L’imprenditore è il motore dell’innovazione e l’innovazione è alla base dello sviluppo economico. Da venticinque anni la propensione a fare imprenditoria è monitorata dal Global Entrepreneurship Monitor, un progetto che nel 2023 ha coinvolto 46 paesi intervistando oltre 100 mila persone.

Per l’Italia si conferma una modesta tendenza a fare nuova imprenditorialità, per quanto in recupero rispetto al recente passato. Ma non siamo il paese dell’imprenditoria? Da noi ci sono 75 imprese ogni mille abitanti rispetto alla media UE di 69 imprese. Tuttavia per propensione imprenditoriale precipitiamo al 36esimo posto su 46 paesi.

Tra 2010 e 2023 c’è stata una riduzione di iscrizioni di impresa di quasi 100 mila unità, situazione particolarmente grave per l’imprenditorialità giovanile, con imprenditori sotto i 35 anni. Nel 2012 sei giovani su 100 facevano impresa mentre oggi la percentuale è del 5% e non stupisce quindi che dieci anni fa le imprese giovanili superassero l’11% del totale, mentre oggi siamo all’8,7%: in dieci anni si sono perse oltre 150 mila imprese giovanili, mentre gli over 70enni sono aumentati del 25%.

Il calo demografico influisce, ma solo in parte perché per oltre il 60% la situazione viene da una minore propensione da parte delle nuove generazioni.

Ma c’è di più, proiettando l’attuale tendenza demografica, nel 2050 avremo circa il 40% di imprese giovanili in meno rispetto al 2012. Se questa valutazione fosse il frutto di scelte più ponderate dei giovani, ossia di un migliore apprezzamento delle opportunità, il fenomeno sarebbe anche positivo, considerato che negli ultimi dieci anni la “natalità giovanile” nei settori più avanzati dei servizi innovativi, in controtendenza con quella complessiva, è aumentata di quasi il 50%.

Tuttavia nella fascia di età tra i 25 e 34 anni si concentra la maggiore percentuale di imprenditori “per necessità”, che scelgono di aprire una azienda come una forma di autoimpiego in mancanza di altre possibilità (oltre il 30%).

Nel tempo si sono accumulati fattori di percezione e di contesto che hanno influito su questo atteggiamento.

Indubbiamente da noi è considerato più difficile fare impresa, anzi tra i diversi paesi analizzati da GEM l’Italia è quello dove si percepisce maggiore difficoltà al rigyardo, per avere un paragone ce la battiamo con l’Iran e un poco anche con Israele (sic!). Ma questa percezione è sempre stata una nostra caratteristica, anzi negli ultimi anni ci sono diversi progressi nella semplificazione delle procedure e delle tempistiche, e nel passato c’era comunque una maggiore natalità.

Probabilmente si è modificata nel tempo la considerazione della funzione imprenditoriale. Negli anni Ottanta del secolo scorso Giacomo Becattini, noto per le sue analisi sul capitalismo dei distretti industriali, aveva individuato la tipologia delle “imprese progetto di vita”, che rispondevano a un ricco patrimonio di valori e a un’alta capacità creativa, caratterizzate da un forte grado di legittimazione sociale-locale. Vale ancora?

Nel mondo di internet i comportamenti individuali sono influenzati dalle narrazioni e oggi si avverte una minore considerazione sociale e di status, soprattutto in termini di prospettive e di immagine, di quanti fanno impresa.

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L’imprenditore è il motore dell’innovazione e l’innovazione è alla base dello sviluppo economico. Da venticinque anni la propensione a fare imprenditoria è monitorata dal Global Entrepreneurship Monitor, un progetto che nel 2023 ha coinvolto 46 paesi intervistando oltre 100 mila persone.

Per l’Italia si conferma una modesta tendenza a fare nuova imprenditorialità, per quanto in recupero rispetto al recente passato. Ma non siamo il paese dell’imprenditoria? Da noi ci sono 75 imprese ogni mille abitanti rispetto alla media UE di 69 imprese. Tuttavia per propensione imprenditoriale precipitiamo al 36esimo posto su 46 paesi.

Tra 2010 e 2023 c’è stata una riduzione di iscrizioni di impresa di quasi 100 mila unità, situazione particolarmente grave per l’imprenditorialità giovanile, con imprenditori sotto i 35 anni. Nel 2012 sei giovani su 100 facevano impresa mentre oggi la percentuale è del 5% e non stupisce quindi che dieci anni fa le imprese giovanili superassero l’11% del totale, mentre oggi siamo all’8,7%: in dieci anni si sono perse oltre 150 mila imprese giovanili, mentre gli over 70enni sono aumentati del 25%.

Il calo demografico influisce, ma solo in parte perché per oltre il 60% la situazione viene da una minore propensione da parte delle nuove generazioni.

Ma c’è di più, proiettando l’attuale tendenza demografica, nel 2050 avremo circa il 40% di imprese giovanili in meno rispetto al 2012. Se questa valutazione fosse il frutto di scelte più ponderate dei giovani, ossia di un migliore apprezzamento delle opportunità, il fenomeno sarebbe anche positivo, considerato che negli ultimi dieci anni la “natalità giovanile” nei settori più avanzati dei servizi innovativi, in controtendenza con quella complessiva, è aumentata di quasi il 50%.

Tuttavia nella fascia di età tra i 25 e 34 anni si concentra la maggiore percentuale di imprenditori “per necessità”, che scelgono di aprire una azienda come una forma di autoimpiego in mancanza di altre possibilità (oltre il 30%).

Nel tempo si sono accumulati fattori di percezione e di contesto che hanno influito su questo atteggiamento.

Indubbiamente da noi è considerato più difficile fare impresa, anzi tra i diversi paesi analizzati da GEM l’Italia è quello dove si percepisce maggiore difficoltà al rigyardo, per avere un paragone ce la battiamo con l’Iran e un poco anche con Israele (sic!). Ma questa percezione è sempre stata una nostra caratteristica, anzi negli ultimi anni ci sono diversi progressi nella semplificazione delle procedure e delle tempistiche, e nel passato c’era comunque una maggiore natalità.

Probabilmente si è modificata nel tempo la considerazione della funzione imprenditoriale. Negli anni Ottanta del secolo scorso Giacomo Becattini, noto per le sue analisi sul capitalismo dei distretti industriali, aveva individuato la tipologia delle “imprese progetto di vita”, che rispondevano a un ricco patrimonio di valori e a un’alta capacità creativa, caratterizzate da un forte grado di legittimazione sociale-locale. Vale ancora?

Nel mondo di internet i comportamenti individuali sono influenzati dalle narrazioni e oggi si avverte una minore considerazione sociale e di status, soprattutto in termini di prospettive e di immagine, di quanti fanno impresa.

Poi ci sono i sacrifici, perché non c’è dubbio che l’avvio di un’attività comporti, soprattutto all’inizio, un impegno molto elevato, e l’ultimo Rapporto del Censis ci dice che l’87% dei giovani tra i 18 e i 34 anni considera un errore fare del lavoro il “centro della propria vita”, anche se questo lavoro può identificarsi con un “progetto di vita”, come diceva Becattini. Ecco perché, secondo Eurispes, i giovani italiani aspirano in maggioranza a un lavoro dipendente (63%), più dei pari età di altri paesi (es. 26% della Polonia, 20% della Germania).

C’è poi il tema dell’incertezza, ossia l’instabilità del contesto operativo. Se l’imprenditore è conscio dei suoi mezzi può avere una buona propensione a rischiare su singoli progetti facendo assegnamento sulla storia passata o sull’analogia, ma sempre più questa situazione è minoritaria rispetto a quella dell’incertezza radicale in cui non abbiamo elementi sul futuro perché il quadro è imprevedibile.

Per superare l’incertezza occorre sviluppare un contesto fiduciario che invece, per le ragioni indicate, sembra oggi meno robusto nelle motivazioni, in particolare dei giovani.

Un rilancio dell’imprenditorialità comporta un lavoro su più fronti: sicuramente quello culturale, della formazione e dell’informazione, senz’altro quello della semplificazione dei tempi, delle procedure, del sostegno finanziario, ma soprattutto serve un più vasto impegno istituzionale nel far crescere la dignità sociale dell’impresa rilanciando la fiducia nel futuro perché se così non fosse, come sosteneva Luigi Einaudi oltre sessanta anni fa, non riusciremo a ricostruire “il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, abbellire le sedi, che costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno”.

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QOSHE - Rilanciamo la fiducia contro il declino della natalità imprenditoriale e l’invecchiamento d’impresa - Gaetano Fausto Esposito
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Rilanciamo la fiducia contro il declino della natalità imprenditoriale e l’invecchiamento d’impresa

53 0
29.04.2024

L’imprenditore è il motore dell’innovazione e l’innovazione è alla base dello sviluppo economico. Da venticinque anni la propensione a fare imprenditoria è monitorata dal Global Entrepreneurship Monitor, un progetto che nel 2023 ha coinvolto 46 paesi intervistando oltre 100 mila persone.

Per l’Italia si conferma una modesta tendenza a fare nuova imprenditorialità, per quanto in recupero rispetto al recente passato. Ma non siamo il paese dell’imprenditoria? Da noi ci sono 75 imprese ogni mille abitanti rispetto alla media UE di 69 imprese. Tuttavia per propensione imprenditoriale precipitiamo al 36esimo posto su 46 paesi.

Tra 2010 e 2023 c’è stata una riduzione di iscrizioni di impresa di quasi 100 mila unità, situazione particolarmente grave per l’imprenditorialità giovanile, con imprenditori sotto i 35 anni. Nel 2012 sei giovani su 100 facevano impresa mentre oggi la percentuale è del 5% e non stupisce quindi che dieci anni fa le imprese giovanili superassero l’11% del totale, mentre oggi siamo all’8,7%: in dieci anni si sono perse oltre 150 mila imprese giovanili, mentre gli over 70enni sono aumentati del 25%.

Il calo demografico influisce, ma solo in parte perché per oltre il 60% la situazione viene da una minore propensione da parte delle nuove generazioni.

Ma c’è di più, proiettando l’attuale tendenza demografica, nel 2050 avremo circa il 40% di imprese giovanili in meno rispetto al 2012. Se questa valutazione fosse il frutto di scelte più ponderate dei giovani, ossia di un migliore apprezzamento delle opportunità, il fenomeno sarebbe anche positivo, considerato che negli ultimi dieci anni la “natalità giovanile” nei settori più avanzati dei servizi innovativi, in controtendenza con quella complessiva, è aumentata di quasi il 50%.

Tuttavia nella fascia di età tra i 25 e 34 anni si concentra la maggiore percentuale di imprenditori “per necessità”, che scelgono di aprire una azienda come una forma di autoimpiego in mancanza di altre possibilità (oltre il 30%).

Nel tempo si sono accumulati fattori di percezione e di contesto che hanno influito su questo atteggiamento.

Indubbiamente da noi è considerato più difficile fare impresa, anzi........

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