Certo, posso aiutarti con la traduzione. Ecco il primo paragrafo del "De Bello Gallico" di Giulio Cesare in italiano:

"Gallia è divisa in tre parti, e una di esse è abitata dai Belgi, un'altra dagli Aquitani, e la terza dai Galli stessi, che in lingua latina sono chiamati Celti. Questi ultimi sono divisi in tre tribù principali: i Belgae occupano la parte settentrionale, gli Aquitani la parte sud-occidentale, mentre i Galli, noti anche come Celti, vivono nella parte centrale del paese".

Spero che questa traduzione sia di tuo gradimento. Fammi sapere se hai altre domande!

Più che l’ennesima esibizione di ChatGPT, quella che leggete potremmo considerarla alla stregua di un proclama della liberazione dei dannati della terra, un vero manifesto che unisce i rimandati di tutto il mondo.

Come constatate, è una traduzione ineccepibile che permette a ognuno, cancellando meritocrazie artificiali e disuguaglianze di senso cognitivo, di far maneggiare con disinvoltura testi latini e greci a tutti. Una vera rivolta degli eguali.

Parlo di quegli studenti che, avrete capito che sono stato in prima fila in questa categoria, si consumavano nella frustrazione di non riuscire a trovare la spinta per superare gli ostacoli che greco e latino mettevano sul loro percorso di vita. Parliamo di quelli seduti sul fondo della classe, che la professoressa non chiama per nome. Per rifarci a un modello che la letteratura ha reso immortale, parliamo di Franti, per come lo ha descritto de Amicis nel libro Cuore, e come invece ce lo ha ridisegnato Umberto Eco nel suo Diario Minimo, nel capitolo appunto intitolato L’Elogio di Franti. Un profilo quello dell’infame, come lo bollò De Amicis, per cui ho sempre provato simpatia se non proprio solidarietà. Come scriveva Eco, dando profondità alla ribalderia del ragazzo ripetente nei confronti del compito Enrico...

Quello che Enrico non si domanda è se la cattiveria di chi ride non sia una forma di virtù, la cui grandezza egli non può capire poiché tutto ciò che è riso e cattiveria in Franti altro non è che la negazione di un mondo dominato dal cuore, o meglio ancora di un cuore pensato a immagine del mondo in cui Enrico prospera e si ingrassa.”

Un conflitto sociale che, nel mio Diario Minimo, rivivevo in particolare nell’epilogo di periodi di vacanze, come era la befana dopo due settimane di festività natalizie, in cui si arrivava sempre con l’oppressione di un insolubile senso di colpa per non aver concluso i compiti assegnati dagli insegnanti, e con la certezza di essere interrogati nei primi giorni della ripresa delle lezioni, visto che appena prima delle vacanze, avevamo evitato compiti in classe e appunto le interrogazioni trimestrali.

Una vera angoscia senza rimedio.

Il pomeriggio del 6 gennaio, lo ricordo come una vera vigilia dell’esecuzione, con un senso di irrequietezza e di indolenza che mi trapanavano l’anima. Ancora oggi, alla mia veneranda età, in queste ore sono pervaso da quella languida malinconia che mi rimanda al dramma di quella stagione, che pure, per gli altri 364 giorni, ricordo come la più felice della mia esistenza.

A Milano, dove vivevo durante il ginnasio, mi ricordo in quella giornata, allietata solo al mattino dal frugare nella calza con le fatidiche monete d’oro di cioccolato, stretto nella morsa di quei pomeriggi che diventavano subito notte impenetrabile, immersi nella bottiglia di latte di un nebbione irreale, mentre ciondolavo fra la cucina e la mia camera, come il condannato che attende il boia per l’esecuzione.

Oggi immagino che quelle sfibranti prostrazioni siano del tutto archiviate grazie alla protesi di abilità che ti permette di volteggiare su Lucrezio e Senofonte con allegria. In pochi minuti si compilano le versioni e si può pregustare quella inedita sensazione di merito, quella benefica mancanza di colpe, che non conoscevi quando nascondevi nel tuo diario note e voti improponibili a casa.

Ora, al di là dei traumi personali, l’apparente banalità delle traduzioni garantite dai sistemi di intelligenza artificiale ci propone un quesito che attraversa tutta l’enciclopedica discussione scatenatasi in questo anno in cui ChatGPT e i suoi consimili hanno fatto irruzione nella nostra vita: quali sono gli effetti collaterali?

Una domanda farmacologica che mi pare bene esprima la nostra ansia. Infatti l’accesso di massa alla potenza di calcolo non è dissimile all’avvento della penicillina o degli antibiotici. Sui grandi numeri e con una metodicità di utilizzo, qualsiasi additivo si aggiunga alla nostra vita produce effetti collaterali.

Intanto già porci la domanda sfata la banale constatazione che si tratti solo di uno strumento: l’intelligenza artificiale, come i farmaci, inducono una trasformazione sostanziale della nostra specie. Cambia il rapporto fra anticorpi e virus, muta il metabolismo, si riorganizzano le risorse e si attrezzano difese e attacco biologico.

Ora, oltre a quella rivendicazione di eguaglianza a scuola, di cui parlavo all’inizio, il nodo riguarda appunto la diversa economia delle competenze e delle dinamiche del nostro cervello.

Sollevandolo da attività come le versioni di greco e latino, preposte per più di due mila anni a formattare le nostre capacità linguistiche ed analitiche, come disegnare la geografia delle competenze? In uno studio su un campione di tassisti a Londra è emerso come l’uso dei vari navigatori georeferenziati abbia mutato, fisiologicamente, la struttura dell’ippocampo, l’area del cervello preposta alla memoria. Questa mutazione a cosa prelude? Alla guida automatica, con la sostituzione redicale dell’autista, oppure a un’attività integrativa e sostitutiva che vede il tassista diventare guida turistica o agente di una logistica del trasporto?

Qui si gioca la partita apertasi con il decentramento dell’uso dell’intelligenza artificiale ma anche della sua riprogrammazione, ora sempre più praticabile mediante linguaggio naturale, senza competenze informatiche avanzate. Come si riarticola il bagaglio cognitivo? Se alloco in una memoria artificiale la traduzione del De bello gallico come uso lo spazio che libero nel mio cervello?

Qualcuno osserverà che chi ignorava la traduzione di Cesare per indolenza o cattiva volontà rimarrà sempre fuori da questo gioco. Mi pare invece che mutare la forma e i percorsi dei processi cognitivi, come l’apprendimento scolastico, apra opportunità a chi non ne è stato adeguatamente motivato o coinvolto. Questo vale nelle professioni, o nelle attività sociali: sostituire la capacità di apprendimento, la memoria personale, l’abilità di collegamento delle nozioni, con un uso di sistemi esterni che organizzano queste funzioni affidando alla persona una sorta di regia e brokeraggio delle attività, muta la gerarchia dei valori e l’organizzazione sociale conseguente.

Ovviamente questa rivoluzione dei saperi non può essere affidata a Microsoft o a Google, che mediante i propri sistemi di intelligenza artificiale sostituiscono la prescrizione formativa del De Bello Gallico con le proprie categorie di ragionamento.

Qui ritroviamo il gusto e il valore di una ribellione ai poteri dominanti, come proprio la lettura che Eco fa di Franti ci autorizza a declinare nella nuova società digitale:

Noi sappiamo però che, al di fuori del libro, gli è stata lasciata un’altra possibilità (di cui Enrico non aveva avuto mai sentore): perché l’Ordine o lo si ride dal di dentro o lo si bestemmia dal di fuori; o si finge di accettarlo per farlo esplodere, o si finge di rifiutarlo per farlo rifiorire in altre forme; o si è Rabelais o si è Cartesio; o si è, come Franti ha tentato, uno scolaro che ride in scuola, o un analfabeta di avanguardia”.

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Certo, posso aiutarti con la traduzione. Ecco il primo paragrafo del "De Bello Gallico" di Giulio Cesare in italiano:

"Gallia è divisa in tre parti, e una di esse è abitata dai Belgi, un'altra dagli Aquitani, e la terza dai Galli stessi, che in lingua latina sono chiamati Celti. Questi ultimi sono divisi in tre tribù principali: i Belgae occupano la parte settentrionale, gli Aquitani la parte sud-occidentale, mentre i Galli, noti anche come Celti, vivono nella parte centrale del paese".

Spero che questa traduzione sia di tuo gradimento. Fammi sapere se hai altre domande!

Più che l’ennesima esibizione di ChatGPT, quella che leggete potremmo considerarla alla stregua di un proclama della liberazione dei dannati della terra, un vero manifesto che unisce i rimandati di tutto il mondo.

Come constatate, è una traduzione ineccepibile che permette a ognuno, cancellando meritocrazie artificiali e disuguaglianze di senso cognitivo, di far maneggiare con disinvoltura testi latini e greci a tutti. Una vera rivolta degli eguali.

Parlo di quegli studenti che, avrete capito che sono stato in prima fila in questa categoria, si consumavano nella frustrazione di non riuscire a trovare la spinta per superare gli ostacoli che greco e latino mettevano sul loro percorso di vita. Parliamo di quelli seduti sul fondo della classe, che la professoressa non chiama per nome. Per rifarci a un modello che la letteratura ha reso immortale, parliamo di Franti, per come lo ha descritto de Amicis nel libro Cuore, e come invece ce lo ha ridisegnato Umberto Eco nel suo Diario Minimo, nel capitolo appunto intitolato L’Elogio di Franti. Un profilo quello dell’infame, come lo bollò De Amicis, per cui ho sempre provato simpatia se non proprio solidarietà. Come scriveva Eco, dando profondità alla ribalderia del ragazzo ripetente nei confronti del compito Enrico...

Quello che Enrico non si domanda è se la cattiveria di chi ride non sia una forma di virtù, la cui grandezza egli non può capire poiché tutto ciò che è riso e cattiveria in Franti altro non è che la negazione di un mondo dominato dal cuore, o meglio ancora di un cuore pensato a immagine del mondo in cui Enrico prospera e si ingrassa.”

Un conflitto sociale che, nel mio Diario Minimo, rivivevo in particolare nell’epilogo di periodi di vacanze, come era la befana dopo due settimane di festività natalizie, in cui si arrivava sempre con l’oppressione di un insolubile senso di colpa per non aver concluso i compiti assegnati dagli insegnanti, e con la certezza di essere interrogati nei primi giorni della ripresa delle lezioni, visto che appena prima delle vacanze, avevamo evitato compiti in classe e appunto le interrogazioni trimestrali.

Una vera angoscia senza rimedio.

Il pomeriggio del 6 gennaio, lo ricordo come una vera vigilia dell’esecuzione, con un senso di irrequietezza e di indolenza che mi trapanavano l’anima. Ancora oggi, alla mia veneranda età, in queste ore sono pervaso da quella languida malinconia che mi rimanda al dramma di quella stagione, che pure, per gli altri 364 giorni, ricordo come la più felice della mia esistenza.

A Milano, dove vivevo durante il ginnasio, mi ricordo in quella giornata, allietata solo al mattino dal frugare nella calza con le fatidiche monete d’oro di cioccolato, stretto nella morsa di quei pomeriggi che diventavano subito notte impenetrabile, immersi nella bottiglia di latte di un nebbione irreale, mentre ciondolavo fra la cucina e la mia camera, come il condannato che attende il boia per l’esecuzione.

Oggi immagino che quelle sfibranti prostrazioni siano del tutto archiviate grazie alla protesi di abilità che ti permette di volteggiare su Lucrezio e Senofonte con allegria. In pochi minuti si compilano le versioni e si può pregustare quella inedita sensazione di merito, quella benefica mancanza di colpe, che non conoscevi quando nascondevi nel tuo diario note e voti improponibili a casa.

Ora, al di là dei traumi personali, l’apparente banalità delle traduzioni garantite dai sistemi di intelligenza artificiale ci propone un quesito che attraversa tutta l’enciclopedica discussione scatenatasi in questo anno in cui ChatGPT e i suoi consimili hanno fatto irruzione nella nostra vita: quali sono gli effetti collaterali?

Una domanda farmacologica che mi pare bene esprima la nostra ansia. Infatti l’accesso di massa alla potenza di calcolo non è dissimile all’avvento della penicillina o degli antibiotici. Sui grandi numeri e con una metodicità di utilizzo, qualsiasi additivo si aggiunga alla nostra vita produce effetti collaterali.

Intanto già porci la domanda sfata la banale constatazione che si tratti solo di uno strumento: l’intelligenza artificiale, come i farmaci, inducono una trasformazione sostanziale della nostra specie. Cambia il rapporto fra anticorpi e virus, muta il metabolismo, si riorganizzano le risorse e si attrezzano difese e attacco biologico.

Ora, oltre a quella rivendicazione di eguaglianza a scuola, di cui parlavo all’inizio, il nodo riguarda appunto la diversa economia delle competenze e delle dinamiche del nostro cervello.

Sollevandolo da attività come le versioni di greco e latino, preposte per più di due mila anni a formattare le nostre capacità linguistiche ed analitiche, come disegnare la geografia delle competenze? In uno studio su un campione di tassisti a Londra è emerso come l’uso dei vari navigatori georeferenziati abbia mutato, fisiologicamente, la struttura dell’ippocampo, l’area del cervello preposta alla memoria. Questa mutazione a cosa prelude? Alla guida automatica, con la sostituzione redicale dell’autista, oppure a un’attività integrativa e sostitutiva che vede il tassista diventare guida turistica o agente di una logistica del trasporto?

Qui si gioca la partita apertasi con il decentramento dell’uso dell’intelligenza artificiale ma anche della sua riprogrammazione, ora sempre più praticabile mediante linguaggio naturale, senza competenze informatiche avanzate. Come si riarticola il bagaglio cognitivo? Se alloco in una memoria artificiale la traduzione del De bello gallico come uso lo spazio che libero nel mio cervello?

Qualcuno osserverà che chi ignorava la traduzione di Cesare per indolenza o cattiva volontà rimarrà sempre fuori da questo gioco. Mi pare invece che mutare la forma e i percorsi dei processi cognitivi, come l’apprendimento scolastico, apra opportunità a chi non ne è stato adeguatamente motivato o coinvolto. Questo vale nelle professioni, o nelle attività sociali: sostituire la capacità di apprendimento, la memoria personale, l’abilità di collegamento delle nozioni, con un uso di sistemi esterni che organizzano queste funzioni affidando alla persona una sorta di regia e brokeraggio delle attività, muta la gerarchia dei valori e l’organizzazione sociale conseguente.

Ovviamente questa rivoluzione dei saperi non può essere affidata a Microsoft o a Google, che mediante i propri sistemi di intelligenza artificiale sostituiscono la prescrizione formativa del De Bello Gallico con le proprie categorie di ragionamento.

Qui ritroviamo il gusto e il valore di una ribellione ai poteri dominanti, come proprio la lettura che Eco fa di Franti ci autorizza a declinare nella nuova società digitale:

Noi sappiamo però che, al di fuori del libro, gli è stata lasciata un’altra possibilità (di cui Enrico non aveva avuto mai sentore): perché l’Ordine o lo si ride dal di dentro o lo si bestemmia dal di fuori; o si finge di accettarlo per farlo esplodere, o si finge di rifiutarlo per farlo rifiorire in altre forme; o si è Rabelais o si è Cartesio; o si è, come Franti ha tentato, uno scolaro che ride in scuola, o un analfabeta di avanguardia”.

QOSHE - L’elogio del Franti digitale - Michele Mezza
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L’elogio del Franti digitale

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08.01.2024

Certo, posso aiutarti con la traduzione. Ecco il primo paragrafo del "De Bello Gallico" di Giulio Cesare in italiano:

"Gallia è divisa in tre parti, e una di esse è abitata dai Belgi, un'altra dagli Aquitani, e la terza dai Galli stessi, che in lingua latina sono chiamati Celti. Questi ultimi sono divisi in tre tribù principali: i Belgae occupano la parte settentrionale, gli Aquitani la parte sud-occidentale, mentre i Galli, noti anche come Celti, vivono nella parte centrale del paese".

Spero che questa traduzione sia di tuo gradimento. Fammi sapere se hai altre domande!

Più che l’ennesima esibizione di ChatGPT, quella che leggete potremmo considerarla alla stregua di un proclama della liberazione dei dannati della terra, un vero manifesto che unisce i rimandati di tutto il mondo.

Come constatate, è una traduzione ineccepibile che permette a ognuno, cancellando meritocrazie artificiali e disuguaglianze di senso cognitivo, di far maneggiare con disinvoltura testi latini e greci a tutti. Una vera rivolta degli eguali.

Parlo di quegli studenti che, avrete capito che sono stato in prima fila in questa categoria, si consumavano nella frustrazione di non riuscire a trovare la spinta per superare gli ostacoli che greco e latino mettevano sul loro percorso di vita. Parliamo di quelli seduti sul fondo della classe, che la professoressa non chiama per nome. Per rifarci a un modello che la letteratura ha reso immortale, parliamo di Franti, per come lo ha descritto de Amicis nel libro Cuore, e come invece ce lo ha ridisegnato Umberto Eco nel suo Diario Minimo, nel capitolo appunto intitolato L’Elogio di Franti. Un profilo quello dell’infame, come lo bollò De Amicis, per cui ho sempre provato simpatia se non proprio solidarietà. Come scriveva Eco, dando profondità alla ribalderia del ragazzo ripetente nei confronti del compito Enrico...

Quello che Enrico non si domanda è se la cattiveria di chi ride non sia una forma di virtù, la cui grandezza egli non può capire poiché tutto ciò che è riso e cattiveria in Franti altro non è che la negazione di un mondo dominato dal cuore, o meglio ancora di un cuore pensato a immagine del mondo in cui Enrico prospera e si ingrassa.”

Un conflitto sociale che, nel mio Diario Minimo, rivivevo in particolare nell’epilogo di periodi di vacanze, come era la befana dopo due settimane di festività natalizie, in cui si arrivava sempre con l’oppressione di un insolubile senso di colpa per non aver concluso i compiti assegnati dagli insegnanti, e con la certezza di essere interrogati nei primi giorni della ripresa delle lezioni, visto che appena prima delle vacanze, avevamo evitato compiti in classe e appunto le interrogazioni trimestrali.

Una vera angoscia senza rimedio.

Il pomeriggio del 6 gennaio, lo ricordo come una vera vigilia dell’esecuzione, con un senso di irrequietezza e di indolenza che mi trapanavano l’anima. Ancora oggi, alla mia veneranda età, in queste ore sono pervaso da quella languida malinconia che mi rimanda al dramma di quella stagione, che pure, per gli altri 364 giorni, ricordo come la più felice della mia esistenza.

A Milano, dove vivevo durante il ginnasio, mi ricordo in quella giornata, allietata solo al mattino dal frugare nella calza con le fatidiche monete d’oro di cioccolato, stretto nella morsa di quei pomeriggi che diventavano subito notte impenetrabile, immersi nella bottiglia di latte di un nebbione irreale, mentre ciondolavo fra la cucina e la mia camera, come il condannato che attende il boia per l’esecuzione.

Oggi immagino che quelle sfibranti prostrazioni siano del tutto archiviate grazie alla protesi di abilità che ti permette di volteggiare su Lucrezio e Senofonte con allegria. In pochi minuti si compilano le versioni e si può pregustare quella inedita sensazione di merito, quella benefica mancanza di colpe, che non conoscevi quando nascondevi nel tuo diario note e voti........

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