Che ci sia un problema grave di inquinamento in pianura padana e che in molte città, tra le quali la mia, Brescia, l’aria sia particolarmente insalubre è cosa nota da anni. Nel lontano 2006, l’allora assessore Ettore Brunelli scriveva ai suoi colleghi assessori delle altre città lombarde per sottolineare la necessità di coordinarsi rispetto alla Regione, il cui Piano di azione era già allora totalmente inadeguato. In quella nota, che portò in effetti a un lavoro comune fra vari assessori, poi disperso ma che sarebbe il caso di riprendere, già si parlava di come tutta la Lombardia dovesse essere definita “zona critica” e del grande ruolo di autostrade e velocità delle automobili nell’aumento dell’inquinamento. Oggi è anche più che evidente il ruolo negativo del riscaldamento e raffrescamento degli edifici e degli allevamenti e dell’uso intensivo di pesticidi: non è un caso che sia Soresina, località in mezzo alla campagna della provincia di Cremona, la località con l’aria più inquinata della Lombardia: sospetto che abbia tale poco invidiabile record anche perché è una delle pochissime località agricole in cui è presente una centralina di misurazione dell’inquinamento da polveri sospese: è molto probabile che la situazione sarebbe analoga anche in altre località. Ma del resto, questo delle emissioni e dell’inquinamento in agricoltura è un tabù che resiste al di là di ogni logica, come si vede dalla battaglia che stanno conducendo le grandi lobby agricole (molto meno i piccoli e medi agricoltori) contro la nuova normativa europea sulle emissioni industriali, che ha per la prima volta incluso, pur se in modo davvero molto modesto, i più grandi allevamenti di polli e maiali (ma non di bovini) tra le imprese con obblighi precisi di riduzione: nella propaganda ripetuta un po’ a pappagallo contro la Ue durante le manifestazioni degli agricoltori, si diceva “ma vi rendete conto? Un allevamento paragonato a un’industria”, come se le emissioni derivate dagli allevamenti fossero meno dannose per cittadini e ambiente e soprattutto meno risolvibili che quelle per altri settori: nelle regioni padane, le emissioni di allevamento eguagliano quelle da traffico come fonte primaria di inquinamento da particolato sottile, che resta la prima minaccia alla salute umana: e dall’agricoltura arriva un terzo delle emissioni, ben il 54% delle emissioni di metano antropiche e il 95% di ammoniaca e gli allevamenti sono responsabili del 74% dell’inquinamento idrico; non c’è motivo per cui, esattamente come il settore energetico e quello industriale, anche il settore agricolo, soprattutto quello basato su allevamenti intensivi e pesticidi non debba anch’esso cambiare strada. Tanto più che tecnologie e metodi alternativi, anche di organizzazione del mercato agricolo, esistono e laddove funzionano, possono assicurare anche un accesso più diretto del produttore al consumatore/trice e quindi una migliore remunerazione.

Ma tornando alla questione della qualità dell’aria, il 20 febbraio, proprio nei giorni in cui lo smog è tornato al centro dell’attenzione pubblica, è stata approvata la revisione della direttiva sulla qualità dell’aria dai rappresentanti di Parlamento e Consiglio dei ministri UE con la mediazione della Commissione, riuniti nel cosiddetto trilogo.

La direttiva, pezzo centrale della strategia “inquinamento zero” e del Green Deal era stata presentata dalla Commissione nell’ottobre del 2022 e aveva due ambizioni centrali: la prima era portare i limiti di inquinamento il più vicino possibile ai valori indicati nel 2021 dall’OMS come sicuri per la salute pubblica, a partire dal fatto che circa 330.000 europei all’anno muoiono prematuramente per cause associate alla qualità dell’aria: l’Italia è al primo posto in Europa in questa triste classifica con circa 80.000 morti premature secondo l’Agenzia europea dell’Ambiente. E il secondo è di contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici, dato che inquinamento ed emissioni climalteranti sono spesso due facce della stessa medaglia.

Anche questa direttiva non è sfuggita all’attacco di vari gruppi di interesse ma anche di settori politici sempre più convinti di potere acquisire consenso con la battaglia contro tutto ciò che sa di verde – battaglia, peraltro, del tutto ideologica e disinteressata alle conseguenze su salute e ambiente, ma anche su opportunità di nuovo lavoro e attività economica.

E infatti, nel maggio scorso, proprio i rappresentati delle quattro regioni della “Padania” capitanati dalla Lombardia si sono resi protagonisti di una forte azione di lobby bipartisan al grido di “dovremmo chiudere la maggior parte dell’attività economica se dovessimo rispettare le nuove regole”; si sono cosi adoperati per portare l’Italia a chiedere di ridurre gli obblighi e introdurre lunghe deroghe nell’applicazione delle nuove norme; e questo nonostante l’Italia fosse stata condannata nel 2019 dalla Corte di Giustizia europea per non avere applicato l’attuale direttiva e per non avere fatto sostanzialmente nulla dal 2010 per ridurre l’inquinamento dell’aria. E nonostante anche gli appelli di medici ed epidemiologi che negli stessi giorni hanno ben dimostrato come la continua opposizione a misure ambiziose costi moltissimo al sistema sanitario e ai cittadini; hanno sottolineato che ci sono soluzioni precise e sperimentate per ridurre l’inquinamento,- dagli investimenti sui mezzi pubblici ed edifici, alla riduzione delle emissioni di ammoniaca e altri precursori nel particolato nei settori dell’agricoltura- e che la direttiva concede tempi abbastanza congrui per metterle in atto.

Il risultato finale, benché meno ambizioso del necessario, rappresenta comunque un miglioramento rispetto alla situazione attuale, stabilendo obbiettivi di qualità dell'aria più severi per il 2030 e possibilità di compensazione per i cittadini in caso di autorità inadempienti.

Nello specifico, l'accordo interistituzionale prevede una riduzione dei valori limite per una serie di inquinanti entro il 2030, tra cui le particelle fini e il particolato (PM2,5 e PM10), il biossido di azoto (NO2), il biossido di zolfo (SO2), il benzo(a)pirene, l'arsenico, il piombo e il nichel. Ad esempio, entro il 2030, i valori limite per il PM2,5 dovranno essere ridotti da 25 a 10 microgrammi/m³ (µg/m³) e quelli per l'NO2 non dovranno superare i 20 µg/m³, rispetto agli attuali 40 µg/m³.

D'altra parte, il testo concede agli Stati membri un’eccessiva flessibilità, poiché avranno a disposizione un arsenale di esenzioni sulle quali i nostri padani si butteranno di certo a pesce: potranno chiedere, entro il 31 gennaio 2029, un rinvio della scadenza di 10 anni - spostando la scadenza al 2040 - per le aree in cui tali obiettivi non possono essere raggiunti in tempo a causa di particolari condizioni climatiche o orografiche, o se le riduzioni dei valori inquinanti possono essere raggiunte solo sostituendo una parte considerevole dei sistemi di riscaldamento domestico esistenti, contraddicendo in questo modo la dichiarata intenzione della UE di dare la priorità alla ristrutturazione degli edifici, causa del 40% delle emissioni inquinanti.

Inoltre, gli Stati membri possono chiedere un rinvio di cinque anni - fino al 2035 - se le proiezioni mostrano semplicemente che i valori limite non possono essere raggiunti in tempo.

Su richiesta del Parlamento, gli Stati membri dovranno includere nei piani di azione per la qualità dell'aria proiezioni che dimostrino che i casi di superamento dei valori limite saranno i più brevi possibile. Questi dovranno essere redatti al più tardi entro il dicembre 2028 e aggiornati di anno in anno durante il periodo di differimento, per fare il punto sull'attuazione delle direttive riviste. Oltre ai piani per la qualità dell'aria per le aree in cui gli inquinanti superano i limiti, dovranno essere proposti piani d'azione a breve termine che prevedano misure di emergenza, come limitazioni del traffico veicolare o la sospensione dei lavori di costruzione.

I valori limite dovranno essere riesaminati entro il 31 dicembre 2030 e successivamente ogni 5 anni. Questo riesame potrebbe essere più frequente, a seconda della revisione delle linee guida dell'OMS o delle scoperte scientifiche in questo settore. La Commissione potrà anche presentare proposte che includano altri inquinanti o proporre nuove misure a livello europeo.

Per raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030, i negoziatori del Parlamento e del Consiglio hanno anche concordato di aumentare il numero di punti di campionamento della qualità dell'aria nelle città. Visto il modo in cui vengono smontati e diminuiti gli autovelox, sarà interessante vedere se quest’obbligo sarà davvero rispettato. L'accordo raggiunto dal Parlamento e dal Consiglio dell'UE comprende inoltre disposizioni per garantire che i cittadini abbiano il diritto di chiedere e ottenere un risarcimento nel caso in cui si siano verificati danni alla salute a causa di una violazione - "intenzionale o per negligenza" - delle norme nazionali che recepiscono alcune disposizioni della direttiva. La direttiva introduce anche il diritto per i malati di cancro di chiedere un risarcimento se le loro autorità non rispettano i nuovi limiti di inquinamento e la possibilità per associazioni di cittadini attive nel campo della salute pubblica o dell'ambiente di contestare l'attuazione del testo.

Dovrà inoltre essere approvato dai rappresentanti permanenti degli Stati membri (Coreper), prima di essere ratificato dall'UE27.

L’inquinamento dell’aria non è un flagello divino senza possibilità di soluzione. Gli esempi di Londra e altre città dimostrano che, orografia o no, la qualità dell’aria può essere migliorata a beneficio di tutti. Sarà anche la pressione dei cittadini “inquinati” a dovere agire per spingere al miglioramento di una situazione che da anni non vede che misure tampone provvisorie e inefficaci, subito dimenticate al cadere delle prime piogge.

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Che ci sia un problema grave di inquinamento in pianura padana e che in molte città, tra le quali la mia, Brescia, l’aria sia particolarmente insalubre è cosa nota da anni. Nel lontano 2006, l’allora assessore Ettore Brunelli scriveva ai suoi colleghi assessori delle altre città lombarde per sottolineare la necessità di coordinarsi rispetto alla Regione, il cui Piano di azione era già allora totalmente inadeguato. In quella nota, che portò in effetti a un lavoro comune fra vari assessori, poi disperso ma che sarebbe il caso di riprendere, già si parlava di come tutta la Lombardia dovesse essere definita “zona critica” e del grande ruolo di autostrade e velocità delle automobili nell’aumento dell’inquinamento. Oggi è anche più che evidente il ruolo negativo del riscaldamento e raffrescamento degli edifici e degli allevamenti e dell’uso intensivo di pesticidi: non è un caso che sia Soresina, località in mezzo alla campagna della provincia di Cremona, la località con l’aria più inquinata della Lombardia: sospetto che abbia tale poco invidiabile record anche perché è una delle pochissime località agricole in cui è presente una centralina di misurazione dell’inquinamento da polveri sospese: è molto probabile che la situazione sarebbe analoga anche in altre località. Ma del resto, questo delle emissioni e dell’inquinamento in agricoltura è un tabù che resiste al di là di ogni logica, come si vede dalla battaglia che stanno conducendo le grandi lobby agricole (molto meno i piccoli e medi agricoltori) contro la nuova normativa europea sulle emissioni industriali, che ha per la prima volta incluso, pur se in modo davvero molto modesto, i più grandi allevamenti di polli e maiali (ma non di bovini) tra le imprese con obblighi precisi di riduzione: nella propaganda ripetuta un po’ a pappagallo contro la Ue durante le manifestazioni degli agricoltori, si diceva “ma vi rendete conto? Un allevamento paragonato a un’industria”, come se le emissioni derivate dagli allevamenti fossero meno dannose per cittadini e ambiente e soprattutto meno risolvibili che quelle per altri settori: nelle regioni padane, le emissioni di allevamento eguagliano quelle da traffico come fonte primaria di inquinamento da particolato sottile, che resta la prima minaccia alla salute umana: e dall’agricoltura arriva un terzo delle emissioni, ben il 54% delle emissioni di metano antropiche e il 95% di ammoniaca e gli allevamenti sono responsabili del 74% dell’inquinamento idrico; non c’è motivo per cui, esattamente come il settore energetico e quello industriale, anche il settore agricolo, soprattutto quello basato su allevamenti intensivi e pesticidi non debba anch’esso cambiare strada. Tanto più che tecnologie e metodi alternativi, anche di organizzazione del mercato agricolo, esistono e laddove funzionano, possono assicurare anche un accesso più diretto del produttore al consumatore/trice e quindi una migliore remunerazione.

Ma tornando alla questione della qualità dell’aria, il 20 febbraio, proprio nei giorni in cui lo smog è tornato al centro dell’attenzione pubblica, è stata approvata la revisione della direttiva sulla qualità dell’aria dai rappresentanti di Parlamento e Consiglio dei ministri UE con la mediazione della Commissione, riuniti nel cosiddetto trilogo.

La direttiva, pezzo centrale della strategia “inquinamento zero” e del Green Deal era stata presentata dalla Commissione nell’ottobre del 2022 e aveva due ambizioni centrali: la prima era portare i limiti di inquinamento il più vicino possibile ai valori indicati nel 2021 dall’OMS come sicuri per la salute pubblica, a partire dal fatto che circa 330.000 europei all’anno muoiono prematuramente per cause associate alla qualità dell’aria: l’Italia è al primo posto in Europa in questa triste classifica con circa 80.000 morti premature secondo l’Agenzia europea dell’Ambiente. E il secondo è di contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici, dato che inquinamento ed emissioni climalteranti sono spesso due facce della stessa medaglia.

Anche questa direttiva non è sfuggita all’attacco di vari gruppi di interesse ma anche di settori politici sempre più convinti di potere acquisire consenso con la battaglia contro tutto ciò che sa di verde – battaglia, peraltro, del tutto ideologica e disinteressata alle conseguenze su salute e ambiente, ma anche su opportunità di nuovo lavoro e attività economica.

E infatti, nel maggio scorso, proprio i rappresentati delle quattro regioni della “Padania” capitanati dalla Lombardia si sono resi protagonisti di una forte azione di lobby bipartisan al grido di “dovremmo chiudere la maggior parte dell’attività economica se dovessimo rispettare le nuove regole”; si sono cosi adoperati per portare l’Italia a chiedere di ridurre gli obblighi e introdurre lunghe deroghe nell’applicazione delle nuove norme; e questo nonostante l’Italia fosse stata condannata nel 2019 dalla Corte di Giustizia europea per non avere applicato l’attuale direttiva e per non avere fatto sostanzialmente nulla dal 2010 per ridurre l’inquinamento dell’aria. E nonostante anche gli appelli di medici ed epidemiologi che negli stessi giorni hanno ben dimostrato come la continua opposizione a misure ambiziose costi moltissimo al sistema sanitario e ai cittadini; hanno sottolineato che ci sono soluzioni precise e sperimentate per ridurre l’inquinamento,- dagli investimenti sui mezzi pubblici ed edifici, alla riduzione delle emissioni di ammoniaca e altri precursori nel particolato nei settori dell’agricoltura- e che la direttiva concede tempi abbastanza congrui per metterle in atto.

Il risultato finale, benché meno ambizioso del necessario, rappresenta comunque un miglioramento rispetto alla situazione attuale, stabilendo obbiettivi di qualità dell'aria più severi per il 2030 e possibilità di compensazione per i cittadini in caso di autorità inadempienti.

Nello specifico, l'accordo interistituzionale prevede una riduzione dei valori limite per una serie di inquinanti entro il 2030, tra cui le particelle fini e il particolato (PM2,5 e PM10), il biossido di azoto (NO2), il biossido di zolfo (SO2), il benzo(a)pirene, l'arsenico, il piombo e il nichel. Ad esempio, entro il 2030, i valori limite per il PM2,5 dovranno essere ridotti da 25 a 10 microgrammi/m³ (µg/m³) e quelli per l'NO2 non dovranno superare i 20 µg/m³, rispetto agli attuali 40 µg/m³.

D'altra parte, il testo concede agli Stati membri un’eccessiva flessibilità, poiché avranno a disposizione un arsenale di esenzioni sulle quali i nostri padani si butteranno di certo a pesce: potranno chiedere, entro il 31 gennaio 2029, un rinvio della scadenza di 10 anni - spostando la scadenza al 2040 - per le aree in cui tali obiettivi non possono essere raggiunti in tempo a causa di particolari condizioni climatiche o orografiche, o se le riduzioni dei valori inquinanti possono essere raggiunte solo sostituendo una parte considerevole dei sistemi di riscaldamento domestico esistenti, contraddicendo in questo modo la dichiarata intenzione della UE di dare la priorità alla ristrutturazione degli edifici, causa del 40% delle emissioni inquinanti.

Inoltre, gli Stati membri possono chiedere un rinvio di cinque anni - fino al 2035 - se le proiezioni mostrano semplicemente che i valori limite non possono essere raggiunti in tempo.

Su richiesta del Parlamento, gli Stati membri dovranno includere nei piani di azione per la qualità dell'aria proiezioni che dimostrino che i casi di superamento dei valori limite saranno i più brevi possibile. Questi dovranno essere redatti al più tardi entro il dicembre 2028 e aggiornati di anno in anno durante il periodo di differimento, per fare il punto sull'attuazione delle direttive riviste. Oltre ai piani per la qualità dell'aria per le aree in cui gli inquinanti superano i limiti, dovranno essere proposti piani d'azione a breve termine che prevedano misure di emergenza, come limitazioni del traffico veicolare o la sospensione dei lavori di costruzione.

I valori limite dovranno essere riesaminati entro il 31 dicembre 2030 e successivamente ogni 5 anni. Questo riesame potrebbe essere più frequente, a seconda della revisione delle linee guida dell'OMS o delle scoperte scientifiche in questo settore. La Commissione potrà anche presentare proposte che includano altri inquinanti o proporre nuove misure a livello europeo.

Per raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030, i negoziatori del Parlamento e del Consiglio hanno anche concordato di aumentare il numero di punti di campionamento della qualità dell'aria nelle città. Visto il modo in cui vengono smontati e diminuiti gli autovelox, sarà interessante vedere se quest’obbligo sarà davvero rispettato. L'accordo raggiunto dal Parlamento e dal Consiglio dell'UE comprende inoltre disposizioni per garantire che i cittadini abbiano il diritto di chiedere e ottenere un risarcimento nel caso in cui si siano verificati danni alla salute a causa di una violazione - "intenzionale o per negligenza" - delle norme nazionali che recepiscono alcune disposizioni della direttiva. La direttiva introduce anche il diritto per i malati di cancro di chiedere un risarcimento se le loro autorità non rispettano i nuovi limiti di inquinamento e la possibilità per associazioni di cittadini attive nel campo della salute pubblica o dell'ambiente di contestare l'attuazione del testo.

Dovrà inoltre essere approvato dai rappresentanti permanenti degli Stati membri (Coreper), prima di essere ratificato dall'UE27.

L’inquinamento dell’aria non è un flagello divino senza possibilità di soluzione. Gli esempi di Londra e altre città dimostrano che, orografia o no, la qualità dell’aria può essere migliorata a beneficio di tutti. Sarà anche la pressione dei cittadini “inquinati” a dovere agire per spingere al miglioramento di una situazione che da anni non vede che misure tampone provvisorie e inefficaci, subito dimenticate al cadere delle prime piogge.

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25.02.2024

Che ci sia un problema grave di inquinamento in pianura padana e che in molte città, tra le quali la mia, Brescia, l’aria sia particolarmente insalubre è cosa nota da anni. Nel lontano 2006, l’allora assessore Ettore Brunelli scriveva ai suoi colleghi assessori delle altre città lombarde per sottolineare la necessità di coordinarsi rispetto alla Regione, il cui Piano di azione era già allora totalmente inadeguato. In quella nota, che portò in effetti a un lavoro comune fra vari assessori, poi disperso ma che sarebbe il caso di riprendere, già si parlava di come tutta la Lombardia dovesse essere definita “zona critica” e del grande ruolo di autostrade e velocità delle automobili nell’aumento dell’inquinamento. Oggi è anche più che evidente il ruolo negativo del riscaldamento e raffrescamento degli edifici e degli allevamenti e dell’uso intensivo di pesticidi: non è un caso che sia Soresina, località in mezzo alla campagna della provincia di Cremona, la località con l’aria più inquinata della Lombardia: sospetto che abbia tale poco invidiabile record anche perché è una delle pochissime località agricole in cui è presente una centralina di misurazione dell’inquinamento da polveri sospese: è molto probabile che la situazione sarebbe analoga anche in altre località. Ma del resto, questo delle emissioni e dell’inquinamento in agricoltura è un tabù che resiste al di là di ogni logica, come si vede dalla battaglia che stanno conducendo le grandi lobby agricole (molto meno i piccoli e medi agricoltori) contro la nuova normativa europea sulle emissioni industriali, che ha per la prima volta incluso, pur se in modo davvero molto modesto, i più grandi allevamenti di polli e maiali (ma non di bovini) tra le imprese con obblighi precisi di riduzione: nella propaganda ripetuta un po’ a pappagallo contro la Ue durante le manifestazioni degli agricoltori, si diceva “ma vi rendete conto? Un allevamento paragonato a un’industria”, come se le emissioni derivate dagli allevamenti fossero meno dannose per cittadini e ambiente e soprattutto meno risolvibili che quelle per altri settori: nelle regioni padane, le emissioni di allevamento eguagliano quelle da traffico come fonte primaria di inquinamento da particolato sottile, che resta la prima minaccia alla salute umana: e dall’agricoltura arriva un terzo delle emissioni, ben il 54% delle emissioni di metano antropiche e il 95% di ammoniaca e gli allevamenti sono responsabili del 74% dell’inquinamento idrico; non c’è motivo per cui, esattamente come il settore energetico e quello industriale, anche il settore agricolo, soprattutto quello basato su allevamenti intensivi e pesticidi non debba anch’esso cambiare strada. Tanto più che tecnologie e metodi alternativi, anche di organizzazione del mercato agricolo, esistono e laddove funzionano, possono assicurare anche un accesso più diretto del produttore al consumatore/trice e quindi una migliore remunerazione.

Ma tornando alla questione della qualità dell’aria, il 20 febbraio, proprio nei giorni in cui lo smog è tornato al centro dell’attenzione pubblica, è stata approvata la revisione della direttiva sulla qualità dell’aria dai rappresentanti di Parlamento e Consiglio dei ministri UE con la mediazione della Commissione, riuniti nel cosiddetto trilogo.

La direttiva, pezzo centrale della strategia “inquinamento zero” e del Green Deal era stata presentata dalla Commissione nell’ottobre del 2022 e aveva due ambizioni centrali: la prima era portare i limiti di inquinamento il più vicino possibile ai valori indicati nel 2021 dall’OMS come sicuri per la salute pubblica, a partire dal fatto che circa 330.000 europei all’anno muoiono prematuramente per cause associate alla qualità dell’aria: l’Italia è al primo posto in Europa in questa triste classifica con circa 80.000 morti premature secondo l’Agenzia europea dell’Ambiente. E il secondo è di contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici, dato che inquinamento ed emissioni climalteranti sono spesso due facce della stessa medaglia.

Anche questa direttiva non è sfuggita all’attacco di vari gruppi di interesse ma anche di settori politici sempre più convinti di potere acquisire consenso con la battaglia contro tutto ciò che sa di verde – battaglia, peraltro, del tutto ideologica e disinteressata alle conseguenze su salute e ambiente, ma anche su opportunità di nuovo lavoro e attività economica.

E infatti, nel maggio scorso, proprio i rappresentati delle quattro regioni della “Padania” capitanati dalla Lombardia si sono resi protagonisti di una forte azione di lobby bipartisan al grido di “dovremmo chiudere la maggior parte dell’attività economica se dovessimo rispettare le nuove regole”; si sono cosi adoperati per portare l’Italia a chiedere di ridurre gli obblighi e introdurre lunghe deroghe nell’applicazione delle nuove norme; e questo nonostante l’Italia fosse stata condannata nel 2019 dalla Corte di Giustizia europea per non avere applicato l’attuale direttiva e per non avere........

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