A scuola o sul lavoro la nuova forma di esaurimento è la noia. Ad Angelina Mango è valsa la vittoria del Festival di Sanremo, ma la noia può portare allo sfinimento tanto quanto lo stress più frenetico, e al suo figlio legittimo, il burnout. Ci hanno detto che l’eccellenza si ottiene con 10mila ore di pratica deliberata e la prescrizione è diventata virale, come i 10mila passi al giorno per mantenere la salute.

‘Funzionano’ le prescrizioni facili da ricordare e semplici, ma non sempre si rivelano vere. Il numero di ore di esercizio per raggiungere (o mantenere) l’eccellenza, infatti, è variabile e varia sia a seconda della persona che dell’attività.

Se è vero che una pratica deliberata, intenzionale e regolare funziona, è altrettanto vero che potrebbe avere un lato oscuro: essere così estenuante, ripetitiva e noiosa da determinare un vero e proprio esaurimento. Gli anglosassoni lo hanno chiamato ‘boreout’ che scimmiotta il ‘burnout’.

Oltre a questo, si è visto che oltre a un certo limite, un maggiore numero di ore non porta necessariamente a risultati migliori. Stanchezza e noia sono un ostacolo molto alto alla crescita e all’apprendimento. Se si è annientati emotivamente e privi di stimoli, è difficile pensare di avere risultati positivi.

Il termine sembra essere stato coniato da due consulenti svizzeri, Peter Werder e Philippe Rothlin e indica il senso soverchiante di noia e la mancanza di aspettative o prospettive. Il che non significa che si stia con le mani in mano, anzi, il più delle volte c’è un sovraccarico di incombenze ma che non portano né ad una crescita personale né professionale. Il lavoratore o lo studente non è troppo diverso dal noto criceto sulla ruota che corre senza arrivare mai.

Entrambe le condizioni hanno però un elemento in comune: la mancanza di controllo, sentire di non poter scegliere, di non poter decidere né gli obiettivi né le scadenze. Sei solo un ingranaggio di un meccanismo che non sa nemmeno che esisti. La quantità di lavoro non è rilevante, è l’effetto emotivo di aver perso il senso, la direzione, quella che si chiama ‘agency’. È un concetto estremamente affascinante ed attiene a quanto noi e le nostre azioni possiamo influire su ciò che ci circonda.

Il ‘boreout’ in particolare (mi spiace, non esiste un termine efficace per tradurlo) entra in gioco quando il soggetto è sotto stimolato, e il risultato è un senso di vuoto e sfinimento.

E lo sfinimento per noi è paradossalmente più frequente in coloro che hanno una passione che sfiora l’ossessione.

Noia, disimpegno, insoddisfazione di fronte a compiti che non hanno più senso o ne hanno uno limitato o materiale come guadagnare di più. È la trappola degli obiettivi di budget, sempre più alti, sempre più irraggiungibili.

Ma il boreout se riconosciuto può essere una sfida e un'opportunità, per comprendere le priorità e bisogni da parte dei datori di lavoro, per introdurre nuove strategie che prevedono creatività, coinvolgimento dei dipendenti, valorizzazione dei talenti.

Forse non è un caso che ne facciano le spese i lavoratori più giovani, sino a 35 anni, sovra stimolati online ma che non trovano forse la stessa motivazione nel mondo reale, e le cui aspettative hanno subito un duro colpo, off-line, e che sono quelli più a rischio di abbandono dei posti di lavoro. Non è un caso che un'indagine sui direttori del personale ha svelato che nel 74% degli intervistati la preoccupazione maggiore è la salute mentale dei dipendenti.

Insomma, la noia può essere un momento di vuoto, un terreno su cui coltivare nuovi progetti e idee purché non ci porti a languire e affondare nelle sabbie paludose e stagnanti della mancanza di senso.

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A scuola o sul lavoro la nuova forma di esaurimento è la noia. Ad Angelina Mango è valsa la vittoria del Festival di Sanremo, ma la noia può portare allo sfinimento tanto quanto lo stress più frenetico, e al suo figlio legittimo, il burnout. Ci hanno detto che l’eccellenza si ottiene con 10mila ore di pratica deliberata e la prescrizione è diventata virale, come i 10mila passi al giorno per mantenere la salute.

‘Funzionano’ le prescrizioni facili da ricordare e semplici, ma non sempre si rivelano vere. Il numero di ore di esercizio per raggiungere (o mantenere) l’eccellenza, infatti, è variabile e varia sia a seconda della persona che dell’attività.

Se è vero che una pratica deliberata, intenzionale e regolare funziona, è altrettanto vero che potrebbe avere un lato oscuro: essere così estenuante, ripetitiva e noiosa da determinare un vero e proprio esaurimento. Gli anglosassoni lo hanno chiamato ‘boreout’ che scimmiotta il ‘burnout’.

Oltre a questo, si è visto che oltre a un certo limite, un maggiore numero di ore non porta necessariamente a risultati migliori. Stanchezza e noia sono un ostacolo molto alto alla crescita e all’apprendimento. Se si è annientati emotivamente e privi di stimoli, è difficile pensare di avere risultati positivi.

Il termine sembra essere stato coniato da due consulenti svizzeri, Peter Werder e Philippe Rothlin e indica il senso soverchiante di noia e la mancanza di aspettative o prospettive. Il che non significa che si stia con le mani in mano, anzi, il più delle volte c’è un sovraccarico di incombenze ma che non portano né ad una crescita personale né professionale. Il lavoratore o lo studente non è troppo diverso dal noto criceto sulla ruota che corre senza arrivare mai.

Entrambe le condizioni hanno però un elemento in comune: la mancanza di controllo, sentire di non poter scegliere, di non poter decidere né gli obiettivi né le scadenze. Sei solo un ingranaggio di un meccanismo che non sa nemmeno che esisti. La quantità di lavoro non è rilevante, è l’effetto emotivo di aver perso il senso, la direzione, quella che si chiama ‘agency’. È un concetto estremamente affascinante ed attiene a quanto noi e le nostre azioni possiamo influire su ciò che ci circonda.

Il ‘boreout’ in particolare (mi spiace, non esiste un termine efficace per tradurlo) entra in gioco quando il soggetto è sotto stimolato, e il risultato è un senso di vuoto e sfinimento.

E lo sfinimento per noi è paradossalmente più frequente in coloro che hanno una passione che sfiora l’ossessione.

Noia, disimpegno, insoddisfazione di fronte a compiti che non hanno più senso o ne hanno uno limitato o materiale come guadagnare di più. È la trappola degli obiettivi di budget, sempre più alti, sempre più irraggiungibili.

Ma il boreout se riconosciuto può essere una sfida e un'opportunità, per comprendere le priorità e bisogni da parte dei datori di lavoro, per introdurre nuove strategie che prevedono creatività, coinvolgimento dei dipendenti, valorizzazione dei talenti.

Forse non è un caso che ne facciano le spese i lavoratori più giovani, sino a 35 anni, sovra stimolati online ma che non trovano forse la stessa motivazione nel mondo reale, e le cui aspettative hanno subito un duro colpo, off-line, e che sono quelli più a rischio di abbandono dei posti di lavoro. Non è un caso che un'indagine sui direttori del personale ha svelato che nel 74% degli intervistati la preoccupazione maggiore è la salute mentale dei dipendenti.

Insomma, la noia può essere un momento di vuoto, un terreno su cui coltivare nuovi progetti e idee purché non ci porti a languire e affondare nelle sabbie paludose e stagnanti della mancanza di senso.

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Se a sfinirci è la noia

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10.04.2024

A scuola o sul lavoro la nuova forma di esaurimento è la noia. Ad Angelina Mango è valsa la vittoria del Festival di Sanremo, ma la noia può portare allo sfinimento tanto quanto lo stress più frenetico, e al suo figlio legittimo, il burnout. Ci hanno detto che l’eccellenza si ottiene con 10mila ore di pratica deliberata e la prescrizione è diventata virale, come i 10mila passi al giorno per mantenere la salute.

‘Funzionano’ le prescrizioni facili da ricordare e semplici, ma non sempre si rivelano vere. Il numero di ore di esercizio per raggiungere (o mantenere) l’eccellenza, infatti, è variabile e varia sia a seconda della persona che dell’attività.

Se è vero che una pratica deliberata, intenzionale e regolare funziona, è altrettanto vero che potrebbe avere un lato oscuro: essere così estenuante, ripetitiva e noiosa da determinare un vero e proprio esaurimento. Gli anglosassoni lo hanno chiamato ‘boreout’ che scimmiotta il ‘burnout’.

Oltre a questo, si è visto che oltre a un certo limite, un maggiore numero di ore non porta necessariamente a risultati migliori. Stanchezza e noia sono un ostacolo molto alto alla crescita e all’apprendimento. Se si è annientati emotivamente e privi di stimoli, è difficile pensare di avere risultati positivi.

Il termine sembra essere stato coniato da due consulenti svizzeri, Peter Werder e Philippe Rothlin e indica il senso soverchiante di noia e la mancanza di aspettative o prospettive. Il che non significa che si stia con le mani in mano, anzi, il più delle volte c’è un sovraccarico di incombenze ma che non portano né ad una crescita personale né professionale. Il lavoratore o lo studente non è troppo diverso dal noto criceto sulla ruota che corre senza arrivare mai.

Entrambe le condizioni hanno però un elemento in comune: la mancanza di controllo, sentire di non poter scegliere, di non poter decidere né gli obiettivi né le scadenze. Sei solo un ingranaggio di un meccanismo che........

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