisci dagli occhi indiscreti della gente che ti odia per la tua religione, fai in modo che non parlino male di te. Pensa che ogni giorno c'è il rischio che puoi essere arrestato, fucilato o deportato in un campo di concentramento. Proteggi i tuoi cari, a ogni prezzo e modo.

Sì prudente e soprattutto coraggiosa: «Eccoli! Avevo visto un camion fermarsi davanti al cancello, e ne erano scesi dei soldati tedeschi; quanti? Non so; scavalcarono rapidamente il cancello e si diressero verso casa». Che poi era la dimora estiva a Porto Corsini (Ravenna) della famiglia Ottolenghi. Racconta Ada: «l'ufficiale che parlava italiano mi disse: potere voi lasciare casa entro ventiquattro ore? Comando tedesco venire abitare qui! Signore Iddio ti ringrazio, non ci portano via, vogliono solo la casa! Mentre il mio cuore tremava di questa nuova speranza, risposi, calma come se avessi dovuto organizzare un trasloco qualunque, che sì, potevamo trasferirci in una casa vicina e che avremmo lasciato tutto libero in pochissimo........

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