Tra la sempre più crescente importanza dell’intelligenza artificiale e le oltremodo numerose previsioni apocalittiche sul futuro, legate al perseverare dei conflitti mondiali, credo abbia senso continuare a interrogarsi sul ruolo svolto dall’umanesimo: oggi, in particolare, nel rapporto tra società e reti. Sarà un tema di cui discuteremo in questi giorni nella Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università della Svizzera Italiana, a Lugano, coinvolgendo studentesse e studenti di triennale e magistrale.

Credo che l’essere umano continui a occupare un ruolo centrale nella vita contemporanea – sociale, civile, politica – grazie alla sua capacità di agire e di decidere come farlo. In tal senso, è utile domandarsi e analizzare i ruoli svolti dai nuovi media in questa società sempre più digitale. Provo qui a sintetizzare alcune risposte:

– possono coadiuvare il soggetto sia nello svolgimento di azioni e compiti quotidiani (lavorativi, di studio, di tempo libero, di cura, ecc.) sia nella comunicazione verso gli altri;

– possono fornire chiavi interpretative per agire in società esprimendo e controllando le proprie emozioni. Ad esempio, attraverso un medium – una piattaforma, un social, uno spazio digitale – la società comunica agli spettatori-utenti il significato di specifiche emozioni quotidiane, indicando ai soggetti le pratiche per “maneggiarla” anche nella società delle reti: come esporla, introiettarla, condividerla, giudicarla.

Si è dunque umani anche grazie al ruolo – sempre più invasivo, chiaramente – svolto da media e nuovi media nella società contemporanea, a patto che non ci si lasci avvolgere da essi rinunciando alla propria capacità, umana per l’appunto, di ragionare: ossia conoscenza e controllo del proprio agire, per citare la dialettica dell’illuminismo di Adorno e Horkheimer.

Si tratta di una forma di umanesimo a mio avviso rintracciabile in due noti eventi socio-digitali verificatesi in uno dei paesi tecnologicamente più avanzati del mondo quale il Giappone, attraverso due media differenti tra loro. Nel primo caso, il riferimento è a “Love Plus Every”, lo storico videogioco-applicazione della Nintendo dedicato alle persone single (e sole). Il programma simula una relazione con un/a partner digitale che segue il soggetto attraverso lo smartphone, rispondendo alle domande che gli/le vengono poste e commentando i luoghi in cui si trova in base alla geolocalizzazione dei luoghi. Al di là dei commenti tecnici sul prodotto, quello che conta sottolineare è la creazione di un prodotto mediale come cura alla crisi sentimentale-relazionale che attanaglia generazioni di giapponesi da oramai tre lustri, generando soggetti in forte difficoltà nel processo di ascolto, condivisione e riflessione sui propri stati interiori. Il medium obbliga infatti ad affrontare le proprie emozioni (o almeno una parte di esse) e a incontrare gli altri che utilizzano la medesima applicazione (si tratta di incontri collettivi “obbligatori” per coloro che possiedono e utilizzano la app: si ritrova la socialità umana attraverso quella digitale).

Sulla stessa linea si colloca il cosiddetto “telefono del vento”, ossia la cabina telefonica presente nella piccola città di Otsuchi, nel Nord del Giappone (prefettura di Iwate). Completamente distrutta nel marzo 2012, a causa del terremoto di 9.0 gradi Richter e dello tsunami che ne è seguito, la cittadina è stata in seguito ricostruita

e uno dei sopravvissuti le ha donato la cabina in questione. L’obiettivo principale del telefono è di provare a fare fronte al vuoto creatosi in seguito alla tragedia, permettendo alla comunità di trovare un luogo riservato, benché in uno spazio pubblico, all’interno del quale alzare la cornetta e parlare con una persona defunta. Si tratta di una elaborazione del lutto mediatica – la cabina non è collegata ad alcun cavo telefonico, ma è l’immagine del medium e la necessità di alzare la cornetta che fa credere sia funzionante – messa in atto all’interno della comunità. Una forma di umanesimo di rete, di costruzione di senso sia individuale sia collettivo, che permette un approfondimento dei propri stati emotivi, nonché un tentativo di socializzazione sentimentale.

In conclusione, se è vero che i media continuano incessantemente a produrre e negoziare linguaggi espressivi e forme simboliche, è altrettanto vero che sono gli esseri umani, attraverso il connubio di emozioni e ragione che li caratterizza, a dare un senso agli strumenti e ai prodotti tecnologici e al loro utilizzo.

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Tra la sempre più crescente importanza dell’intelligenza artificiale e le oltremodo numerose previsioni apocalittiche sul futuro, legate al perseverare dei conflitti mondiali, credo abbia senso continuare a interrogarsi sul ruolo svolto dall’umanesimo: oggi, in particolare, nel rapporto tra società e reti. Sarà un tema di cui discuteremo in questi giorni nella Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università della Svizzera Italiana, a Lugano, coinvolgendo studentesse e studenti di triennale e magistrale.

Credo che l’essere umano continui a occupare un ruolo centrale nella vita contemporanea – sociale, civile, politica – grazie alla sua capacità di agire e di decidere come farlo. In tal senso, è utile domandarsi e analizzare i ruoli svolti dai nuovi media in questa società sempre più digitale. Provo qui a sintetizzare alcune risposte:

– possono coadiuvare il soggetto sia nello svolgimento di azioni e compiti quotidiani (lavorativi, di studio, di tempo libero, di cura, ecc.) sia nella comunicazione verso gli altri;

– possono fornire chiavi interpretative per agire in società esprimendo e controllando le proprie emozioni. Ad esempio, attraverso un medium – una piattaforma, un social, uno spazio digitale – la società comunica agli spettatori-utenti il significato di specifiche emozioni quotidiane, indicando ai soggetti le pratiche per “maneggiarla” anche nella società delle reti: come esporla, introiettarla, condividerla, giudicarla.

Si è dunque umani anche grazie al ruolo – sempre più invasivo, chiaramente – svolto da media e nuovi media nella società contemporanea, a patto che non ci si lasci avvolgere da essi rinunciando alla propria capacità, umana per l’appunto, di ragionare: ossia conoscenza e controllo del proprio agire, per citare la dialettica dell’illuminismo di Adorno e Horkheimer.

Si tratta di una forma di umanesimo a mio avviso rintracciabile in due noti eventi socio-digitali verificatesi in uno dei paesi tecnologicamente più avanzati del mondo quale il Giappone, attraverso due media differenti tra loro. Nel primo caso, il riferimento è a “Love Plus Every”, lo storico videogioco-applicazione della Nintendo dedicato alle persone single (e sole). Il programma simula una relazione con un/a partner digitale che segue il soggetto attraverso lo smartphone, rispondendo alle domande che gli/le vengono poste e commentando i luoghi in cui si trova in base alla geolocalizzazione dei luoghi. Al di là dei commenti tecnici sul prodotto, quello che conta sottolineare è la creazione di un prodotto mediale come cura alla crisi sentimentale-relazionale che attanaglia generazioni di giapponesi da oramai tre lustri, generando soggetti in forte difficoltà nel processo di ascolto, condivisione e riflessione sui propri stati interiori. Il medium obbliga infatti ad affrontare le proprie emozioni (o almeno una parte di esse) e a incontrare gli altri che utilizzano la medesima applicazione (si tratta di incontri collettivi “obbligatori” per coloro che possiedono e utilizzano la app: si ritrova la socialità umana attraverso quella digitale).

Sulla stessa linea si colloca il cosiddetto “telefono del vento”, ossia la cabina telefonica presente nella piccola città di Otsuchi, nel Nord del Giappone (prefettura di Iwate). Completamente distrutta nel marzo 2012, a causa del terremoto di 9.0 gradi Richter e dello tsunami che ne è seguito, la cittadina è stata in seguito ricostruita

e uno dei sopravvissuti le ha donato la cabina in questione. L’obiettivo principale del telefono è di provare a fare fronte al vuoto creatosi in seguito alla tragedia, permettendo alla comunità di trovare un luogo riservato, benché in uno spazio pubblico, all’interno del quale alzare la cornetta e parlare con una persona defunta. Si tratta di una elaborazione del lutto mediatica – la cabina non è collegata ad alcun cavo telefonico, ma è l’immagine del medium e la necessità di alzare la cornetta che fa credere sia funzionante – messa in atto all’interno della comunità. Una forma di umanesimo di rete, di costruzione di senso sia individuale sia collettivo, che permette un approfondimento dei propri stati emotivi, nonché un tentativo di socializzazione sentimentale.

In conclusione, se è vero che i media continuano incessantemente a produrre e negoziare linguaggi espressivi e forme simboliche, è altrettanto vero che sono gli esseri umani, attraverso il connubio di emozioni e ragione che li caratterizza, a dare un senso agli strumenti e ai prodotti tecnologici e al loro utilizzo.

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Restare umani nonostante l’intelligenza artificiale

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25.03.2024

Tra la sempre più crescente importanza dell’intelligenza artificiale e le oltremodo numerose previsioni apocalittiche sul futuro, legate al perseverare dei conflitti mondiali, credo abbia senso continuare a interrogarsi sul ruolo svolto dall’umanesimo: oggi, in particolare, nel rapporto tra società e reti. Sarà un tema di cui discuteremo in questi giorni nella Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università della Svizzera Italiana, a Lugano, coinvolgendo studentesse e studenti di triennale e magistrale.

Credo che l’essere umano continui a occupare un ruolo centrale nella vita contemporanea – sociale, civile, politica – grazie alla sua capacità di agire e di decidere come farlo. In tal senso, è utile domandarsi e analizzare i ruoli svolti dai nuovi media in questa società sempre più digitale. Provo qui a sintetizzare alcune risposte:

– possono coadiuvare il soggetto sia nello svolgimento di azioni e compiti quotidiani (lavorativi, di studio, di tempo libero, di cura, ecc.) sia nella comunicazione verso gli altri;

– possono fornire chiavi interpretative per agire in società esprimendo e controllando le proprie emozioni. Ad esempio, attraverso un medium – una piattaforma, un social, uno spazio digitale – la società comunica agli spettatori-utenti il significato di specifiche emozioni quotidiane, indicando ai soggetti le pratiche per “maneggiarla” anche nella società delle reti: come esporla, introiettarla, condividerla, giudicarla.

Si è dunque umani anche grazie al ruolo – sempre più invasivo, chiaramente – svolto da media e nuovi media nella società contemporanea, a patto che non ci si lasci avvolgere da essi rinunciando alla propria capacità, umana per l’appunto, di ragionare: ossia conoscenza e controllo del proprio agire, per citare la dialettica dell’illuminismo di Adorno e Horkheimer.

Si tratta di una forma di umanesimo a mio avviso rintracciabile in due noti eventi socio-digitali verificatesi in uno dei paesi tecnologicamente più avanzati del mondo quale il Giappone, attraverso due media differenti tra loro. Nel primo caso, il riferimento è a “Love Plus Every”, lo storico videogioco-applicazione della Nintendo dedicato alle persone single (e sole). Il programma simula una relazione con un/a partner digitale che segue il........

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