“Questa è l’Italia del futuro: un Paese di musichette mentre fuori c’è la morte". Iniziava così “Mai dire mai (la locura)” la canzone portata al Festival di Sanremo nel 2021 da Willie Peyote, con una citazione, a partire dal titolo, tratta dalla celebre fuoriserie Boris. Bella, orecchiabile, mediamente nerd, radical chic il giusto per catturare l’imprevedibile giuria demoscopica, ma sbagliava. L’Italia del futuro, quella delle italiane nuove e degli italiani nuovi, la seconda generazione, ma anche la terza, lo sa bene che fuori c’è la morte.

Lo sa l’italiano vero Ghali, che sul palco dell’Ariston porta una conversazione in musica con un alieno, sembrando lui stesso un Avatar vestito da Michael Jackson e conquistando il 4° posto ma soprattutto alimentando sentimenti forti, vivi, di pancia e cuore. Perché Ghali non si limita alle “canzonette”, anche se ha un testo che recita, “ma, come fate a dire che qui è tutto normale/Per tracciare un confine/Con linee immaginarie bombardate un ospedale/Per un pezzo di terra o per un pezzo di pane/Non c’è mai pace”, non è certo quello di una canzonetta.

No, lui, il ragazzo di Baggio alto 2 metri, con la mamma tunisina Amel, arrivata in Italia intorno al 1980, che in platea lo sostiene con un cartello fatto di cartone riciclato e pennarelli, va oltre la musica, oltre l’esibizione, oltre il palco, si lancia oltre l’ostacolo e con il viso gentile, improvvisando uno scambio di frasi sussurrate all’orecchio con l’alieno, dice quello che non ha detto la stampa, non ha detto la tv, non hanno detto altri illustri colleghi e colleghe, con carriere lunghissime che non dovrebbero temere ritorsioni di alcun tipo.

“Stop genocidio”.

In sala un solo istante di silenzio e poi, liberatori, gli applausi e le urla: “Bravoooo”. Alla platea dell’Ariston si uniscono i social, l’Italia del futuro, subito pronta a ringraziare chi ha avuto il coraggio di rompere il silenzio, perché fuori “c’è la morte”. Una favola bella, quella di Ghali e del Paese del futuro, che come ogni favola ha il suo villain, in questo caso un mostro con la testa del governo ed il corpo di MammaRAI, che prima prova a zittire l’artista, censurando le sue parole su RAIplay e mettendo in pratica quello che lui nel suo testo aveva presagito: “Sogni che si perdono in mare/Figli di un deserto lontano/Zitti non ne posso parlare” e poi, durante Domenica In, impone la lettura di una velina degna di uno Stato autoritario.

Ghali come Dario Fo nel 1962, il cantante come il premio Nobel per la letteratura, due italiani, apparentemente distanti, ma accomunati dallo stesso destino di censura. A Fo era accaduto per la celebre frase: “Popolo di poeti, di cantanti, di canzonettisti, di cantautori; Popolo di Canzonissima: cantate! Su cantiam, su cantiam. Evitiamo di pensar; Per non polemizzar Mettiamoci a ballar...” durante Canzonissima…il tempo passa, le cattive abitudini, restano.

Ma Ghali non è solo, grazie a lui altr* escono dal silenzio, grazie a lui inizia un’onda anomala di solidarietà e denuncia, grazie a lui non sono solo canzonette e viene lanciata anche una petizione https://www.change.org/p/con-ghali-e-tutti-gli-artisti-che-hanno-rotto-il-silenzio-la-rai-sia-libera-da-censure che chiede le dimissioni dell’ad Roberto Sergio e dell’intero consiglio di amministrazione della Rai ed il rispetto del diritto costituzionale dei cittadini e delle cittadine a non subire verità di regime.

Grazie Ghali

Casa mia

Casa tua

Che differenza c’è?

Non c’è
Ma qual è casa mia
Ma qual è casa tua
Ma qual è casa mia
Dal cielo è uguale, giuro

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“Questa è l’Italia del futuro: un Paese di musichette mentre fuori c’è la morte". Iniziava così “Mai dire mai (la locura)” la canzone portata al Festival di Sanremo nel 2021 da Willie Peyote, con una citazione, a partire dal titolo, tratta dalla celebre fuoriserie Boris. Bella, orecchiabile, mediamente nerd, radical chic il giusto per catturare l’imprevedibile giuria demoscopica, ma sbagliava. L’Italia del futuro, quella delle italiane nuove e degli italiani nuovi, la seconda generazione, ma anche la terza, lo sa bene che fuori c’è la morte.

Lo sa l’italiano vero Ghali, che sul palco dell’Ariston porta una conversazione in musica con un alieno, sembrando lui stesso un Avatar vestito da Michael Jackson e conquistando il 4° posto ma soprattutto alimentando sentimenti forti, vivi, di pancia e cuore. Perché Ghali non si limita alle “canzonette”, anche se ha un testo che recita, “ma, come fate a dire che qui è tutto normale/Per tracciare un confine/Con linee immaginarie bombardate un ospedale/Per un pezzo di terra o per un pezzo di pane/Non c’è mai pace”, non è certo quello di una canzonetta.

No, lui, il ragazzo di Baggio alto 2 metri, con la mamma tunisina Amel, arrivata in Italia intorno al 1980, che in platea lo sostiene con un cartello fatto di cartone riciclato e pennarelli, va oltre la musica, oltre l’esibizione, oltre il palco, si lancia oltre l’ostacolo e con il viso gentile, improvvisando uno scambio di frasi sussurrate all’orecchio con l’alieno, dice quello che non ha detto la stampa, non ha detto la tv, non hanno detto altri illustri colleghi e colleghe, con carriere lunghissime che non dovrebbero temere ritorsioni di alcun tipo.

“Stop genocidio”.

In sala un solo istante di silenzio e poi, liberatori, gli applausi e le urla: “Bravoooo”. Alla platea dell’Ariston si uniscono i social, l’Italia del futuro, subito pronta a ringraziare chi ha avuto il coraggio di rompere il silenzio, perché fuori “c’è la morte”. Una favola bella, quella di Ghali e del Paese del futuro, che come ogni favola ha il suo villain, in questo caso un mostro con la testa del governo ed il corpo di MammaRAI, che prima prova a zittire l’artista, censurando le sue parole su RAIplay e mettendo in pratica quello che lui nel suo testo aveva presagito: “Sogni che si perdono in mare/Figli di un deserto lontano/Zitti non ne posso parlare” e poi, durante Domenica In, impone la lettura di una velina degna di uno Stato autoritario.

Ghali come Dario Fo nel 1962, il cantante come il premio Nobel per la letteratura, due italiani, apparentemente distanti, ma accomunati dallo stesso destino di censura. A Fo era accaduto per la celebre frase: “Popolo di poeti, di cantanti, di canzonettisti, di cantautori; Popolo di Canzonissima: cantate! Su cantiam, su cantiam. Evitiamo di pensar; Per non polemizzar Mettiamoci a ballar...” durante Canzonissima…il tempo passa, le cattive abitudini, restano.

Ma Ghali non è solo, grazie a lui altr* escono dal silenzio, grazie a lui inizia un’onda anomala di solidarietà e denuncia, grazie a lui non sono solo canzonette e viene lanciata anche una petizione https://www.change.org/p/con-ghali-e-tutti-gli-artisti-che-hanno-rotto-il-silenzio-la-rai-sia-libera-da-censure che chiede le dimissioni dell’ad Roberto Sergio e dell’intero consiglio di amministrazione della Rai ed il rispetto del diritto costituzionale dei cittadini e delle cittadine a non subire verità di regime.

Grazie Ghali

Casa mia

Casa tua

Che differenza c’è?

Non c’è
Ma qual è casa mia
Ma qual è casa tua
Ma qual è casa mia
Dal cielo è uguale, giuro

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Ghali non sei solo

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13.02.2024

“Questa è l’Italia del futuro: un Paese di musichette mentre fuori c’è la morte". Iniziava così “Mai dire mai (la locura)” la canzone portata al Festival di Sanremo nel 2021 da Willie Peyote, con una citazione, a partire dal titolo, tratta dalla celebre fuoriserie Boris. Bella, orecchiabile, mediamente nerd, radical chic il giusto per catturare l’imprevedibile giuria demoscopica, ma sbagliava. L’Italia del futuro, quella delle italiane nuove e degli italiani nuovi, la seconda generazione, ma anche la terza, lo sa bene che fuori c’è la morte.

Lo sa l’italiano vero Ghali, che sul palco dell’Ariston porta una conversazione in musica con un alieno, sembrando lui stesso un Avatar vestito da Michael Jackson e conquistando il 4° posto ma soprattutto alimentando sentimenti forti, vivi, di pancia e cuore. Perché Ghali non si limita alle “canzonette”, anche se ha un testo che recita, “ma, come fate a dire che qui è tutto normale/Per tracciare un confine/Con linee immaginarie bombardate un ospedale/Per un pezzo di terra o per un pezzo di pane/Non c’è mai pace”, non è certo quello di una canzonetta.

No, lui, il ragazzo di Baggio alto 2 metri, con la mamma tunisina Amel, arrivata in Italia intorno al 1980, che in platea lo sostiene con un cartello fatto di cartone riciclato e pennarelli, va oltre la musica, oltre l’esibizione, oltre il palco, si lancia oltre l’ostacolo e con il viso gentile, improvvisando uno scambio di frasi sussurrate all’orecchio con l’alieno, dice quello che non ha detto la stampa, non ha detto la tv, non hanno detto altri illustri colleghi e colleghe, con carriere lunghissime che non dovrebbero temere ritorsioni di alcun tipo.

“Stop genocidio”.

In sala un solo istante di silenzio e poi, liberatori, gli applausi e le urla: “Bravoooo”. Alla platea dell’Ariston si uniscono i social, l’Italia del futuro,........

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