Io non la so la verità, sulla vicenda di Giovanna Pedretti. Non so nemmeno di quale verità, eventualmente, si tratti. Se la verità sulla recensione negativa, scopertasi fake, o la verità sulla sua triste fine. Non so nemmeno se m’importa più di tanto, stabilire una verità o l’altra o entrambe. Quello che mi pare urgente, invece, è stabilire quale sia la verità umana, anzi il contenuto umano di questa storia, che ci riguarda tutti perché riguarda il nostro modo d’interagire, di parlarci dentro la comunità, le comunità che siamo (volenti e partecipanti o nolenti e tirati dentro, o anche solo lambiti, ma estranei no, nessuno, ormai).

Perché quello che impressiona, adesso, è l’andamento del dibattito in rete. Proprio il luogo in cui tutto era cominciato, con la recensione di un cliente che si diceva disturbato dalla presenza in pizzeria di una coppia gay e di un disabile e la risposta, oggettivamente esemplare, che gli sarebbe stata data. Oggi, affermare che la signora Pedretti, l’autrice di quella risposta, si sia suicidata, e lo abbia fatto travolta da un’improvvisa popolarità velocemente trasformatasi in collettiva riprovazione, è un’illazione ingiusta, come qualsiasi altra verità rivelata o sentenza emessa dai tribunali mediatico-popolari. E quello che sgomenta – e in questo caso più di altri, per la sproporzione tra i fatti di cui si dibatte e la tragica conclusione della vicenda della protagonista (qualunque cosa le sia accaduta) – è la leggerezza con cui si maneggiano le vite degli altri, i flussi di aggressività, rabbia, malanimo che scorrono dentro post, thread, stories e alimentano tutti gli altri fronti di guerra quotidiana (“l’inferno che formiamo stando assieme”, scriveva Calvino). D’altronde, sappiamo per certo che in taluni social l’algoritmo è concepito proprio per premiare il dissidio, seminandolo e amplificandolo e proponendocelo come se fosse un pane quotidiano avvelenato.

Non è questione di chi ha scoperto cosa, o di un’informazione che s’alimenta fin troppo di social in una specie di circolo vizioso (dei guai, che diventano guasti, dell’informazione sappiamo tutti); non è nemmeno questione della povera signora Giovanna, della recensione in questione o di chi si sente offeso, di qualunque storia si parli, se si afferma che l’omofobia e il razzismo esistono e fanno danno (chi era quello che persino, in un libro di successo, li rivendicava come diritti?). Forse la questione è questo reame di parole – bellissimo, a mio avviso, e pieno di potenzialità meravigliose – che tutti abitiamo e assieme costruiamo ogni giorno, mattone su mattone, sillaba su sillaba. Immateriale, pesantissimo. Che fa la fortuna di alcuni e l’inferno di altri, e ci unisce per dividerci meglio, sempre, in costante contesa. Forse una scuola di pace dovrebbe cominciare da ogni singola parola che scriviamo.

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Io non la so la verità, sulla vicenda di Giovanna Pedretti. Non so nemmeno di quale verità, eventualmente, si tratti. Se la verità sulla recensione negativa, scopertasi fake, o la verità sulla sua triste fine. Non so nemmeno se m’importa più di tanto, stabilire una verità o l’altra o entrambe. Quello che mi pare urgente, invece, è stabilire quale sia la verità umana, anzi il contenuto umano di questa storia, che ci riguarda tutti perché riguarda il nostro modo d’interagire, di parlarci dentro la comunità, le comunità che siamo (volenti e partecipanti o nolenti e tirati dentro, o anche solo lambiti, ma estranei no, nessuno, ormai).

Perché quello che impressiona, adesso, è l’andamento del dibattito in rete. Proprio il luogo in cui tutto era cominciato, con la recensione di un cliente che si diceva disturbato dalla presenza in pizzeria di una coppia gay e di un disabile e la risposta, oggettivamente esemplare, che gli sarebbe stata data. Oggi, affermare che la signora Pedretti, l’autrice di quella risposta, si sia suicidata, e lo abbia fatto travolta da un’improvvisa popolarità velocemente trasformatasi in collettiva riprovazione, è un’illazione ingiusta, come qualsiasi altra verità rivelata o sentenza emessa dai tribunali mediatico-popolari. E quello che sgomenta – e in questo caso più di altri, per la sproporzione tra i fatti di cui si dibatte e la tragica conclusione della vicenda della protagonista (qualunque cosa le sia accaduta) – è la leggerezza con cui si maneggiano le vite degli altri, i flussi di aggressività, rabbia, malanimo che scorrono dentro post, thread, stories e alimentano tutti gli altri fronti di guerra quotidiana (“l’inferno che formiamo stando assieme”, scriveva Calvino). D’altronde, sappiamo per certo che in taluni social l’algoritmo è concepito proprio per premiare il dissidio, seminandolo e amplificandolo e proponendocelo come se fosse un pane quotidiano avvelenato.

Non è questione di chi ha scoperto cosa, o di un’informazione che s’alimenta fin troppo di social in una specie di circolo vizioso (dei guai, che diventano guasti, dell’informazione sappiamo tutti); non è nemmeno questione della povera signora Giovanna, della recensione in questione o di chi si sente offeso, di qualunque storia si parli, se si afferma che l’omofobia e il razzismo esistono e fanno danno (chi era quello che persino, in un libro di successo, li rivendicava come diritti?). Forse la questione è questo reame di parole – bellissimo, a mio avviso, e pieno di potenzialità meravigliose – che tutti abitiamo e assieme costruiamo ogni giorno, mattone su mattone, sillaba su sillaba. Immateriale, pesantissimo. Che fa la fortuna di alcuni e l’inferno di altri, e ci unisce per dividerci meglio, sempre, in costante contesa. Forse una scuola di pace dovrebbe cominciare da ogni singola parola che scriviamo.

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La verità umana, per favore, sulla vicenda di Giovanna Pedretti

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15.01.2024

Io non la so la verità, sulla vicenda di Giovanna Pedretti. Non so nemmeno di quale verità, eventualmente, si tratti. Se la verità sulla recensione negativa, scopertasi fake, o la verità sulla sua triste fine. Non so nemmeno se m’importa più di tanto, stabilire una verità o l’altra o entrambe. Quello che mi pare urgente, invece, è stabilire quale sia la verità umana, anzi il contenuto umano di questa storia, che ci riguarda tutti perché riguarda il nostro modo d’interagire, di parlarci dentro la comunità, le comunità che siamo (volenti e partecipanti o nolenti e tirati dentro, o anche solo lambiti, ma estranei no, nessuno, ormai).

Perché quello che impressiona, adesso, è l’andamento del dibattito in rete. Proprio il luogo in cui tutto era cominciato, con la recensione di un cliente che si diceva disturbato dalla presenza in pizzeria di una coppia gay e di un disabile e la risposta, oggettivamente esemplare, che gli sarebbe stata data. Oggi, affermare che la signora Pedretti, l’autrice di quella risposta, si sia suicidata, e lo abbia fatto travolta da un’improvvisa popolarità velocemente trasformatasi in collettiva riprovazione, è un’illazione ingiusta, come qualsiasi altra verità rivelata o sentenza emessa dai tribunali mediatico-popolari. E quello che sgomenta – e in questo caso più di altri, per la sproporzione tra i fatti di cui si dibatte e la tragica conclusione della vicenda della protagonista (qualunque cosa le sia........

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