Nell’incipit del Monologo, censurato dalla Rai (a sentire lo scaricabarile dei vertici dell’azienda si direbbe che il censore sia stato un usciere di Viale Mazzini) Antonio Scurati racconta da par suo il martirio di Giacomo Matteotti di cui Mussolini, intervenendo alla Camera, si assunse "la responsabilità politica, morale e storica". Scurati ha voluto sottolineare – in prossimità del 25 Aprile – che il fascismo fu lungo tutta la sua esistenza storica - non soltanto alla fine (con le stragi compiute insieme ai nazisti nel 1944) o occasionalmente - un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista.

Magari un’altra volta lo scrittore farebbe un buon servizio alla memoria collettiva ricordando (perché non vi ricada quello di oggi) gli errori dell’antifascismo di quei tempi che concorsero alla presa del potere del ‘’figlio del secolo’’. Due anni prima di essere assassinato Giacomo Matteotti, insieme ai compagni della corrente riformista - come Filippo Turati, Claudio Treves, Camillo Prampolini ed altri - era stato espulso dal Psi. I riformisti avevano fondato il Psu di cui Matteotti era segretario. Perchè era avvenuta questa espulsione? Per obbedienza verso Mosca. Tra i 21 punti a cui i partiti erano obbligati per poter aderire alla Terza Internazionale comunista, istituita da Lenin, il secondo stabiliva che ‘’Qualsiasi organizzazione che voglia aderire all'Internazionale Comunista deve rimuovere, sistematicamente, i riformisti e i centristi da tutti gli incarichi di responsabilità all'interno del movimento operaio (organizzazioni di partito, comitati di redazione, sindacati, gruppi parlamentari, cooperative, organi di governo locali) e sostituirli con comunisti collaudati, anche se, soprattutto all'inizio, sarà necessario sostituire degli opportunisti "esperti" con dei semplici lavoratori di base’’ (queste parole saranno ripetute anche in tante altre occasioni successive e fino ai nostri giorni, ndr).

La maggioranza massimalista guidata da Giacinto Menotti Serrati aveva cercato di evitare il trauma di una scissione. Ma questo tergiversare aveva determinato la fuoriuscita, al Congresso di Livorno nel 1921, della frazione comunista con la costituzione del Partito comunista d’Italia (anche il nome da adottare era stabilito nei 21 punti). Dopo un ulteriore tentativo fallito a Milano, le pressioni di Mosca, tuttavia, imposero la convocazione del XIX Congresso nel 1922 con il seguente ordine del giorno: "Situazione interna del Partito e sua attività politica nel Paese e nel Parlamento. Appoggio a indirizzo di Governo e partecipazione al potere nell’attuale regime". Fu quella l’occasione in cui i massimilisti decisero di espellere la corrente riformista e quella centrista in ossequio ai diktat della III Internazione ("Il partito socialista, eliminato dal suo seno il blocco riformista-centrista, rinnova la sua adesione alla III Internazionale").

Gli esiti del voto (32mila per i massimalisti contro 29mila per gli unitari) spaccarono irresonsabilmente il Partito a metà. Il dibattito si caratterizzò per le accuse contro i riformisti (e i loro interventi di difesa). Le prime critiche vennero già nella relazione del segretario Fioritto, il quale attribuì agli avversari interni la responsabilità dell’insuccesso dello sciopero generale del 30 luglio (uno sciopero politico per chiedere alle autorità di contrastare le violenze fasciste): "I riformisti (il gruppo dirigente della CGL, ndr), proclamando tale sciopero all’inizio della crisi e sospendendolo alla sua conclusione e definendolo legalitario, lo avevano fatto apparire al proletariato come uno strascico montecitoriale, snervando le masse più accese’’.

Dopo il segretario intervenne Giacinto Menotti Serrati, il vero leader della corrente: "Il nostro compito non è quello di aiutare la borghesia a risolvere la propria crisi, ma quello di trarre dalla crisi i vantaggi rivoluzionari". Per i riformisti Modigliani ironizzò: "Se i riformisti erano colpevoli di aver impedito la rivoluzione, non si dovrebbe dovuto aspettare tanto tempo per espellerli". Poi, l’oratore in polemica con Serrati – come risulta nei resoconti - negò l’esistenza di una crisi del sistema capitalista e borghese, sottolineando la necessità di distinguere fra ristretti gruppi plutocratici (…) e la borghesia democratica.

Il massimalista Lazzari, poi, preconizzò che al Partito si apriva un campo d’azione nuovo e illimitato; deplorò l’autonomia del gruppo parlamentare chiedendo una severa punizione per i deputati che avevano trasgredito. I massimalisti criticavano, in particolare, Filippo Turati perché aveva accettato l’invito del sovrano a recarsi al Quirinale per consultazioni. A nulla servirono le argomentazioni di Claudio Treves, il quale smentì che i riformisti volessero cercare una collaborazione permanente con altre forze con le quali, a suo avviso, sarebbe stata tuttavia possibile una alleanza temporanea per ‘’impedire che la reazione finisse per distruggere le conquiste e il patrimonio del proletariato’’. Dopo Giacomo Matteotti, era di nuovo intervenuto Serrati sostenendo che ‘’la logica del collaborazionismo avrebbe portato coloro che di esso si facevano fautori a collaborare col fascismo verso il quale andavano in quel momento le forze della borghesia’’. La mozione approvata riprendeva questo concetto e deliberava che ‘’tutti gli aderenti alla frazione collaborazionista e quanti approvano le direttive segnate nel manifesto e nella mozione anzidetta, sono espulsi dal Psi’’. Il discorso di addio venne svolto da Filippo Turati: ‘’Mentre noi ce ne andiamo rientra il comunismo’’.

A Turati rispose Serrati: ‘’Il discorso di Turati ha dimostrato quanto l’operazione fosse necessaria’’. La mattina dopo i riformisti si riunirono e fondarono il PSU, eleggendo segretario Giacomo Matteotti; intanto, il XIX Congresso proseguiva all’insegna del delirio e del compiacimento per la pur tardiva ‘’operazione chirurgica’’, avendo la ‘’malattia trascurata per un biennio provocato un danno incalcolabile all’organismo del Partito’’. Nel prosieguo del dibattito Giacinto Menotti Serrati fece notare – è scritto nel resoconto – che, indipendentemente dalla pressione reazionaria (tanti municipi governati dai socialisti erano stati attaccati e distrutti, ndr) il Partito non poteva più condividere le responsabilità politiche dei Comuni con i partiti estranei’’. Per quanto riguardava il sindacato, i Comitati sindacali socialisti erano invitati a portare avanti politiche ‘’per le quali il concetto di classe e di espropriazione economica e politica delle classi dominanti devono essere preminenti’’. Ma dove sta l’aspetto più tragico di quella vicenda? Il XIX congresso si svolse nei primi giorni del mese di ottobre; il 28 fu effettata la Marcia su Roma. In quegli stessi giorni Menotti partì per partecipare al IV Congresso dell’Internazionale comunista che iniziò a Pietroburgo il 5 novembre, portando con sé lo scalpo dei riformisti.

Anche i socialisti tedeschi non si accorsero che stava arrivando Hitler. Il leader dei nazisti ebbe l’incarico di formare un governo di coalizione il 30 gennaio del 1933. Su 11 ministri, solo due oltre al Cancelliere erano nazisti. La prise du pouvoir fu tanto veloce che gli avversari di Hitler fecero la fine di quel cavaliere che continuava a combattere senza rendersi conto di essere già deceduto. Il vice cancelliere Von Papen confidò ad un amico: ‘’Lo abbiamo ingaggiato; nel giro di qualche mese lo avremo stretto in un angolo fino a farlo schiattare’’. E si trovò ben presto a fare l’ambasciatore in Turchia (il destino ha voluto che la stessa sorte capitasse 35 anni dopo ad Alexander Dubcek). Ma le analisi dei socialdemocratici ricevettero smentite ancora più nette. Il 29 gennaio, un giorno prima di quello in cui Hitler ricevette l’incarico di formare il governo, avevano organizzato una grande manifestazione al grido di ‘’Berlino è rossa’’, mentre il giornale della socialdemocrazia, il ‘’Wortwars’’, scriveva: ‘’La Germania non è l’Italia, Berlino non è Roma, Hitler non è Mussolini (questa considerazione, in senso inverso e a pelosa difesa del Duce, l’abbiamo sentita troppe volte da noi, ndr). Sbaglia di grosso – continuava il giornale – chi ritiene che qualcuno possa imporre un regime dittatoriale sulla nazione tedesca’’.

Non era trascorso neppure un mese quando il 27 febbraio 1933 si verificò l’incendio del Reichstag (con aspetti mai chiariti del tutto come nella strage del Crocus City di Mosca), che fu denunciato da Hitler come un atto di terrorismo "che doveva inaugurare una insurrezione comunista". Il governo ne approfittò per varare un decreto esecutivo firmato da Hindenburg (detto il decreto dell’incendio del Reichstag) che cancellava le libertà democratiche e civili e consentiva arresti di massa in tutto il Paese. E che fu definito la Costituzione del nazismo.

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Nell’incipit del Monologo, censurato dalla Rai (a sentire lo scaricabarile dei vertici dell’azienda si direbbe che il censore sia stato un usciere di Viale Mazzini) Antonio Scurati racconta da par suo il martirio di Giacomo Matteotti di cui Mussolini, intervenendo alla Camera, si assunse "la responsabilità politica, morale e storica". Scurati ha voluto sottolineare – in prossimità del 25 Aprile – che il fascismo fu lungo tutta la sua esistenza storica - non soltanto alla fine (con le stragi compiute insieme ai nazisti nel 1944) o occasionalmente - un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista.

Magari un’altra volta lo scrittore farebbe un buon servizio alla memoria collettiva ricordando (perché non vi ricada quello di oggi) gli errori dell’antifascismo di quei tempi che concorsero alla presa del potere del ‘’figlio del secolo’’. Due anni prima di essere assassinato Giacomo Matteotti, insieme ai compagni della corrente riformista - come Filippo Turati, Claudio Treves, Camillo Prampolini ed altri - era stato espulso dal Psi. I riformisti avevano fondato il Psu di cui Matteotti era segretario. Perchè era avvenuta questa espulsione? Per obbedienza verso Mosca. Tra i 21 punti a cui i partiti erano obbligati per poter aderire alla Terza Internazionale comunista, istituita da Lenin, il secondo stabiliva che ‘’Qualsiasi organizzazione che voglia aderire all'Internazionale Comunista deve rimuovere, sistematicamente, i riformisti e i centristi da tutti gli incarichi di responsabilità all'interno del movimento operaio (organizzazioni di partito, comitati di redazione, sindacati, gruppi parlamentari, cooperative, organi di governo locali) e sostituirli con comunisti collaudati, anche se, soprattutto all'inizio, sarà necessario sostituire degli opportunisti "esperti" con dei semplici lavoratori di base’’ (queste parole saranno ripetute anche in tante altre occasioni successive e fino ai nostri giorni, ndr).

La maggioranza massimalista guidata da Giacinto Menotti Serrati aveva cercato di evitare il trauma di una scissione. Ma questo tergiversare aveva determinato la fuoriuscita, al Congresso di Livorno nel 1921, della frazione comunista con la costituzione del Partito comunista d’Italia (anche il nome da adottare era stabilito nei 21 punti). Dopo un ulteriore tentativo fallito a Milano, le pressioni di Mosca, tuttavia, imposero la convocazione del XIX Congresso nel 1922 con il seguente ordine del giorno: "Situazione interna del Partito e sua attività politica nel Paese e nel Parlamento. Appoggio a indirizzo di Governo e partecipazione al potere nell’attuale regime". Fu quella l’occasione in cui i massimilisti decisero di espellere la corrente riformista e quella centrista in ossequio ai diktat della III Internazione ("Il partito socialista, eliminato dal suo seno il blocco riformista-centrista, rinnova la sua adesione alla III Internazionale").

Gli esiti del voto (32mila per i massimalisti contro 29mila per gli unitari) spaccarono irresonsabilmente il Partito a metà. Il dibattito si caratterizzò per le accuse contro i riformisti (e i loro interventi di difesa). Le prime critiche vennero già nella relazione del segretario Fioritto, il quale attribuì agli avversari interni la responsabilità dell’insuccesso dello sciopero generale del 30 luglio (uno sciopero politico per chiedere alle autorità di contrastare le violenze fasciste): "I riformisti (il gruppo dirigente della CGL, ndr), proclamando tale sciopero all’inizio della crisi e sospendendolo alla sua conclusione e definendolo legalitario, lo avevano fatto apparire al proletariato come uno strascico montecitoriale, snervando le masse più accese’’.

Dopo il segretario intervenne Giacinto Menotti Serrati, il vero leader della corrente: "Il nostro compito non è quello di aiutare la borghesia a risolvere la propria crisi, ma quello di trarre dalla crisi i vantaggi rivoluzionari". Per i riformisti Modigliani ironizzò: "Se i riformisti erano colpevoli di aver impedito la rivoluzione, non si dovrebbe dovuto aspettare tanto tempo per espellerli". Poi, l’oratore in polemica con Serrati – come risulta nei resoconti - negò l’esistenza di una crisi del sistema capitalista e borghese, sottolineando la necessità di distinguere fra ristretti gruppi plutocratici (…) e la borghesia democratica.

Il massimalista Lazzari, poi, preconizzò che al Partito si apriva un campo d’azione nuovo e illimitato; deplorò l’autonomia del gruppo parlamentare chiedendo una severa punizione per i deputati che avevano trasgredito. I massimalisti criticavano, in particolare, Filippo Turati perché aveva accettato l’invito del sovrano a recarsi al Quirinale per consultazioni. A nulla servirono le argomentazioni di Claudio Treves, il quale smentì che i riformisti volessero cercare una collaborazione permanente con altre forze con le quali, a suo avviso, sarebbe stata tuttavia possibile una alleanza temporanea per ‘’impedire che la reazione finisse per distruggere le conquiste e il patrimonio del proletariato’’. Dopo Giacomo Matteotti, era di nuovo intervenuto Serrati sostenendo che ‘’la logica del collaborazionismo avrebbe portato coloro che di esso si facevano fautori a collaborare col fascismo verso il quale andavano in quel momento le forze della borghesia’’. La mozione approvata riprendeva questo concetto e deliberava che ‘’tutti gli aderenti alla frazione collaborazionista e quanti approvano le direttive segnate nel manifesto e nella mozione anzidetta, sono espulsi dal Psi’’. Il discorso di addio venne svolto da Filippo Turati: ‘’Mentre noi ce ne andiamo rientra il comunismo’’.

A Turati rispose Serrati: ‘’Il discorso di Turati ha dimostrato quanto l’operazione fosse necessaria’’. La mattina dopo i riformisti si riunirono e fondarono il PSU, eleggendo segretario Giacomo Matteotti; intanto, il XIX Congresso proseguiva all’insegna del delirio e del compiacimento per la pur tardiva ‘’operazione chirurgica’’, avendo la ‘’malattia trascurata per un biennio provocato un danno incalcolabile all’organismo del Partito’’. Nel prosieguo del dibattito Giacinto Menotti Serrati fece notare – è scritto nel resoconto – che, indipendentemente dalla pressione reazionaria (tanti municipi governati dai socialisti erano stati attaccati e distrutti, ndr) il Partito non poteva più condividere le responsabilità politiche dei Comuni con i partiti estranei’’. Per quanto riguardava il sindacato, i Comitati sindacali socialisti erano invitati a portare avanti politiche ‘’per le quali il concetto di classe e di espropriazione economica e politica delle classi dominanti devono essere preminenti’’. Ma dove sta l’aspetto più tragico di quella vicenda? Il XIX congresso si svolse nei primi giorni del mese di ottobre; il 28 fu effettata la Marcia su Roma. In quegli stessi giorni Menotti partì per partecipare al IV Congresso dell’Internazionale comunista che iniziò a Pietroburgo il 5 novembre, portando con sé lo scalpo dei riformisti.

Anche i socialisti tedeschi non si accorsero che stava arrivando Hitler. Il leader dei nazisti ebbe l’incarico di formare un governo di coalizione il 30 gennaio del 1933. Su 11 ministri, solo due oltre al Cancelliere erano nazisti. La prise du pouvoir fu tanto veloce che gli avversari di Hitler fecero la fine di quel cavaliere che continuava a combattere senza rendersi conto di essere già deceduto. Il vice cancelliere Von Papen confidò ad un amico: ‘’Lo abbiamo ingaggiato; nel giro di qualche mese lo avremo stretto in un angolo fino a farlo schiattare’’. E si trovò ben presto a fare l’ambasciatore in Turchia (il destino ha voluto che la stessa sorte capitasse 35 anni dopo ad Alexander Dubcek). Ma le analisi dei socialdemocratici ricevettero smentite ancora più nette. Il 29 gennaio, un giorno prima di quello in cui Hitler ricevette l’incarico di formare il governo, avevano organizzato una grande manifestazione al grido di ‘’Berlino è rossa’’, mentre il giornale della socialdemocrazia, il ‘’Wortwars’’, scriveva: ‘’La Germania non è l’Italia, Berlino non è Roma, Hitler non è Mussolini (questa considerazione, in senso inverso e a pelosa difesa del Duce, l’abbiamo sentita troppe volte da noi, ndr). Sbaglia di grosso – continuava il giornale – chi ritiene che qualcuno possa imporre un regime dittatoriale sulla nazione tedesca’’.

Non era trascorso neppure un mese quando il 27 febbraio 1933 si verificò l’incendio del Reichstag (con aspetti mai chiariti del tutto come nella strage del Crocus City di Mosca), che fu denunciato da Hitler come un atto di terrorismo "che doveva inaugurare una insurrezione comunista". Il governo ne approfittò per varare un decreto esecutivo firmato da Hindenburg (detto il decreto dell’incendio del Reichstag) che cancellava le libertà democratiche e civili e consentiva arresti di massa in tutto il Paese. E che fu definito la Costituzione del nazismo.

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Quando massimalisti e riformisti non videro arrivare l'onda nera. Manualetto per schivare gli stessi errori

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21.04.2024

Nell’incipit del Monologo, censurato dalla Rai (a sentire lo scaricabarile dei vertici dell’azienda si direbbe che il censore sia stato un usciere di Viale Mazzini) Antonio Scurati racconta da par suo il martirio di Giacomo Matteotti di cui Mussolini, intervenendo alla Camera, si assunse "la responsabilità politica, morale e storica". Scurati ha voluto sottolineare – in prossimità del 25 Aprile – che il fascismo fu lungo tutta la sua esistenza storica - non soltanto alla fine (con le stragi compiute insieme ai nazisti nel 1944) o occasionalmente - un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista.

Magari un’altra volta lo scrittore farebbe un buon servizio alla memoria collettiva ricordando (perché non vi ricada quello di oggi) gli errori dell’antifascismo di quei tempi che concorsero alla presa del potere del ‘’figlio del secolo’’. Due anni prima di essere assassinato Giacomo Matteotti, insieme ai compagni della corrente riformista - come Filippo Turati, Claudio Treves, Camillo Prampolini ed altri - era stato espulso dal Psi. I riformisti avevano fondato il Psu di cui Matteotti era segretario. Perchè era avvenuta questa espulsione? Per obbedienza verso Mosca. Tra i 21 punti a cui i partiti erano obbligati per poter aderire alla Terza Internazionale comunista, istituita da Lenin, il secondo stabiliva che ‘’Qualsiasi organizzazione che voglia aderire all'Internazionale Comunista deve rimuovere, sistematicamente, i riformisti e i centristi da tutti gli incarichi di responsabilità all'interno del movimento operaio (organizzazioni di partito, comitati di redazione, sindacati, gruppi parlamentari, cooperative, organi di governo locali) e sostituirli con comunisti collaudati, anche se, soprattutto all'inizio, sarà necessario sostituire degli opportunisti "esperti" con dei semplici lavoratori di base’’ (queste parole saranno ripetute anche in tante altre occasioni successive e fino ai nostri giorni, ndr).

La maggioranza massimalista guidata da Giacinto Menotti Serrati aveva cercato di evitare il trauma di una scissione. Ma questo tergiversare aveva determinato la fuoriuscita, al Congresso di Livorno nel 1921, della frazione comunista con la costituzione del Partito comunista d’Italia (anche il nome da adottare era stabilito nei 21 punti). Dopo un ulteriore tentativo fallito a Milano, le pressioni di Mosca, tuttavia, imposero la convocazione del XIX Congresso nel 1922 con il seguente ordine del giorno: "Situazione interna del Partito e sua attività politica nel Paese e nel Parlamento. Appoggio a indirizzo di Governo e partecipazione al potere nell’attuale regime". Fu quella l’occasione in cui i massimilisti decisero di espellere la corrente riformista e quella centrista in ossequio ai diktat della III Internazione ("Il partito socialista, eliminato dal suo seno il blocco riformista-centrista, rinnova la sua adesione alla III Internazionale").

Gli esiti del voto (32mila per i massimalisti contro 29mila per gli unitari) spaccarono irresonsabilmente il Partito a metà. Il dibattito si caratterizzò per le accuse contro i riformisti (e i loro interventi di difesa). Le prime critiche vennero già nella relazione del segretario Fioritto, il quale attribuì agli avversari interni la responsabilità dell’insuccesso dello sciopero generale del 30 luglio (uno sciopero politico per chiedere alle autorità di contrastare le violenze fasciste): "I riformisti (il gruppo dirigente della CGL, ndr), proclamando tale sciopero all’inizio della crisi e sospendendolo alla sua conclusione e definendolo legalitario, lo avevano fatto apparire al proletariato come uno strascico montecitoriale, snervando le masse più accese’’.

Dopo il segretario intervenne Giacinto Menotti Serrati, il vero leader della corrente: "Il nostro compito non è quello di aiutare la borghesia a risolvere la propria crisi, ma quello di trarre dalla crisi i vantaggi rivoluzionari". Per i riformisti Modigliani ironizzò: "Se i riformisti erano colpevoli di aver impedito la rivoluzione, non si dovrebbe dovuto aspettare tanto tempo per espellerli". Poi, l’oratore in polemica con Serrati – come risulta nei resoconti - negò l’esistenza di una crisi del sistema capitalista e borghese, sottolineando la necessità di distinguere fra ristretti gruppi plutocratici (…) e la borghesia democratica.

Il massimalista Lazzari, poi, preconizzò che al Partito si apriva un campo d’azione nuovo e illimitato; deplorò l’autonomia del gruppo parlamentare chiedendo una severa punizione per i deputati che avevano........

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