Guardate, da qui posso vederla. Dal terrazzo di casa mia, sullo Stretto (sponda siciliana, costa di Messina). La vedo a tutte le ore del giorno, e – prodigio – persino di notte. E’ lì da anni: spessa, fitta, nera come il buio, come la bocca di Scilla, come la pancia di Cariddi. L’ombra del Ponte sullo Stretto. Nutrita, negli anni (tanti, tanti anni) di qualsiasi cosa: per lo più ego di politici, localissimi, locali o nazionali, e persino alcuni premier, di quelli che amavano le scenografie grandiose e gli annunci cinematografici (ogni riferimento è fortemente voluto). E modellini e grafici, antenati dei moderni rendering (alcuni davvero fantasiosi, che l’AI ci invidierebbe). E, soprattutto, chiacchiere, tonnellate di chiacchiere. Promesse sfavillanti, distrazioni di massa, fantascienza elettorale. Ma anche, intendiamoci, serissimi elaborati, un po’ vecchi ma che diamine, non starete a guardare il capello, fra poco avremo tutto e poi vedrete, che roba avveniristica (dopotutto, un ponte così lungo a una sola campata, con tanto di ferrovia, non esiste ancora, al mondo).

Da pochi giorni c’è pure la cosa più temuta, anche se negli anni era diventata mitologica e remota, come tutta la faccenda Ponte: la mappa degli espropri. Che non riguarderebbero solo “un pugno di villette e seconde case” (questo era fino a ieri l’immaginario più diffuso, alimentato ad arte dalla disinformazione propagandistica: tranquilli, ci andrà di mezzo solo un villaggio di pescatori e di ricconi con seconde case, vicino alla spiaggia, mica interi territori, in Calabria e Sicilia…). Per tacere della preoccupazione sempiterna: ma le mafie, quanto ci metteranno le zampe?
Ecco, di tale materia instabile ma vischiosa è fatta quest’ombra gigantesca. Sotto la quale, nei decenni, la città di Messina e il territorio tutto dello Stretto hanno continuato a vivacchiare come si fa da queste parti: mancando di tutto e facendosi bastare sempre meno. Accettando strade e collegamenti inaccettabili, reti idriche colabrodo, ferrovie a un solo binario, per restare in tema trasporti (sì, vi confermo che da Messina a Trapani, 330 km, puoi arrivare, con due treni e un autobus, in 9 ore e mezza, mentre a Ragusa, 200 km, ce la fai in meno di 8 ore, dai). E un turismo di quartiere, per lo più parenti che tornano d’estate (pensa che roba, per quella che è stata eletta l’anno scorso da National Geographic la “spiaggia più bella d’Italia”, dico la spiaggia di Capo Peloro, proprio dove torreggia uno dei due piloni dismessi, nel punto più stretto dello Stretto).

Ora qui suonano la fanfara: si sentono chiaramente le parole “sviluppo”, “sfida”, “progresso”. E i più entusiasti, guarda i casi della vita, sono proprio taluni che fino a pochissimi anni fa ridevano del Ponte e dicevano (testuale): “Quei soldi usiamoli per sistemare le scuole” (o anche la sanità che cade a pezzi, aggiungeremmo oggi noi). Anche perché era lontanuccio, il Ponte, dalla patria Padania.
Ora invece proprio quelli, colti da subitaneo innamoramento per il Sud e le sue sorti, sentono un bisogno assoluto di creare il famoso corridoio Helsinki-Palermo. E noi che volevamo solo arrivare un po’ prima a Marsala, magari con autostrade messe un po’ meglio e treni più veloci (sapete dove si ferma l’Alta Velocità?).
Non parliamo poi dei dubbi, di ogni genere: quelli tecnici (domande ancora aperte, le famose 68 “considerazioni, osservazioni e raccomandazioni” del Comitato scientifico, che ha dato “parere positivo sulla Relazione del Progettista, fatte salve le considerazioni, osservazioni e raccomandazioni”. Che riguardano, tra l’altro, sismicità, prove del vento, materiali. La ricerca degli ultimi vent’anni. Fatte salve), quelli ambientali (territori fragili, ecosistemi specialissimi), quelli umani e sociali (i costi degli espropri e di tutto il riassetto del territorio non sono solo individuali ed economici, sono della collettività i cui luoghi vengono ridisegnati dall’alto). Quelli, ultimi ma non ultimi, sulla natura del luogo, la sua impressionante bellezza. Molti che parlano di Ponte non sono mai stati sullo Stretto. Non sanno che è un luogo in cui i miti sono fittissimi perché è pieno d’inspiegabile e di numinoso, persino oggi. E tanti di noi si chiedono infatti: ma una soluzione che porti tutte quelle belle cose lì, “sviluppo” e “progresso” e “turismo”, senza smantellare, scavare e cementificare, invece rispettando la potenza del luogo no? Perché no? Qualcuno ha forse fatto una valutazione diversa? Ci ha mai provato? Qualcuno che non ha mai mosso un dito, finora, per migliorare la vita di queste popolazioni e ora pretende di farlo così, di colpo, con una sola opera gigante e definitiva?

Purtroppo Poseidone e Odisseo, Scilla e Cariddi non si presentano alle elezioni, e nessuno sta dalla loro parte, eccetto un pugno di cittadini delusi, scettici, ambientalisti, dubbiosi, idealisti e anime belle (qualcuno ci chiama “cavernicoli”, pensate: magari gli stessi che non sanno che il futuro del futuro non comprende cemento e gigantismi, e la “restanza” possibile, qui, si nutre di cura dei luoghi, non di distruzione).
Dicono che “è inevitabile”, e che tutti i vantaggi e le ricchezze che il Ponte porterà valgono bene un simile sacrificio. Di certo, c’è un abitante dello Stretto che è assolutamente d’accordo: si chiama orcaferone (lo ha re-inventato Stefano D’Arrigo in “Horcynus Orca”: andate a leggere chi è e cosa rappresenta). Dovrebbero intitolarlo a lui, il Ponte.

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Guardate, da qui posso vederla. Dal terrazzo di casa mia, sullo Stretto (sponda siciliana, costa di Messina). La vedo a tutte le ore del giorno, e – prodigio – persino di notte. E’ lì da anni: spessa, fitta, nera come il buio, come la bocca di Scilla, come la pancia di Cariddi. L’ombra del Ponte sullo Stretto. Nutrita, negli anni (tanti, tanti anni) di qualsiasi cosa: per lo più ego di politici, localissimi, locali o nazionali, e persino alcuni premier, di quelli che amavano le scenografie grandiose e gli annunci cinematografici (ogni riferimento è fortemente voluto). E modellini e grafici, antenati dei moderni rendering (alcuni davvero fantasiosi, che l’AI ci invidierebbe). E, soprattutto, chiacchiere, tonnellate di chiacchiere. Promesse sfavillanti, distrazioni di massa, fantascienza elettorale. Ma anche, intendiamoci, serissimi elaborati, un po’ vecchi ma che diamine, non starete a guardare il capello, fra poco avremo tutto e poi vedrete, che roba avveniristica (dopotutto, un ponte così lungo a una sola campata, con tanto di ferrovia, non esiste ancora, al mondo).

Da pochi giorni c’è pure la cosa più temuta, anche se negli anni era diventata mitologica e remota, come tutta la faccenda Ponte: la mappa degli espropri. Che non riguarderebbero solo “un pugno di villette e seconde case” (questo era fino a ieri l’immaginario più diffuso, alimentato ad arte dalla disinformazione propagandistica: tranquilli, ci andrà di mezzo solo un villaggio di pescatori e di ricconi con seconde case, vicino alla spiaggia, mica interi territori, in Calabria e Sicilia…). Per tacere della preoccupazione sempiterna: ma le mafie, quanto ci metteranno le zampe?
Ecco, di tale materia instabile ma vischiosa è fatta quest’ombra gigantesca. Sotto la quale, nei decenni, la città di Messina e il territorio tutto dello Stretto hanno continuato a vivacchiare come si fa da queste parti: mancando di tutto e facendosi bastare sempre meno. Accettando strade e collegamenti inaccettabili, reti idriche colabrodo, ferrovie a un solo binario, per restare in tema trasporti (sì, vi confermo che da Messina a Trapani, 330 km, puoi arrivare, con due treni e un autobus, in 9 ore e mezza, mentre a Ragusa, 200 km, ce la fai in meno di 8 ore, dai). E un turismo di quartiere, per lo più parenti che tornano d’estate (pensa che roba, per quella che è stata eletta l’anno scorso da National Geographic la “spiaggia più bella d’Italia”, dico la spiaggia di Capo Peloro, proprio dove torreggia uno dei due piloni dismessi, nel punto più stretto dello Stretto).

Ora qui suonano la fanfara: si sentono chiaramente le parole “sviluppo”, “sfida”, “progresso”. E i più entusiasti, guarda i casi della vita, sono proprio taluni che fino a pochissimi anni fa ridevano del Ponte e dicevano (testuale): “Quei soldi usiamoli per sistemare le scuole” (o anche la sanità che cade a pezzi, aggiungeremmo oggi noi). Anche perché era lontanuccio, il Ponte, dalla patria Padania.
Ora invece proprio quelli, colti da subitaneo innamoramento per il Sud e le sue sorti, sentono un bisogno assoluto di creare il famoso corridoio Helsinki-Palermo. E noi che volevamo solo arrivare un po’ prima a Marsala, magari con autostrade messe un po’ meglio e treni più veloci (sapete dove si ferma l’Alta Velocità?).
Non parliamo poi dei dubbi, di ogni genere: quelli tecnici (domande ancora aperte, le famose 68 “considerazioni, osservazioni e raccomandazioni” del Comitato scientifico, che ha dato “parere positivo sulla Relazione del Progettista, fatte salve le considerazioni, osservazioni e raccomandazioni”. Che riguardano, tra l’altro, sismicità, prove del vento, materiali. La ricerca degli ultimi vent’anni. Fatte salve), quelli ambientali (territori fragili, ecosistemi specialissimi), quelli umani e sociali (i costi degli espropri e di tutto il riassetto del territorio non sono solo individuali ed economici, sono della collettività i cui luoghi vengono ridisegnati dall’alto). Quelli, ultimi ma non ultimi, sulla natura del luogo, la sua impressionante bellezza. Molti che parlano di Ponte non sono mai stati sullo Stretto. Non sanno che è un luogo in cui i miti sono fittissimi perché è pieno d’inspiegabile e di numinoso, persino oggi. E tanti di noi si chiedono infatti: ma una soluzione che porti tutte quelle belle cose lì, “sviluppo” e “progresso” e “turismo”, senza smantellare, scavare e cementificare, invece rispettando la potenza del luogo no? Perché no? Qualcuno ha forse fatto una valutazione diversa? Ci ha mai provato? Qualcuno che non ha mai mosso un dito, finora, per migliorare la vita di queste popolazioni e ora pretende di farlo così, di colpo, con una sola opera gigante e definitiva?

Purtroppo Poseidone e Odisseo, Scilla e Cariddi non si presentano alle elezioni, e nessuno sta dalla loro parte, eccetto un pugno di cittadini delusi, scettici, ambientalisti, dubbiosi, idealisti e anime belle (qualcuno ci chiama “cavernicoli”, pensate: magari gli stessi che non sanno che il futuro del futuro non comprende cemento e gigantismi, e la “restanza” possibile, qui, si nutre di cura dei luoghi, non di distruzione).
Dicono che “è inevitabile”, e che tutti i vantaggi e le ricchezze che il Ponte porterà valgono bene un simile sacrificio. Di certo, c’è un abitante dello Stretto che è assolutamente d’accordo: si chiama orcaferone (lo ha re-inventato Stefano D’Arrigo in “Horcynus Orca”: andate a leggere chi è e cosa rappresenta). Dovrebbero intitolarlo a lui, il Ponte.

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Che ci faccio con il Ponte sullo Stretto se da Messina a Trapani ci vogliono 10 ore?

6 0
04.04.2024

Guardate, da qui posso vederla. Dal terrazzo di casa mia, sullo Stretto (sponda siciliana, costa di Messina). La vedo a tutte le ore del giorno, e – prodigio – persino di notte. E’ lì da anni: spessa, fitta, nera come il buio, come la bocca di Scilla, come la pancia di Cariddi. L’ombra del Ponte sullo Stretto. Nutrita, negli anni (tanti, tanti anni) di qualsiasi cosa: per lo più ego di politici, localissimi, locali o nazionali, e persino alcuni premier, di quelli che amavano le scenografie grandiose e gli annunci cinematografici (ogni riferimento è fortemente voluto). E modellini e grafici, antenati dei moderni rendering (alcuni davvero fantasiosi, che l’AI ci invidierebbe). E, soprattutto, chiacchiere, tonnellate di chiacchiere. Promesse sfavillanti, distrazioni di massa, fantascienza elettorale. Ma anche, intendiamoci, serissimi elaborati, un po’ vecchi ma che diamine, non starete a guardare il capello, fra poco avremo tutto e poi vedrete, che roba avveniristica (dopotutto, un ponte così lungo a una sola campata, con tanto di ferrovia, non esiste ancora, al mondo).

Da pochi giorni c’è pure la cosa più temuta, anche se negli anni era diventata mitologica e remota, come tutta la faccenda Ponte: la mappa degli espropri. Che non riguarderebbero solo “un pugno di villette e seconde case” (questo era fino a ieri l’immaginario più diffuso, alimentato ad arte dalla disinformazione propagandistica: tranquilli, ci andrà di mezzo solo un villaggio di pescatori e di ricconi con seconde case, vicino alla spiaggia, mica interi territori, in Calabria e Sicilia…). Per tacere della preoccupazione sempiterna: ma le mafie, quanto ci metteranno le zampe?
Ecco, di tale materia instabile ma vischiosa è fatta quest’ombra gigantesca. Sotto la quale, nei decenni, la città di Messina e il territorio tutto dello Stretto hanno continuato a vivacchiare come si fa da queste parti: mancando di tutto e facendosi bastare sempre meno. Accettando strade e collegamenti inaccettabili, reti idriche colabrodo, ferrovie a un solo binario, per restare in tema trasporti (sì, vi confermo che da Messina a Trapani, 330 km, puoi arrivare, con due treni e un autobus, in 9 ore e mezza, mentre a Ragusa, 200 km, ce la fai in meno di 8 ore, dai). E un turismo di quartiere, per lo più parenti che tornano d’estate (pensa che roba, per quella che è stata eletta l’anno scorso da National Geographic la “spiaggia più bella d’Italia”, dico la spiaggia di Capo Peloro, proprio dove torreggia uno dei due piloni dismessi, nel punto più stretto dello Stretto).

Ora qui suonano la fanfara: si sentono chiaramente le parole “sviluppo”, “sfida”, “progresso”. E i più entusiasti, guarda i casi della vita, sono proprio taluni che fino a pochissimi anni fa ridevano del Ponte e dicevano........

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