Non c'è chi non conosca il principio “chi inquina paga” alla base della politica ambientale dell’Unione europea. In virtù di tale principio, chi inquina è tenuto a sostenere i costi dell’inquinamento causato, compresi i costi delle misure adottate per prevenire, ridurre e porre rimedio all’inquinamento.

Il testo dell'articolo 41 Costituzione, a seguito delle modifiche apportate dalla riforma costituzionale, recita quanto segue “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Si capisce come le aziende non possano più ignorare, ormai già da qualche anno, il loro “impatto ambientale”.

Una responsabilizzazione e responsabilità che è stata correttamente applicata a quattro settori della politica ambientale dell’UE: inquinamento industriale, smaltimento rifiuti, gestione delle risorse idriche e uso del suolo.

Eppure, vi è un indice di sostenibilità che non è stato contemplato: quello della lotta alla contraffazione.

Il monitoraggio del contraffatto non è infatti preso in considerazione perché probabilmente non si coglie, direttamente, quanto sia inquinante il contraffatto, sia al momento della produzione, con materiali altamente inquinanti e dannosi, che al momento dello smaltimento (in dogana e non).

Per tornare al principio del “chi inquina paga” un sillogismo mi porterebbe ad asserire che, se “il contraffatto inquina” allora “chi non combatte la contraffazione deve pagare”.

Il connubio contraffazione-inquinamento ambientale non è infatti interiorizzato dalla collettività come distruttivo dell’ambiente e pericoloso della salute, motivo per cui esiste ancora tutta una fascia di consumatori che, volutamente, si spingono verso l’acquisto del fake, inconsapevoli, forse, di quanto stiano inquinando, alimentando l'animale criminale con la veste contraffazione.

Analogo discorso vale, spesso, per le aziende che ignorano quanto fatto a livello di analisi ed abbattimento del contraffatto abbia un ritorno immediato di fatturato in termini di sostenibilità ambientale.

Forse perché si trovano dinnanzi all’incapacità di misurare il livello di inquinamento provocato dal contraffatto?

Eppure, esiste un modo, che ci porta a misurare i livelli di inquinamento, analizzando i dati condivisi da players logistici nazionali e internazionali.

Spedire un pacco dalla Cina, principale produttore ed esportatore di articoli contraffatti a livello globale, comporta un'emissione nell'atmosfera di una determinata quantità di CO2 (variabile in funzione della nazione di destinazione) che è misurabile.

Avendo, in altri termini, a disposizione, per tramite delle autorità locali, una stima dei pacchi contenenti articoli contraffatti consegnati annualmente, è possibile calcolare le emissioni totali di CO2 che il mercato della contraffazione emette nell'atmosfera.

In conclusione forse, occorrerebbe aggiungere un quinto settore alla politica ambientale UE, quello della lotta alla contraffazione perché, nonostante la modifica costituzionale che ha visto l’introduzione del Bene ambiente come bene costituzionalmente garantito, a oggi la normativa esistente e le imposizioni normative a livello comunitario non tengono conto, realmente, di tutti i fattori ad alto impatto ambientale... così da non riuscire a stare davvero al passo con la sostenibilità aziendale di impresa.

Segui i temi Commenta con i lettori I commenti dei lettori

Suggerisci una correzione

Non c'è chi non conosca il principio “chi inquina paga” alla base della politica ambientale dell’Unione europea. In virtù di tale principio, chi inquina è tenuto a sostenere i costi dell’inquinamento causato, compresi i costi delle misure adottate per prevenire, ridurre e porre rimedio all’inquinamento.

Il testo dell'articolo 41 Costituzione, a seguito delle modifiche apportate dalla riforma costituzionale, recita quanto segue “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Si capisce come le aziende non possano più ignorare, ormai già da qualche anno, il loro “impatto ambientale”.

Una responsabilizzazione e responsabilità che è stata correttamente applicata a quattro settori della politica ambientale dell’UE: inquinamento industriale, smaltimento rifiuti, gestione delle risorse idriche e uso del suolo.

Eppure, vi è un indice di sostenibilità che non è stato contemplato: quello della lotta alla contraffazione.

Il monitoraggio del contraffatto non è infatti preso in considerazione perché probabilmente non si coglie, direttamente, quanto sia inquinante il contraffatto, sia al momento della produzione, con materiali altamente inquinanti e dannosi, che al momento dello smaltimento (in dogana e non).

Per tornare al principio del “chi inquina paga” un sillogismo mi porterebbe ad asserire che, se “il contraffatto inquina” allora “chi non combatte la contraffazione deve pagare”.

Il connubio contraffazione-inquinamento ambientale non è infatti interiorizzato dalla collettività come distruttivo dell’ambiente e pericoloso della salute, motivo per cui esiste ancora tutta una fascia di consumatori che, volutamente, si spingono verso l’acquisto del fake, inconsapevoli, forse, di quanto stiano inquinando, alimentando l'animale criminale con la veste contraffazione.

Analogo discorso vale, spesso, per le aziende che ignorano quanto fatto a livello di analisi ed abbattimento del contraffatto abbia un ritorno immediato di fatturato in termini di sostenibilità ambientale.

Forse perché si trovano dinnanzi all’incapacità di misurare il livello di inquinamento provocato dal contraffatto?

Eppure, esiste un modo, che ci porta a misurare i livelli di inquinamento, analizzando i dati condivisi da players logistici nazionali e internazionali.

Spedire un pacco dalla Cina, principale produttore ed esportatore di articoli contraffatti a livello globale, comporta un'emissione nell'atmosfera di una determinata quantità di CO2 (variabile in funzione della nazione di destinazione) che è misurabile.

Avendo, in altri termini, a disposizione, per tramite delle autorità locali, una stima dei pacchi contenenti articoli contraffatti consegnati annualmente, è possibile calcolare le emissioni totali di CO2 che il mercato della contraffazione emette nell'atmosfera.

In conclusione forse, occorrerebbe aggiungere un quinto settore alla politica ambientale UE, quello della lotta alla contraffazione perché, nonostante la modifica costituzionale che ha visto l’introduzione del Bene ambiente come bene costituzionalmente garantito, a oggi la normativa esistente e le imposizioni normative a livello comunitario non tengono conto, realmente, di tutti i fattori ad alto impatto ambientale... così da non riuscire a stare davvero al passo con la sostenibilità aziendale di impresa.

QOSHE - La merce contraffatta inquina ed è pericolosa per la salute - Flavia Zarba
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

La merce contraffatta inquina ed è pericolosa per la salute

2 0
05.02.2024

Non c'è chi non conosca il principio “chi inquina paga” alla base della politica ambientale dell’Unione europea. In virtù di tale principio, chi inquina è tenuto a sostenere i costi dell’inquinamento causato, compresi i costi delle misure adottate per prevenire, ridurre e porre rimedio all’inquinamento.

Il testo dell'articolo 41 Costituzione, a seguito delle modifiche apportate dalla riforma costituzionale, recita quanto segue “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Si capisce come le aziende non possano più ignorare, ormai già da qualche anno, il loro “impatto ambientale”.

Una responsabilizzazione e responsabilità che è stata correttamente applicata a quattro settori della politica ambientale dell’UE: inquinamento industriale, smaltimento rifiuti, gestione delle risorse idriche e uso del suolo.

Eppure, vi è un indice di sostenibilità che non è stato contemplato: quello della lotta alla contraffazione.

Il monitoraggio del contraffatto non è infatti preso in considerazione perché probabilmente non si coglie, direttamente, quanto sia inquinante il contraffatto, sia al momento della produzione, con materiali altamente inquinanti e dannosi, che al momento dello smaltimento (in dogana e non).

Per tornare al principio del “chi inquina paga” un sillogismo mi porterebbe ad asserire che, se “il contraffatto inquina” allora “chi non combatte la contraffazione deve pagare”.

Il connubio contraffazione-inquinamento ambientale non è infatti interiorizzato dalla collettività come distruttivo dell’ambiente e pericoloso della salute, motivo per cui esiste ancora tutta........

© HuffPost


Get it on Google Play