In Israele c'è un problema di leadership conclamato. Ci sono ministri ed esponenti del governo che: invocano l'uso delle armi atomiche nel conflitto di Gaza; distribuiscono fucili ai cittadini; pensano di deportare i gazawi in Egitto; propongono di proibire ai palestinesi dei villaggi della Cisgiordania di raccogliere le olive creando una “zona morta” tra i villaggi e gli insediamenti israeliani. E la lista delle scemenze rischia di essere aggiornata ogni giorno che passa. Nel complesso ci pare che nel panorama politico israeliano aleggi un diffuso caos, in ebraico balagan. Di questo balagan, (o fauda in arabo), è colpevole anche Netanyahu. Che continua a non voler tagliare il cordone ombelicale da personaggi inetti e pericolosi che lo circondano. Alleati scomodi, ma utili. Manovrabili (fino ad un certo punto) e ricattabili (politicamente). Se la lotta ad Hamas è un punto imprescindibile e irreversibile della sicurezza di Israele (l'altro dovrebbe essere punisci solo colui che ha commesso il crimine), non lo è il mantenimento di questa maggioranza di governo. Ma c'è la guerra? L'obiezione dei più. Sì, ma perchè deve essere gestita da chi si è dimostrato completamente incompetente e irresponsabile? È quello che ci chiediamo noi e si chiede, e a domanda risponde, David Horovitz, direttore di The Times of Israel: “In generale, gli israeliani vedono un governo guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu che ha sconsideratamente e catastroficamente sottovalutato Hamas, prima del 7 ottobre, e che da allora non è riuscito a gestire la situazione”. Per Horovitz dopo un mese di guerra la nazione è tanto abbandonata quanto profondamente cambiata, a prevalere è il disincanto per i leader politici di governo e la speranza che torni la fiducia nell'esercito: “Un governo che non c'è, in un Israele che combatte nonostante abbia eletto i suoi leader”.

Tel Aviv manifestazione per il cessate il fuoco

A propria difesa Netanyahu ha fatto scendere in campo l'avvocato personale Yaakav Amidror: “Dopo la guerra Israele deve indire le elezioni”. Uno dei più stretti collaboratori, e consiglieri, del premier ha rivendicato il diritto, democratico, di Bibi di restare al timone fino alla conclusione del conflitto. Amidror ha confermato che la strategia del leader del Likud è di non tirare i remi in barca adesso. Il non detto è che l'obiettivo primario è entrare in modalità campagna elettorale, per recuperare consensi. Impresa non facile visto che ad essere stanca di Netanyahu è una stessa fetta dei suoi elettori. Persino il giornale Israel Hayom, considerato l'organo di stampa più vicino a Bibi, ha recentemente pubblicato un accorato appello alle dimissioni, invitando il primo ministro a “condurci alla vittoria e poi andarsene”. Siccome, è quasi una certezza, che non avverrà, allora è meglio essere pratici “e pensare ad alta voce che se ne vada subito”. Si legge in un articolo di Uri Dagon che bene traccia la nuova linea editoriale della testata, ed una netta cesura con il passato.

Dubbi sulla condotta di alcuni ministri giungono anche da Ronen Bar, capo dei servizi allo Shin Bet. Secondo quanto riportato dal quotidiano Maariv, durante una riunione del ristretto gabinetto di guerra, Bar ha caldeggiato che fosse garantito il trasferimento delle entrate fiscali pertinenti all'Autorità nazionale palestinese, al fine di evitare il crollo economico e lo scoppio di una violenta Intifada in Cisgiordania. Nell'attenta analisi presentata dallo 007 israeliano è stato fatto presente anche il grado di pericolosità della violenza dei coloni nell'attuale contesto. Mentre Netanyahu si accingeva a replicare, chiarendo che avrebbe posto la questione a tutto il governo, è stato interrotto da Bar, il quale avrebbe spiegato che l'intero esecutivo non è la soluzione, ma parte del problema. In quanto ci sono ministri che buttano benzina sul fuoco, ogni riferimento a Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir non è assolutamente casuale.

Con una nazione in piena guerra, impaurita, scioccata e traumatizzata dagli eventi del 7 ottobre, angosciata per la salute degli ostaggi, c'è una componente di governo ancora aliena dalla realtà. Della loro presenza avremmo fatto a meno, non solo oggi: è da folli pensare che Netanyahu non faccia cose sbagliate?

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In Israele c'è un problema di leadership conclamato. Ci sono ministri ed esponenti del governo che: invocano l'uso delle armi atomiche nel conflitto di Gaza; distribuiscono fucili ai cittadini; pensano di deportare i gazawi in Egitto; propongono di proibire ai palestinesi dei villaggi della Cisgiordania di raccogliere le olive creando una “zona morta” tra i villaggi e gli insediamenti israeliani. E la lista delle scemenze rischia di essere aggiornata ogni giorno che passa. Nel complesso ci pare che nel panorama politico israeliano aleggi un diffuso caos, in ebraico balagan. Di questo balagan, (o fauda in arabo), è colpevole anche Netanyahu. Che continua a non voler tagliare il cordone ombelicale da personaggi inetti e pericolosi che lo circondano. Alleati scomodi, ma utili. Manovrabili (fino ad un certo punto) e ricattabili (politicamente). Se la lotta ad Hamas è un punto imprescindibile e irreversibile della sicurezza di Israele (l'altro dovrebbe essere punisci solo colui che ha commesso il crimine), non lo è il mantenimento di questa maggioranza di governo. Ma c'è la guerra? L'obiezione dei più. Sì, ma perchè deve essere gestita da chi si è dimostrato completamente incompetente e irresponsabile? È quello che ci chiediamo noi e si chiede, e a domanda risponde, David Horovitz, direttore di The Times of Israel: “In generale, gli israeliani vedono un governo guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu che ha sconsideratamente e catastroficamente sottovalutato Hamas, prima del 7 ottobre, e che da allora non è riuscito a gestire la situazione”. Per Horovitz dopo un mese di guerra la nazione è tanto abbandonata quanto profondamente cambiata, a prevalere è il disincanto per i leader politici di governo e la speranza che torni la fiducia nell'esercito: “Un governo che non c'è, in un Israele che combatte nonostante abbia eletto i suoi leader”.

A propria difesa Netanyahu ha fatto scendere in campo l'avvocato personale Yaakav Amidror: “Dopo la guerra Israele deve indire le elezioni”. Uno dei più stretti collaboratori, e consiglieri, del premier ha rivendicato il diritto, democratico, di Bibi di restare al timone fino alla conclusione del conflitto. Amidror ha confermato che la strategia del leader del Likud è di non tirare i remi in barca adesso. Il non detto è che l'obiettivo primario è entrare in modalità campagna elettorale, per recuperare consensi. Impresa non facile visto che ad essere stanca di Netanyahu è una stessa fetta dei suoi elettori. Persino il giornale Israel Hayom, considerato l'organo di stampa più vicino a Bibi, ha recentemente pubblicato un accorato appello alle dimissioni, invitando il primo ministro a “condurci alla vittoria e poi andarsene”. Siccome, è quasi una certezza, che non avverrà, allora è meglio essere pratici “e pensare ad alta voce che se ne vada subito”. Si legge in un articolo di Uri Dagon che bene traccia la nuova linea editoriale della testata, ed una netta cesura con il passato.

Dubbi sulla condotta di alcuni ministri giungono anche da Ronen Bar, capo dei servizi allo Shin Bet. Secondo quanto riportato dal quotidiano Maariv, durante una riunione del ristretto gabinetto di guerra, Bar ha caldeggiato che fosse garantito il trasferimento delle entrate fiscali pertinenti all'Autorità nazionale palestinese, al fine di evitare il crollo economico e lo scoppio di una violenta Intifada in Cisgiordania. Nell'attenta analisi presentata dallo 007 israeliano è stato fatto presente anche il grado di pericolosità della violenza dei coloni nell'attuale contesto. Mentre Netanyahu si accingeva a replicare, chiarendo che avrebbe posto la questione a tutto il governo, è stato interrotto da Bar, il quale avrebbe spiegato che l'intero esecutivo non è la soluzione, ma parte del problema. In quanto ci sono ministri che buttano benzina sul fuoco, ogni riferimento a Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir non è assolutamente casuale.

Con una nazione in piena guerra, impaurita, scioccata e traumatizzata dagli eventi del 7 ottobre, angosciata per la salute degli ostaggi, c'è una componente di governo ancora aliena dalla realtà. Della loro presenza avremmo fatto a meno, non solo oggi: è da folli pensare che Netanyahu non faccia cose sbagliate?

QOSHE - Un paese in guerra nelle peggiori mani - Alfredo De Girolamo
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Un paese in guerra nelle peggiori mani

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12.11.2023

In Israele c'è un problema di leadership conclamato. Ci sono ministri ed esponenti del governo che: invocano l'uso delle armi atomiche nel conflitto di Gaza; distribuiscono fucili ai cittadini; pensano di deportare i gazawi in Egitto; propongono di proibire ai palestinesi dei villaggi della Cisgiordania di raccogliere le olive creando una “zona morta” tra i villaggi e gli insediamenti israeliani. E la lista delle scemenze rischia di essere aggiornata ogni giorno che passa. Nel complesso ci pare che nel panorama politico israeliano aleggi un diffuso caos, in ebraico balagan. Di questo balagan, (o fauda in arabo), è colpevole anche Netanyahu. Che continua a non voler tagliare il cordone ombelicale da personaggi inetti e pericolosi che lo circondano. Alleati scomodi, ma utili. Manovrabili (fino ad un certo punto) e ricattabili (politicamente). Se la lotta ad Hamas è un punto imprescindibile e irreversibile della sicurezza di Israele (l'altro dovrebbe essere punisci solo colui che ha commesso il crimine), non lo è il mantenimento di questa maggioranza di governo. Ma c'è la guerra? L'obiezione dei più. Sì, ma perchè deve essere gestita da chi si è dimostrato completamente incompetente e irresponsabile? È quello che ci chiediamo noi e si chiede, e a domanda risponde, David Horovitz, direttore di The Times of Israel: “In generale, gli israeliani vedono un governo guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu che ha sconsideratamente e catastroficamente sottovalutato Hamas, prima del 7 ottobre, e che da allora non è riuscito a gestire la situazione”. Per Horovitz dopo un mese di guerra la nazione è tanto abbandonata quanto profondamente cambiata, a prevalere è il disincanto per i leader politici di governo e la speranza che torni la fiducia nell'esercito: “Un governo che non c'è, in un Israele che combatte nonostante abbia eletto i suoi leader”.

Tel Aviv manifestazione per il cessate il fuoco

A propria difesa Netanyahu ha fatto scendere in campo l'avvocato personale Yaakav Amidror: “Dopo la guerra Israele deve indire le elezioni”. Uno dei più stretti collaboratori, e consiglieri, del premier ha rivendicato il diritto, democratico, di Bibi di restare........

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