La notizia che la Commissione UE ha accettato gran parte delle modifiche proposte dal Governo Meloni al Pnrr italiano è di quelle rilevanti per politica, economia e società considerato il ruolo del Piano rispetto al Paese: uno strumento che per dirla con Sabino Cassese, “ha obbligato pa e comunità ad un grande esercizio di apprendimento su procedure e performance”. Una buona notizia quindi che ha però alcuni aspetti dubbi.

Partiamo da ciò che va, che è moltissimo: il cambio è estremamente positivo, sia perché conferma che Commissione e network di Bruxelles non sono ostili al governo italiano, e sia (soprattutto) perché con la nuova versione, il Piano diventa condiviso: già alle politiche, Meloni e Fitto avevano criticato l’impianto del Pnrr di Draghi e la necessità di “aggiornarlo al nuovo contesto”; poi al Governo il Piano e la sua attuazione sono stati vissuti come un qualcosa di estraneo, una incombenza fastidiosa da gestire mentre si dichiarava di volerlo cambiare. Adesso questo aggiornamento – di 145 obiettivi sui 521 complessivi per circa 14 miliardi – pensato e voluto dal Governo Meloni, fa si che chi sta a Palazzo Chigi possa vivere come suo il Pnrr. Non più una medicina voluta da altri, ma obiettivo a cui tendere impegnando tutta la maggioranza. È una notizia positiva, insieme ad altri aspetti “minori” che vale la pena accennare: è il viatico che ha sbloccato la IV rata che porta a 102 miliardi di euro i soldi ricevuti (toccasana per le spese di fine anno dello Stato); aumenta le riforme con 7 nuovi ambiti in cui metter mano (tra queste l’integrazione tra fondi ordinari UE e NGEU). Buona novità infine perché completa il disegno avviato con l’accentramento della governance del Pnrr dello scorso marzo: dopo i meccanismi di funzionamento del Piano adesso ad essere concentrate sono anche alcune spese in macrovoci e molti meno progetti da gestire.

Il nuovo Pnrr contiene tuttavia anche elementi di criticità se non proprio negativi. Innanzitutto i tempi: 7 mesi di dibattito sul cambio del Piano (più altri 4 di valutazione della Commissione) dicono che abbiamo perso circa un anno su, se, come, dove, quando, cambiare il Pnrr. Un po’ troppo per una iniziativa che ha verifiche semestrali e che entro dicembre 2026 deve essere rendicontata. Nel merito poi, il cambio del Piano toglie circa 10 miliardi ai Comuni, il livello che meglio sta facendo con bandi e realizzazioni (l’80% di risorse già in cassa ed il 60% di opere già avviate), cambiando il clima tra Stato, Regioni e Comuni: dalla cooperazione con l’obiettivo dell’attuazione, alla guerra di tutti contro tutti per accaparrarsi le risorse dei fondi della coesione extra Piano per finanziare le opere escluse dal Pnrr. Infine, la modifica sposta soldi (circa 14 miliardi di euro) su industria 5.0, protezione civile e agricoltura: ambiti che potevano trovare in altre fonti europee o nazionali gli spazi di spesa.

Nel 2023 il governo Meloni ha cambiato il funzionamento della governance ed i contenuti del Pnrr, i due aspetti che da sempre contestava. Ha centralizzato la spesa delle risorse UE a Palazzo Chigi e si appresta a affidare una parte significativa del Piano alle grandi aziende di Stato adesso guidate da personalità di sua fiducia. Il 2024 si apre senza alibi per l'esecutivo, un bene soprattutto per chi sostiene che il Pnrr debba “solo” essere attuato. La “saga del Pnrr” (copyright Marco Leonardi) si avvia alla conclusione e può prevedere solo un ultimo colpo di scena (possibile ma non auspicabile): il taglio di rate per rinunzia a risorse (probabilmente quelle a debito) se qualcosa dovesse andare storto. Non sarebbe un dramma ma la conferma che l’Italia invece che spenderli, i soldi li restituisce a Bruxelles (e stavolta non potremmo neanche lamentarcene).

Ps: nel nuovo Pnrr ci sono 144 milioni di soldi in più a debito. Dopo aver evidenziato che i soldi erano in parte a debito e che Bruxelles li avrebbe chiesti indietro, abbiamo aumentato la quota da restituire. Di poco, ma aumentata.

Segui i temi Commenta con i lettori I commenti dei lettori

Suggerisci una correzione

La notizia che la Commissione UE ha accettato gran parte delle modifiche proposte dal Governo Meloni al Pnrr italiano è di quelle rilevanti per politica, economia e società considerato il ruolo del Piano rispetto al Paese: uno strumento che per dirla con Sabino Cassese, “ha obbligato pa e comunità ad un grande esercizio di apprendimento su procedure e performance”. Una buona notizia quindi che ha però alcuni aspetti dubbi.

Partiamo da ciò che va, che è moltissimo: il cambio è estremamente positivo, sia perché conferma che Commissione e network di Bruxelles non sono ostili al governo italiano, e sia (soprattutto) perché con la nuova versione, il Piano diventa condiviso: già alle politiche, Meloni e Fitto avevano criticato l’impianto del Pnrr di Draghi e la necessità di “aggiornarlo al nuovo contesto”; poi al Governo il Piano e la sua attuazione sono stati vissuti come un qualcosa di estraneo, una incombenza fastidiosa da gestire mentre si dichiarava di volerlo cambiare. Adesso questo aggiornamento – di 145 obiettivi sui 521 complessivi per circa 14 miliardi – pensato e voluto dal Governo Meloni, fa si che chi sta a Palazzo Chigi possa vivere come suo il Pnrr. Non più una medicina voluta da altri, ma obiettivo a cui tendere impegnando tutta la maggioranza. È una notizia positiva, insieme ad altri aspetti “minori” che vale la pena accennare: è il viatico che ha sbloccato la IV rata che porta a 102 miliardi di euro i soldi ricevuti (toccasana per le spese di fine anno dello Stato); aumenta le riforme con 7 nuovi ambiti in cui metter mano (tra queste l’integrazione tra fondi ordinari UE e NGEU). Buona novità infine perché completa il disegno avviato con l’accentramento della governance del Pnrr dello scorso marzo: dopo i meccanismi di funzionamento del Piano adesso ad essere concentrate sono anche alcune spese in macrovoci e molti meno progetti da gestire.

Il nuovo Pnrr contiene tuttavia anche elementi di criticità se non proprio negativi. Innanzitutto i tempi: 7 mesi di dibattito sul cambio del Piano (più altri 4 di valutazione della Commissione) dicono che abbiamo perso circa un anno su, se, come, dove, quando, cambiare il Pnrr. Un po’ troppo per una iniziativa che ha verifiche semestrali e che entro dicembre 2026 deve essere rendicontata. Nel merito poi, il cambio del Piano toglie circa 10 miliardi ai Comuni, il livello che meglio sta facendo con bandi e realizzazioni (l’80% di risorse già in cassa ed il 60% di opere già avviate), cambiando il clima tra Stato, Regioni e Comuni: dalla cooperazione con l’obiettivo dell’attuazione, alla guerra di tutti contro tutti per accaparrarsi le risorse dei fondi della coesione extra Piano per finanziare le opere escluse dal Pnrr. Infine, la modifica sposta soldi (circa 14 miliardi di euro) su industria 5.0, protezione civile e agricoltura: ambiti che potevano trovare in altre fonti europee o nazionali gli spazi di spesa.

Nel 2023 il governo Meloni ha cambiato il funzionamento della governance ed i contenuti del Pnrr, i due aspetti che da sempre contestava. Ha centralizzato la spesa delle risorse UE a Palazzo Chigi e si appresta a affidare una parte significativa del Piano alle grandi aziende di Stato adesso guidate da personalità di sua fiducia. Il 2024 si apre senza alibi per l'esecutivo, un bene soprattutto per chi sostiene che il Pnrr debba “solo” essere attuato. La “saga del Pnrr” (copyright Marco Leonardi) si avvia alla conclusione e può prevedere solo un ultimo colpo di scena (possibile ma non auspicabile): il taglio di rate per rinunzia a risorse (probabilmente quelle a debito) se qualcosa dovesse andare storto. Non sarebbe un dramma ma la conferma che l’Italia invece che spenderli, i soldi li restituisce a Bruxelles (e stavolta non potremmo neanche lamentarcene).

Ps: nel nuovo Pnrr ci sono 144 milioni di soldi in più a debito. Dopo aver evidenziato che i soldi erano in parte a debito e che Bruxelles li avrebbe chiesti indietro, abbiamo aumentato la quota da restituire. Di poco, ma aumentata.

QOSHE - Sul Pnrr il 2023 si chiude con una buona notizia ma anche una preoccupazione: l'anno prossimo non abbiamo più alibi - Giacomo Darrigo
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Sul Pnrr il 2023 si chiude con una buona notizia ma anche una preoccupazione: l'anno prossimo non abbiamo più alibi

6 1
24.12.2023

La notizia che la Commissione UE ha accettato gran parte delle modifiche proposte dal Governo Meloni al Pnrr italiano è di quelle rilevanti per politica, economia e società considerato il ruolo del Piano rispetto al Paese: uno strumento che per dirla con Sabino Cassese, “ha obbligato pa e comunità ad un grande esercizio di apprendimento su procedure e performance”. Una buona notizia quindi che ha però alcuni aspetti dubbi.

Partiamo da ciò che va, che è moltissimo: il cambio è estremamente positivo, sia perché conferma che Commissione e network di Bruxelles non sono ostili al governo italiano, e sia (soprattutto) perché con la nuova versione, il Piano diventa condiviso: già alle politiche, Meloni e Fitto avevano criticato l’impianto del Pnrr di Draghi e la necessità di “aggiornarlo al nuovo contesto”; poi al Governo il Piano e la sua attuazione sono stati vissuti come un qualcosa di estraneo, una incombenza fastidiosa da gestire mentre si dichiarava di volerlo cambiare. Adesso questo aggiornamento – di 145 obiettivi sui 521 complessivi per circa 14 miliardi – pensato e voluto dal Governo Meloni, fa si che chi sta a Palazzo Chigi possa vivere come suo il Pnrr. Non più una medicina voluta da altri, ma obiettivo a cui tendere impegnando tutta la maggioranza. È una notizia positiva, insieme ad altri aspetti “minori” che vale la pena accennare: è il viatico che ha sbloccato la IV rata che porta a 102 miliardi di euro i soldi ricevuti (toccasana per le spese di fine anno dello Stato); aumenta le riforme con 7 nuovi ambiti in cui metter mano (tra queste l’integrazione tra fondi ordinari UE e NGEU). Buona novità infine perché completa il disegno avviato con l’accentramento della governance del Pnrr dello scorso marzo: dopo i meccanismi di funzionamento del Piano adesso ad essere concentrate sono anche alcune spese in macrovoci e molti meno progetti da gestire.

Il nuovo Pnrr contiene tuttavia anche elementi di criticità se non proprio negativi. Innanzitutto i tempi: 7 mesi di dibattito sul cambio del Piano (più altri 4 di........

© HuffPost


Get it on Google Play