Ne hanno parlato tutti i media perché il ministro della salute Orazio Schillaci ha preso a cuore un tema che interessa i giovani e la salute mentale. Nella giornata mondiale per sensibilizzare la sicurezza in Rete sono stati diffusi dati inquietanti: la dipendenza da videogiochi interesserebbe 1 giovane su 10, ma temo che il dato sia sottostimato. Dovremmo considerare il tempo di connessione che ormai monopolizza le giornate, le pause, ogni momento libero. Basta guardarsi intorno. I nostri smartphone sono ormai onnipresenti.

Di fronte a quella che è stata definita una nuova emergenza sanitaria, la soluzione suggerita dal ministro rischia di essere inefficace e consiste nel chiedere ai colossi del web che gestiscono le piattaforme di inserire degli ‘avvisi’ e pop up sui rischi di dipendenza e sul tempo trascorso davanti allo schermo? Purtroppo, la letteratura ci dice che questo è un ‘pannicello caldo’. La maggior parte degli avvisi, infatti, viene ignorato da chi sta utilizzando un dispositivo o uno strumento. È come i cartelli dei limiti di velocità, stanno lì ma il numero di multe e la recente questione degli autovelox, ci dicono che le persone non sono disposte a rispettare i limiti.

Diverse ricerche hanno rivelato che rispetto al cartello statico e impersonale, sono molto più efficaci nell’indurre a moderare la velocità, i rilevatori che dicono al guidatore a quanto stanno andando in quel momento e lo esortano a moderare la velocità, esibendo un sorriso a led quando ciò avviene (in alcuni casi appare anche un bel ‘grazie’). Ehi, guidatore sto parlando proprio a te…

Nel caso delle immagini shock sui pacchetti di sigarette, ormai sappiamo che non hanno alcuna funzione deterrente e il nostro cervello le ignora. Nell’esperienza degli esperti di tabagismo le immagini non hanno fatto smettere di fumare nessuno, così come i messaggi negativi. Siamo abituati a ignorare ciò che non ci è gradito. Più opportuno sarebbe invece, lavorare sulla motivazione, puntando su messaggi sui vantaggi della cessazione. La psicologia cognitiva ci dice che il modo di presentare lo stesso messaggio può cambiare la reazione e il comportamento.

Il fatto è che la visione dei contenuti in Rete e in particolare sui social è sempre più coinvolgente e rapida, la selezione è fatta in pochi decimi di secondo. L’opzione è continuare a guardare, o passare oltre. Immaginate che la maggior parte delle piattaforme prediligono i profili in cui l’utente si ferma per un certo numero di secondi, e sono una scarsa percentuale perché non c’è tempo per fruire di tutto.

È una forma di consumo compulsivo in cui non vogliamo perderci nulla, è una sorta di ‘binge’, una abbuffata come quella da alcol del sabato sera, vedere, consumare il più possibile in meno tempo possibile. I video e i contenuti sono sempre più brevi ed efficaci, degli articoli le persone leggono a malapena il titolo e si formano una opinione. La Rete e i social hanno inaugurato l’era della superficialità.

Con la proposta del ministro l’utente clicca sul pop up, lo chiude e prosegue la navigazione indisturbato, mentre l’azienda continua a guadagnare. Più efficace potrebbe essere aumentare il tempo di visione di un contenuto senza la possibilità di andare oltre, che so, 20 o 30 secondi, questo rallenta la velocità di consumo e diminuisce il rischio di consumo binge, compulsivo.

Dopo un certo limite di utilizzo, negli utenti a ‘rischio’, nei minori o comunque nei contenuti ludici come i social, i giochi o, mi voglio spingere oltre, la pornografia, la navigazione va bloccata per qualche minuto, in modo tale che l’utente possa fare una pausa mentale, alzarsi, impegnarsi in un’altra occupazione. Tre o cinque minuti in cui inserire contenuti salutari o consigli, in cui l’abbuffata viene spezzata. Se interrompono la visione per inserire la pubblicità, perché non farlo per il bene degli utilizzatori?

Qualcuno potrebbe obiettare che le piattaforme non hanno interesse a farlo, potrei rispondere che dovrebbero iniziare ad avere non solo uno scopo di lucro, ma anche una responsabilità nei confronti dei loro utenti, che potrebbero spendere sul mercato in modo etico. Guadagnare senza rispetto per gli effetti sulle persone non può essere un obiettivo consentito. E l’adozione di misure a protezione degli utenti potrebbe avere come contraltare benefici.

Il ministro cita un sondaggio in cui 7 utenti su 10 sarebbero favorevoli a un sistema di autospegnimento, una testimonianza del fatto che le persone sono consapevoli e hanno bisogno di un aiuto, una spinta gentile, per limitarsi. Nelle pause niente pubblicità ma musica o messaggi rilassanti, consigli di respirazione. Il timore di risultare ‘proibizionista’ così è scongiurato, si tratta di proteggere le persone da un uso incontrollato.

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Ne hanno parlato tutti i media perché il ministro della salute Orazio Schillaci ha preso a cuore un tema che interessa i giovani e la salute mentale. Nella giornata mondiale per sensibilizzare la sicurezza in Rete sono stati diffusi dati inquietanti: la dipendenza da videogiochi interesserebbe 1 giovane su 10, ma temo che il dato sia sottostimato. Dovremmo considerare il tempo di connessione che ormai monopolizza le giornate, le pause, ogni momento libero. Basta guardarsi intorno. I nostri smartphone sono ormai onnipresenti.

Di fronte a quella che è stata definita una nuova emergenza sanitaria, la soluzione suggerita dal ministro rischia di essere inefficace e consiste nel chiedere ai colossi del web che gestiscono le piattaforme di inserire degli ‘avvisi’ e pop up sui rischi di dipendenza e sul tempo trascorso davanti allo schermo? Purtroppo, la letteratura ci dice che questo è un ‘pannicello caldo’. La maggior parte degli avvisi, infatti, viene ignorato da chi sta utilizzando un dispositivo o uno strumento. È come i cartelli dei limiti di velocità, stanno lì ma il numero di multe e la recente questione degli autovelox, ci dicono che le persone non sono disposte a rispettare i limiti.

Diverse ricerche hanno rivelato che rispetto al cartello statico e impersonale, sono molto più efficaci nell’indurre a moderare la velocità, i rilevatori che dicono al guidatore a quanto stanno andando in quel momento e lo esortano a moderare la velocità, esibendo un sorriso a led quando ciò avviene (in alcuni casi appare anche un bel ‘grazie’). Ehi, guidatore sto parlando proprio a te…

Nel caso delle immagini shock sui pacchetti di sigarette, ormai sappiamo che non hanno alcuna funzione deterrente e il nostro cervello le ignora. Nell’esperienza degli esperti di tabagismo le immagini non hanno fatto smettere di fumare nessuno, così come i messaggi negativi. Siamo abituati a ignorare ciò che non ci è gradito. Più opportuno sarebbe invece, lavorare sulla motivazione, puntando su messaggi sui vantaggi della cessazione. La psicologia cognitiva ci dice che il modo di presentare lo stesso messaggio può cambiare la reazione e il comportamento.

Il fatto è che la visione dei contenuti in Rete e in particolare sui social è sempre più coinvolgente e rapida, la selezione è fatta in pochi decimi di secondo. L’opzione è continuare a guardare, o passare oltre. Immaginate che la maggior parte delle piattaforme prediligono i profili in cui l’utente si ferma per un certo numero di secondi, e sono una scarsa percentuale perché non c’è tempo per fruire di tutto.

È una forma di consumo compulsivo in cui non vogliamo perderci nulla, è una sorta di ‘binge’, una abbuffata come quella da alcol del sabato sera, vedere, consumare il più possibile in meno tempo possibile. I video e i contenuti sono sempre più brevi ed efficaci, degli articoli le persone leggono a malapena il titolo e si formano una opinione. La Rete e i social hanno inaugurato l’era della superficialità.

Con la proposta del ministro l’utente clicca sul pop up, lo chiude e prosegue la navigazione indisturbato, mentre l’azienda continua a guadagnare. Più efficace potrebbe essere aumentare il tempo di visione di un contenuto senza la possibilità di andare oltre, che so, 20 o 30 secondi, questo rallenta la velocità di consumo e diminuisce il rischio di consumo binge, compulsivo.

Dopo un certo limite di utilizzo, negli utenti a ‘rischio’, nei minori o comunque nei contenuti ludici come i social, i giochi o, mi voglio spingere oltre, la pornografia, la navigazione va bloccata per qualche minuto, in modo tale che l’utente possa fare una pausa mentale, alzarsi, impegnarsi in un’altra occupazione. Tre o cinque minuti in cui inserire contenuti salutari o consigli, in cui l’abbuffata viene spezzata. Se interrompono la visione per inserire la pubblicità, perché non farlo per il bene degli utilizzatori?

Qualcuno potrebbe obiettare che le piattaforme non hanno interesse a farlo, potrei rispondere che dovrebbero iniziare ad avere non solo uno scopo di lucro, ma anche una responsabilità nei confronti dei loro utenti, che potrebbero spendere sul mercato in modo etico. Guadagnare senza rispetto per gli effetti sulle persone non può essere un obiettivo consentito. E l’adozione di misure a protezione degli utenti potrebbe avere come contraltare benefici.

Il ministro cita un sondaggio in cui 7 utenti su 10 sarebbero favorevoli a un sistema di autospegnimento, una testimonianza del fatto che le persone sono consapevoli e hanno bisogno di un aiuto, una spinta gentile, per limitarsi. Nelle pause niente pubblicità ma musica o messaggi rilassanti, consigli di respirazione. Il timore di risultare ‘proibizionista’ così è scongiurato, si tratta di proteggere le persone da un uso incontrollato.

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Per risolvere la dipendenza dal web, avvisi e pop up sono inefficaci

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08.02.2024

Ne hanno parlato tutti i media perché il ministro della salute Orazio Schillaci ha preso a cuore un tema che interessa i giovani e la salute mentale. Nella giornata mondiale per sensibilizzare la sicurezza in Rete sono stati diffusi dati inquietanti: la dipendenza da videogiochi interesserebbe 1 giovane su 10, ma temo che il dato sia sottostimato. Dovremmo considerare il tempo di connessione che ormai monopolizza le giornate, le pause, ogni momento libero. Basta guardarsi intorno. I nostri smartphone sono ormai onnipresenti.

Di fronte a quella che è stata definita una nuova emergenza sanitaria, la soluzione suggerita dal ministro rischia di essere inefficace e consiste nel chiedere ai colossi del web che gestiscono le piattaforme di inserire degli ‘avvisi’ e pop up sui rischi di dipendenza e sul tempo trascorso davanti allo schermo? Purtroppo, la letteratura ci dice che questo è un ‘pannicello caldo’. La maggior parte degli avvisi, infatti, viene ignorato da chi sta utilizzando un dispositivo o uno strumento. È come i cartelli dei limiti di velocità, stanno lì ma il numero di multe e la recente questione degli autovelox, ci dicono che le persone non sono disposte a rispettare i limiti.

Diverse ricerche hanno rivelato che rispetto al cartello statico e impersonale, sono molto più efficaci nell’indurre a moderare la velocità, i rilevatori che dicono al guidatore a quanto stanno andando in quel momento e lo esortano a moderare la velocità, esibendo un sorriso a led quando ciò avviene (in alcuni casi appare anche un bel ‘grazie’). Ehi, guidatore sto parlando proprio a te…

Nel caso delle immagini shock sui pacchetti di sigarette, ormai sappiamo che non hanno alcuna funzione deterrente e il nostro cervello le ignora. Nell’esperienza degli esperti di tabagismo le immagini non hanno fatto smettere di fumare nessuno, così come i messaggi negativi. Siamo abituati a ignorare ciò che non ci è gradito. Più opportuno sarebbe invece, lavorare sulla motivazione, puntando su messaggi sui vantaggi della cessazione. La psicologia cognitiva ci dice che il modo di presentare lo stesso messaggio può cambiare la reazione e il comportamento.

Il fatto è che la visione dei contenuti in Rete e in particolare sui social è sempre più coinvolgente e rapida, la selezione è fatta in pochi decimi di secondo. L’opzione è continuare a guardare, o passare oltre. Immaginate che la maggior parte delle........

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