È notizia di questi giorni, la donna di 38 anni che ha fatto morire la figlia di stenti nella sua casa è stata dichiarata in grado di intendere e di volere. E io che non sono madre, penso solo a:

Quel mostro di madre potrei essere io

Io ripenso alla mia generazione. A scuola arrivavano le riforme, tu eri piccolo, solo un bambino. Eppure dovevi decidere: stare dalla parte del vincente o del perdente. Dalla parte di chi abusa o di chi è abusato. Avere un trofeo oppure finire nella seconda categoria, in serie B. Diciamo spesso di essere usciti da certe dinamiche eppure io continuo a sedermi alle tavole dei miei vicini, compagni, commensali che ripercorrono gli stessi vecchi percorsi. Siamo diversi. Di razza, di cuore, di mente, di gusti sessuali. Ma i nostri occhi sono quasi tutti uguali. La diversità di appartenenza, la voglia di catalogare, di conoscerci e riconoscerci negli occhi degli altri.

Quella è sempre la stessa. Come la paura, la voglia di rivalsa, di identificarci nella nostra natura. Di vederci diversi, ma di essere uniti. Questa premessa la faccio in merito alla psicoterapia, alla psichiatria, ormai diventata parte integrante della nostra società. Farmaci, ragazzi e ragazze che si avvicinano agli antidepressivi sempre più giovani. I numeri impressionano ancora oggi. Si chiede in alcuni casi una regolazione emotiva, il frenare gli istinti, l’impulsività. In alcuni soggetti decisamente più avanzata. Per cause biologiche, magari meno comuni che talvolta danno vita a diagnosi di patologie mentali; più o meno gravi, più o meno invalidanti. È in questo contesto che mi riallaccio al fatto spesso di dover andare in terapia a rieducare, a riconoscere le proprie emozioni a regolarle.

Talvolta a ricanalizzarle, dando vita a nuove strade.

QUEL MOSTRO DI MADRE POTREI ESSERE IO

Mi risuonano così forte nella mente e nell’anima queste parole, tanto da volerle rivedere, ricapire anche io. Non sono mamma. Non prendo la parte delle mamme. Non sono donna. Sono un essere umano. Sbaglio, vivo, rido, piango. Non ho bisogno di esserlo per sposare qualche causa. So che una volta è capitato anche a me di andare in terapia. Io venivo da una famiglia che i panni sporchi mi aveva sempre insegnato a lavarli in casa. E sono molto grata per questo, ancora oggi. Ma poi mi sono cominciata a chiedere quali dei miei panni rimanessero solo miei e quali invece diventassero anche panni degli altri. Sono entrata da quella porta un giorno, in psicanalisi e mi sono detta: “Perché sono qui?”. La mia prima risposta è stata: “Perché voglio essere tutto”. Ma perché voglio essere tutto? Potevo tranquillamente essere una di quelle persone che si riconosceva in quel tipo di scuola, in quel tipo di lavoro, in quel tipo di gruppo. Eppure c’era sempre qualcosa che mancava. Ma mancava a me? Mancava all’esterno? Chi me l’avrebbe potuta dare? Ho cominciato a chiedermi se fosse normale cominciare a voler essere mamma. E poi a dirmi: “Ma io non voglio solo essere mamma”. Voglio essere tutto. Voglio frequentare solo uomini a cui ipoteticamente mi piacerebbe lasciare una creatura un domani. Non necessariamente vedendolo o costringendolo a diventare genitore, qualora non lo avesse voluto, se non fosse stato il momento.

Il mio ex era una persona meravigliosa. Gli voglio bene come se fosse un fratello un figlio un braccio, una parte di me. Ancora oggi che le cose non sono andate come avevo sperato, perché nelle coppie i sentimenti non sono mai solo i tuoi. Ci sono anche quelli dell’altro. E se l’altro ha bisogno di gratificarsi, tu non puoi farci niente. Perché in alcuni momenti hai sbagliato. Perché è stato difficile, per tutti e tu hai cercato di capire.

Per me si usano le parole, anche se sono silenziosa, se a volte sono stanca e se dare spiegazioni mi pesa come un la spada di Damocle in alcuni momenti. Una parola in più detta male detta nella maniera sbagliata ferisce più di quanto noi possiamo immaginare e qualsiasi fatto di cronaca che preveda una mamma andare contro il suo istinto di mamma mi spaventa. Parliamo tanto, parliamo troppo e parliamo male. Parliamo senza soluzioni. Di confronto, di accoglienza. I nostri cuori non battono mai all’unisono.

E sì, scrivo poesie. Ma questa non è una poesia. È vita vera. E non è nemmeno Virginia Woolf. Non è nemmeno flusso di coscienza. È dignità. Volevo essere tutto e invece non posso essere niente. Perché se tiro fuori quello che sono potrebbe non essere abbastanza. Se mi dico diffidente, se mi dico insoddisfatta, se mi dico semplicemente impossibilitata a scegliere perché un’indipendenza ad oggi non è mai un’indipendenza al 100%, perché oggi è così e domani non lo so. Perché posso essere brava in tutto e quanto voglio, nella vita e nel mio lavoro, come mamma, come compagna e posso essere una persona meravigliosa. Ma se per un malessere o per una richiesta eccessiva del mondo divento improvvisamente una madre che fa il gesto più immondo. Chi sono io? Cosa posso rivedere? In un attimo divento “quel mostro di madre”. L’assassina peggiore.

La Medea moderna, che per vendicarsi del marito “fedifrago” fa quanto di più impossibile sia immaginato dall’animo umano. Uccide la prole per interrompere la sua discendenza. Che è voglia di espansione senza limite nel modo migliore che Giasone possa sperare. Con la donna perfetta, quei panni che Medea non riesce più a vestire. Perfetti nei propri panni, puliti e stirati. Quindi forse è questo che ci massacra. La richiesta di perfezione. Sii tutto, ma non necessariamente meriterai tutto. Tu prova comunque ad esserlo finché reggerai la pressione. Vedrai che le aspettative decadranno e i sogni si trasformeranno in speranze. Tu tornerai ad etichettarti in quel mondo che hanno costruito per te. E potrai splendere senza macchiarti di delitti così efferati.

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È notizia di questi giorni, la donna di 38 anni che ha fatto morire la figlia di stenti nella sua casa è stata dichiarata in grado di intendere e di volere. E io che non sono madre, penso solo a:

Quel mostro di madre potrei essere io

Io ripenso alla mia generazione. A scuola arrivavano le riforme, tu eri piccolo, solo un bambino. Eppure dovevi decidere: stare dalla parte del vincente o del perdente. Dalla parte di chi abusa o di chi è abusato. Avere un trofeo oppure finire nella seconda categoria, in serie B. Diciamo spesso di essere usciti da certe dinamiche eppure io continuo a sedermi alle tavole dei miei vicini, compagni, commensali che ripercorrono gli stessi vecchi percorsi. Siamo diversi. Di razza, di cuore, di mente, di gusti sessuali. Ma i nostri occhi sono quasi tutti uguali. La diversità di appartenenza, la voglia di catalogare, di conoscerci e riconoscerci negli occhi degli altri.

Quella è sempre la stessa. Come la paura, la voglia di rivalsa, di identificarci nella nostra natura. Di vederci diversi, ma di essere uniti. Questa premessa la faccio in merito alla psicoterapia, alla psichiatria, ormai diventata parte integrante della nostra società. Farmaci, ragazzi e ragazze che si avvicinano agli antidepressivi sempre più giovani. I numeri impressionano ancora oggi. Si chiede in alcuni casi una regolazione emotiva, il frenare gli istinti, l’impulsività. In alcuni soggetti decisamente più avanzata. Per cause biologiche, magari meno comuni che talvolta danno vita a diagnosi di patologie mentali; più o meno gravi, più o meno invalidanti. È in questo contesto che mi riallaccio al fatto spesso di dover andare in terapia a rieducare, a riconoscere le proprie emozioni a regolarle.

Talvolta a ricanalizzarle, dando vita a nuove strade.

QUEL MOSTRO DI MADRE POTREI ESSERE IO

Mi risuonano così forte nella mente e nell’anima queste parole, tanto da volerle rivedere, ricapire anche io. Non sono mamma. Non prendo la parte delle mamme. Non sono donna. Sono un essere umano. Sbaglio, vivo, rido, piango. Non ho bisogno di esserlo per sposare qualche causa. So che una volta è capitato anche a me di andare in terapia. Io venivo da una famiglia che i panni sporchi mi aveva sempre insegnato a lavarli in casa. E sono molto grata per questo, ancora oggi. Ma poi mi sono cominciata a chiedere quali dei miei panni rimanessero solo miei e quali invece diventassero anche panni degli altri. Sono entrata da quella porta un giorno, in psicanalisi e mi sono detta: “Perché sono qui?”. La mia prima risposta è stata: “Perché voglio essere tutto”. Ma perché voglio essere tutto? Potevo tranquillamente essere una di quelle persone che si riconosceva in quel tipo di scuola, in quel tipo di lavoro, in quel tipo di gruppo. Eppure c’era sempre qualcosa che mancava. Ma mancava a me? Mancava all’esterno? Chi me l’avrebbe potuta dare? Ho cominciato a chiedermi se fosse normale cominciare a voler essere mamma. E poi a dirmi: “Ma io non voglio solo essere mamma”. Voglio essere tutto. Voglio frequentare solo uomini a cui ipoteticamente mi piacerebbe lasciare una creatura un domani. Non necessariamente vedendolo o costringendolo a diventare genitore, qualora non lo avesse voluto, se non fosse stato il momento.

Il mio ex era una persona meravigliosa. Gli voglio bene come se fosse un fratello un figlio un braccio, una parte di me. Ancora oggi che le cose non sono andate come avevo sperato, perché nelle coppie i sentimenti non sono mai solo i tuoi. Ci sono anche quelli dell’altro. E se l’altro ha bisogno di gratificarsi, tu non puoi farci niente. Perché in alcuni momenti hai sbagliato. Perché è stato difficile, per tutti e tu hai cercato di capire.

Per me si usano le parole, anche se sono silenziosa, se a volte sono stanca e se dare spiegazioni mi pesa come un la spada di Damocle in alcuni momenti. Una parola in più detta male detta nella maniera sbagliata ferisce più di quanto noi possiamo immaginare e qualsiasi fatto di cronaca che preveda una mamma andare contro il suo istinto di mamma mi spaventa. Parliamo tanto, parliamo troppo e parliamo male. Parliamo senza soluzioni. Di confronto, di accoglienza. I nostri cuori non battono mai all’unisono.

E sì, scrivo poesie. Ma questa non è una poesia. È vita vera. E non è nemmeno Virginia Woolf. Non è nemmeno flusso di coscienza. È dignità. Volevo essere tutto e invece non posso essere niente. Perché se tiro fuori quello che sono potrebbe non essere abbastanza. Se mi dico diffidente, se mi dico insoddisfatta, se mi dico semplicemente impossibilitata a scegliere perché un’indipendenza ad oggi non è mai un’indipendenza al 100%, perché oggi è così e domani non lo so. Perché posso essere brava in tutto e quanto voglio, nella vita e nel mio lavoro, come mamma, come compagna e posso essere una persona meravigliosa. Ma se per un malessere o per una richiesta eccessiva del mondo divento improvvisamente una madre che fa il gesto più immondo. Chi sono io? Cosa posso rivedere? In un attimo divento “quel mostro di madre”. L’assassina peggiore.

La Medea moderna, che per vendicarsi del marito “fedifrago” fa quanto di più impossibile sia immaginato dall’animo umano. Uccide la prole per interrompere la sua discendenza. Che è voglia di espansione senza limite nel modo migliore che Giasone possa sperare. Con la donna perfetta, quei panni che Medea non riesce più a vestire. Perfetti nei propri panni, puliti e stirati. Quindi forse è questo che ci massacra. La richiesta di perfezione. Sii tutto, ma non necessariamente meriterai tutto. Tu prova comunque ad esserlo finché reggerai la pressione. Vedrai che le aspettative decadranno e i sogni si trasformeranno in speranze. Tu tornerai ad etichettarti in quel mondo che hanno costruito per te. E potrai splendere senza macchiarti di delitti così efferati.

QOSHE - Quel mostro di madre potrei essere io - Arianna Tomassetti
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Quel mostro di madre potrei essere io

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04.03.2024

È notizia di questi giorni, la donna di 38 anni che ha fatto morire la figlia di stenti nella sua casa è stata dichiarata in grado di intendere e di volere. E io che non sono madre, penso solo a:

Quel mostro di madre potrei essere io

Io ripenso alla mia generazione. A scuola arrivavano le riforme, tu eri piccolo, solo un bambino. Eppure dovevi decidere: stare dalla parte del vincente o del perdente. Dalla parte di chi abusa o di chi è abusato. Avere un trofeo oppure finire nella seconda categoria, in serie B. Diciamo spesso di essere usciti da certe dinamiche eppure io continuo a sedermi alle tavole dei miei vicini, compagni, commensali che ripercorrono gli stessi vecchi percorsi. Siamo diversi. Di razza, di cuore, di mente, di gusti sessuali. Ma i nostri occhi sono quasi tutti uguali. La diversità di appartenenza, la voglia di catalogare, di conoscerci e riconoscerci negli occhi degli altri.

Quella è sempre la stessa. Come la paura, la voglia di rivalsa, di identificarci nella nostra natura. Di vederci diversi, ma di essere uniti. Questa premessa la faccio in merito alla psicoterapia, alla psichiatria, ormai diventata parte integrante della nostra società. Farmaci, ragazzi e ragazze che si avvicinano agli antidepressivi sempre più giovani. I numeri impressionano ancora oggi. Si chiede in alcuni casi una regolazione emotiva, il frenare gli istinti, l’impulsività. In alcuni soggetti decisamente più avanzata. Per cause biologiche, magari meno comuni che talvolta danno vita a diagnosi di patologie mentali; più o meno gravi, più o meno invalidanti. È in questo contesto che mi riallaccio al fatto spesso di dover andare in terapia a rieducare, a riconoscere le proprie emozioni a regolarle.

Talvolta a ricanalizzarle, dando vita a nuove strade.

QUEL MOSTRO DI MADRE POTREI ESSERE IO

Mi risuonano così forte nella mente e nell’anima queste parole, tanto da volerle rivedere, ricapire anche io. Non sono mamma. Non prendo la parte delle mamme. Non sono donna. Sono un essere umano. Sbaglio, vivo, rido, piango. Non ho bisogno di esserlo per sposare qualche causa. So che una volta è capitato anche a me di andare in terapia. Io venivo da una famiglia che i panni sporchi mi aveva sempre insegnato a lavarli in casa. E sono molto grata per questo, ancora oggi. Ma poi mi sono cominciata a chiedere quali dei miei panni rimanessero solo miei e quali invece diventassero anche panni degli altri. Sono entrata da quella porta un giorno, in psicanalisi e mi sono detta: “Perché sono qui?”. La mia prima risposta è stata: “Perché voglio essere tutto”. Ma perché voglio essere tutto? Potevo tranquillamente essere una di quelle persone che si riconosceva in quel tipo di scuola, in quel tipo di lavoro, in quel tipo di gruppo. Eppure c’era sempre qualcosa che mancava. Ma mancava a me? Mancava all’esterno? Chi me l’avrebbe potuta dare? Ho cominciato a chiedermi se fosse normale cominciare a voler........

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