Lo hai mai fatto? Hai diffuso foto intime di qualcuno senza il suo consenso? Hai mai creato un profilo social falso per controllare la tua partner? Hai mai chiesto la geolocalizzazione al tuo partner per sapere dove fosse? Lo sai che anche queste sono forme di violenza?

Queste domande sono da tempo al centro degli studi condotti da Save the Children in collaborazione con IPSOS ed esitate nel rapporto “Le ragazze stanno bene? Indagine sulla violenza di genere onlife in adolescenza”. Secondo l’indagine il 65% degli adolescenti ha dichiarato di essersi sentito controllato dal partner almeno una volta, il 30% sostiene che la gelosia sia un segno d’amore, mentre per il 21% condividere la password dei social e dei dispositivi con il partner sia una prova d’amore. Il 17% delle ragazze e dei ragazzi pensa inoltre che in una relazione intima possa verificarsi uno schiaffo ogni tanto.

Non solo dati, ma segnali d’allarme che non si possono ignorare, specie rispetto all’On-life, di cui il filosofo Luciano Floridi è assertore, avendo scritto a lungo del confine ormai impossibile da tracciare tra la vita on line e quella off line, un continuum non solo temporale, ma una percezione dell’esistenza in cui reale e virtuale si confondono. La storia pandemica ha reso ancora più veloce questo processo irreversibile di avvicinamento dei minori alla tecnologia, con il conseguente proliferare di dinamiche all’interno delle quali i minori sono vittime e carnefici. La trasformazione di Internet, da luogo dove cercare informazioni a luogo non fisico dove ‘essere’ presenti con il proprio nome, la propria identità, le immagini private, le storie del quotidiano, ha rapidamente condotto tutti, giovani e meno giovani, a fare i conti con una comunicazione globale e una dimensione sociale impalpabile. Insomma dating e riservatezza dei dati.

Come non considerare poi nel paniere, il caso delle nuove prove d’amore digitali - scrive l’Autorità Garante Guido Scorza – che hanno una costante: non provano l’amore ma, al massimo, la sua mancanza. La più comune inizia così: “Mi manchi, dai, se mi ami mandami una tua foto intima”. Spesso in un linguaggio diverso da questo e magari con ulteriori pretese. La richiesta, in genere, è seguita da una promessa: “terrò per noi e solo per noi quello che mi mandi”. Ma, poi, si sa come vanno alcune storie d’amore: talvolta finiscono ed è difficile che ci si continui a rispettare. E, allora, capita che quei video, quelle foto, quelle risate ammiccanti prendano direzioni inimmaginabili, finiscano in una chat popolata da amici o sedicenti tali o, magari sui social, o magari su siti porno, in cambio di altre foto. Inutile attardarsi a raccontare quale possa essere l’impatto nella vita di una ragazzina o di un ragazzino se una sua foto o un suo video sessualmente espliciti diventano pubblici perché è facile da immaginare. Relazioni ricorsive, su cui il Garante ha esortato tutti a prestare attenzione, iniziando col tenere per se le password.

Il revenge porn si nasconde infatti dietro l’angolo, così come una carrellata di altri reati, ma per cui gli adolescenti hanno sottolineato esserci misure utili, come chiamare il numero verde in caso di violenza (42%); seguire programmi di sensibilizzazione per le scuole che coinvolgano insegnanti, studenti e famigliari (36%); la migliore conoscenza delle procedure di segnalazione (33%); gli sportelli di aiuto scolastici (32%).

Le storie di violenza sono online e offline, atteggiamenti oppressivi normalizzati, modelli maschili e femminili fortemente stereotipati. Il 52% degli adolescenti in coppia dichiara infine di aver subìto, almeno una volta, comportamenti violenti, ma contestualmente si dichiara interessato ad approfondire le tematiche di genere e questa può essere la chiave d’accesso, il primo passo infatti per rimuovere la violenza è riconoscerla e denunciarla e i percorsi scolastici sono strumenti necessari per la costruzione di una nuova cultura di genere.

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Lo hai mai fatto? Hai diffuso foto intime di qualcuno senza il suo consenso? Hai mai creato un profilo social falso per controllare la tua partner? Hai mai chiesto la geolocalizzazione al tuo partner per sapere dove fosse? Lo sai che anche queste sono forme di violenza?

Queste domande sono da tempo al centro degli studi condotti da Save the Children in collaborazione con IPSOS ed esitate nel rapporto “Le ragazze stanno bene? Indagine sulla violenza di genere onlife in adolescenza”. Secondo l’indagine il 65% degli adolescenti ha dichiarato di essersi sentito controllato dal partner almeno una volta, il 30% sostiene che la gelosia sia un segno d’amore, mentre per il 21% condividere la password dei social e dei dispositivi con il partner sia una prova d’amore. Il 17% delle ragazze e dei ragazzi pensa inoltre che in una relazione intima possa verificarsi uno schiaffo ogni tanto.

Non solo dati, ma segnali d’allarme che non si possono ignorare, specie rispetto all’On-life, di cui il filosofo Luciano Floridi è assertore, avendo scritto a lungo del confine ormai impossibile da tracciare tra la vita on line e quella off line, un continuum non solo temporale, ma una percezione dell’esistenza in cui reale e virtuale si confondono. La storia pandemica ha reso ancora più veloce questo processo irreversibile di avvicinamento dei minori alla tecnologia, con il conseguente proliferare di dinamiche all’interno delle quali i minori sono vittime e carnefici. La trasformazione di Internet, da luogo dove cercare informazioni a luogo non fisico dove ‘essere’ presenti con il proprio nome, la propria identità, le immagini private, le storie del quotidiano, ha rapidamente condotto tutti, giovani e meno giovani, a fare i conti con una comunicazione globale e una dimensione sociale impalpabile. Insomma dating e riservatezza dei dati.

Come non considerare poi nel paniere, il caso delle nuove prove d’amore digitali - scrive l’Autorità Garante Guido Scorza – che hanno una costante: non provano l’amore ma, al massimo, la sua mancanza. La più comune inizia così: “Mi manchi, dai, se mi ami mandami una tua foto intima”. Spesso in un linguaggio diverso da questo e magari con ulteriori pretese. La richiesta, in genere, è seguita da una promessa: “terrò per noi e solo per noi quello che mi mandi”. Ma, poi, si sa come vanno alcune storie d’amore: talvolta finiscono ed è difficile che ci si continui a rispettare. E, allora, capita che quei video, quelle foto, quelle risate ammiccanti prendano direzioni inimmaginabili, finiscano in una chat popolata da amici o sedicenti tali o, magari sui social, o magari su siti porno, in cambio di altre foto. Inutile attardarsi a raccontare quale possa essere l’impatto nella vita di una ragazzina o di un ragazzino se una sua foto o un suo video sessualmente espliciti diventano pubblici perché è facile da immaginare. Relazioni ricorsive, su cui il Garante ha esortato tutti a prestare attenzione, iniziando col tenere per se le password.

Il revenge porn si nasconde infatti dietro l’angolo, così come una carrellata di altri reati, ma per cui gli adolescenti hanno sottolineato esserci misure utili, come chiamare il numero verde in caso di violenza (42%); seguire programmi di sensibilizzazione per le scuole che coinvolgano insegnanti, studenti e famigliari (36%); la migliore conoscenza delle procedure di segnalazione (33%); gli sportelli di aiuto scolastici (32%).

Le storie di violenza sono online e offline, atteggiamenti oppressivi normalizzati, modelli maschili e femminili fortemente stereotipati. Il 52% degli adolescenti in coppia dichiara infine di aver subìto, almeno una volta, comportamenti violenti, ma contestualmente si dichiara interessato ad approfondire le tematiche di genere e questa può essere la chiave d’accesso, il primo passo infatti per rimuovere la violenza è riconoscerla e denunciarla e i percorsi scolastici sono strumenti necessari per la costruzione di una nuova cultura di genere.

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Lo hai mai fatto? Privacy e violenza di genere nelle coppie di adolescenti

6 1
14.02.2024

Lo hai mai fatto? Hai diffuso foto intime di qualcuno senza il suo consenso? Hai mai creato un profilo social falso per controllare la tua partner? Hai mai chiesto la geolocalizzazione al tuo partner per sapere dove fosse? Lo sai che anche queste sono forme di violenza?

Queste domande sono da tempo al centro degli studi condotti da Save the Children in collaborazione con IPSOS ed esitate nel rapporto “Le ragazze stanno bene? Indagine sulla violenza di genere onlife in adolescenza”. Secondo l’indagine il 65% degli adolescenti ha dichiarato di essersi sentito controllato dal partner almeno una volta, il 30% sostiene che la gelosia sia un segno d’amore, mentre per il 21% condividere la password dei social e dei dispositivi con il partner sia una prova d’amore. Il 17% delle ragazze e dei ragazzi pensa inoltre che in una relazione intima possa verificarsi uno schiaffo ogni tanto.

Non solo dati, ma segnali d’allarme che non si possono ignorare, specie rispetto all’On-life, di cui il filosofo Luciano Floridi è assertore, avendo scritto a lungo del confine ormai impossibile da tracciare tra la vita on line e quella off line, un continuum non solo temporale, ma una percezione dell’esistenza in cui reale e virtuale si confondono. La storia pandemica ha reso ancora più veloce questo processo irreversibile di avvicinamento dei minori alla tecnologia, con il conseguente proliferare di dinamiche all’interno delle quali i minori sono vittime e carnefici. La trasformazione di Internet, da luogo dove cercare informazioni a luogo non fisico dove ‘essere’ presenti con il proprio nome, la propria identità, le immagini private, le storie del quotidiano, ha rapidamente condotto tutti, giovani e meno giovani, a fare i conti con una comunicazione globale e una dimensione sociale impalpabile. Insomma dating e riservatezza dei dati.

Come non considerare poi nel paniere, il caso delle nuove prove d’amore digitali - scrive l’Autorità Garante Guido Scorza – che hanno una costante: non provano l’amore ma,........

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