Al Teatro Belli di Roma è in corso la rassegna “EXPO-Teatro italiano contemporaneo” che terminerà ad aprile. Molti gli spettacoli in programmazione all’insegna della qualità e della sperimentazione. Tra questi “La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza” di Alberto Fumagalli, che ne cura la regia insieme a Ludovica D’Auria, con Damiano Spilateri, Alberto Gandolfo e Federico Bizzarri.

Un paio di chiappe che si agitano mentre fottono una pecora, chili e chili di grasso che ballonzolano costretti in un tutù rosa, un linguaggio da principio spiazzante ma che poi diviene familiare. Il tutto orchestrato per suonare una distopia ineludibile, quella di tre esistenze monche, aggrappate o costrette -a seconda dei casi- alla routine di una campagna che cerca di sopravvivere ai cambiamenti climatici, al cinismo cittadino e alla globalizzazione che la riduce pelle e ossa. Una pièce sulle mancanze e sul peso che queste hanno.

Sebbastiano (Alberto Gandolfo) piegato da anni di lavoro nei campi, che non conosce altro che quello, che celebra sotto la scorza dura la magia della natura, che con lavoro indefesso cerca a modo suo di prendersi cura dei due figli e di far tacere quel sussurro che gli ricorda che l’amata moglie non c’è più: lei che era àncora, ristoro, consiglio, rifugio (perché anche i più duri ne hanno bisogno!). Dennis (Federico Bizzarri) bloccato nella sua timidezza, che l’hanno convinto di non essere abbastanza, toccato, scemo, che vive eseguendo gli ordini del padre, che nella realtà della fattoria di famiglia si sente protetto e non costretto ad affrontare le sue insicurezze per socializzare o parlare con la ragazza che ama. E poi c’è Ciccio (Damiano Spilateri), abile nel mungere la mucca Maria, che vorrebbe trasferirsi in città e fare il ballerino anche se le sue forme trasbordano abbondantemente, che ricorda con affetto le parole della madre quando diceva che la danza lui ce l’ha nel sangue e che una vita senza sogni è amara come il radicchio. Tre esseri diversi, ma che si amano e si difendono con i limiti che li caratterizzano.

Sebbastiano non si preoccupa del fatto che a Ciccio piacciano i maschi e ballare, ma di come lo tratterebbero in città, di cosa direbbe la gente. Non vomita sui figli i propri timori e il dolore che lo pervadono, tentando di donare loro un’immagine di capofamiglia forte e rassicurante. Dennis comprende il desiderio del fratello e il disagio che prova nel vivere un’esistenza non sua e prova a esternare al padre la preoccupazione nel vederlo ‘sciupato’, senza appetito e voglia di vivere. Ciccio non rivela a nessuno i segreti di Dennis proteggendone l’intima fragilità e cerca di accontentare il padre anche se questo significa soffocare. Il loro cognome è Speranza, però l’unico che davvero non si arrende, che non desiste, è Ciccio. Deve trovare il coraggio di confessare al padre i suoi piani e alla fine lo fa: la reazione però non è quella sperata.

Uno spettacolo con un buon ritmo, che strappa sorrisi -spesso amari-, dove i tre protagonisti vengono caratterizzati in modo efficace dagli attori in scena (un plauso particolare a Federico Bizzarri), dove talvolta avrei preferito il non detto al gridato. Un progetto apprezzabile, che coinvolgendo lo spettatore e veicolando una storia e un messaggio intensi, non lascia indifferenti.

Segui i temi Commenta con i lettori I commenti dei lettori

Suggerisci una correzione

Al Teatro Belli di Roma è in corso la rassegna “EXPO-Teatro italiano contemporaneo” che terminerà ad aprile. Molti gli spettacoli in programmazione all’insegna della qualità e della sperimentazione. Tra questi “La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza” di Alberto Fumagalli, che ne cura la regia insieme a Ludovica D’Auria, con Damiano Spilateri, Alberto Gandolfo e Federico Bizzarri.

Un paio di chiappe che si agitano mentre fottono una pecora, chili e chili di grasso che ballonzolano costretti in un tutù rosa, un linguaggio da principio spiazzante ma che poi diviene familiare. Il tutto orchestrato per suonare una distopia ineludibile, quella di tre esistenze monche, aggrappate o costrette -a seconda dei casi- alla routine di una campagna che cerca di sopravvivere ai cambiamenti climatici, al cinismo cittadino e alla globalizzazione che la riduce pelle e ossa. Una pièce sulle mancanze e sul peso che queste hanno.

Sebbastiano (Alberto Gandolfo) piegato da anni di lavoro nei campi, che non conosce altro che quello, che celebra sotto la scorza dura la magia della natura, che con lavoro indefesso cerca a modo suo di prendersi cura dei due figli e di far tacere quel sussurro che gli ricorda che l’amata moglie non c’è più: lei che era àncora, ristoro, consiglio, rifugio (perché anche i più duri ne hanno bisogno!). Dennis (Federico Bizzarri) bloccato nella sua timidezza, che l’hanno convinto di non essere abbastanza, toccato, scemo, che vive eseguendo gli ordini del padre, che nella realtà della fattoria di famiglia si sente protetto e non costretto ad affrontare le sue insicurezze per socializzare o parlare con la ragazza che ama. E poi c’è Ciccio (Damiano Spilateri), abile nel mungere la mucca Maria, che vorrebbe trasferirsi in città e fare il ballerino anche se le sue forme trasbordano abbondantemente, che ricorda con affetto le parole della madre quando diceva che la danza lui ce l’ha nel sangue e che una vita senza sogni è amara come il radicchio. Tre esseri diversi, ma che si amano e si difendono con i limiti che li caratterizzano.

Sebbastiano non si preoccupa del fatto che a Ciccio piacciano i maschi e ballare, ma di come lo tratterebbero in città, di cosa direbbe la gente. Non vomita sui figli i propri timori e il dolore che lo pervadono, tentando di donare loro un’immagine di capofamiglia forte e rassicurante. Dennis comprende il desiderio del fratello e il disagio che prova nel vivere un’esistenza non sua e prova a esternare al padre la preoccupazione nel vederlo ‘sciupato’, senza appetito e voglia di vivere. Ciccio non rivela a nessuno i segreti di Dennis proteggendone l’intima fragilità e cerca di accontentare il padre anche se questo significa soffocare. Il loro cognome è Speranza, però l’unico che davvero non si arrende, che non desiste, è Ciccio. Deve trovare il coraggio di confessare al padre i suoi piani e alla fine lo fa: la reazione però non è quella sperata.

Uno spettacolo con un buon ritmo, che strappa sorrisi -spesso amari-, dove i tre protagonisti vengono caratterizzati in modo efficace dagli attori in scena (un plauso particolare a Federico Bizzarri), dove talvolta avrei preferito il non detto al gridato. Un progetto apprezzabile, che coinvolgendo lo spettatore e veicolando una storia e un messaggio intensi, non lascia indifferenti.

QOSHE - Al Teatro Belli di Roma una pièce sul peso delle mancanze - Emiliano Reali
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Al Teatro Belli di Roma una pièce sul peso delle mancanze

59 1
23.02.2024

Al Teatro Belli di Roma è in corso la rassegna “EXPO-Teatro italiano contemporaneo” che terminerà ad aprile. Molti gli spettacoli in programmazione all’insegna della qualità e della sperimentazione. Tra questi “La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza” di Alberto Fumagalli, che ne cura la regia insieme a Ludovica D’Auria, con Damiano Spilateri, Alberto Gandolfo e Federico Bizzarri.

Un paio di chiappe che si agitano mentre fottono una pecora, chili e chili di grasso che ballonzolano costretti in un tutù rosa, un linguaggio da principio spiazzante ma che poi diviene familiare. Il tutto orchestrato per suonare una distopia ineludibile, quella di tre esistenze monche, aggrappate o costrette -a seconda dei casi- alla routine di una campagna che cerca di sopravvivere ai cambiamenti climatici, al cinismo cittadino e alla globalizzazione che la riduce pelle e ossa. Una pièce sulle mancanze e sul peso che queste hanno.

Sebbastiano (Alberto Gandolfo) piegato da anni di lavoro nei campi, che non conosce altro che quello, che celebra sotto la scorza dura la magia della natura, che con lavoro indefesso cerca a modo suo di prendersi cura dei due figli e di far tacere quel sussurro che gli ricorda che l’amata moglie non c’è più: lei che era àncora, ristoro, consiglio, rifugio (perché anche i più duri ne hanno bisogno!). Dennis (Federico Bizzarri) bloccato nella sua timidezza, che l’hanno convinto di non essere abbastanza, toccato, scemo, che vive eseguendo gli ordini del padre, che nella realtà della fattoria di famiglia si sente protetto e non costretto ad affrontare le sue insicurezze per socializzare o parlare con la ragazza che ama. E poi c’è Ciccio........

© HuffPost


Get it on Google Play