Oggi si apre la COP28 a Dubai. Ecco quattro temi che dovremo guardare tra due settimane per capire com’è andata.

1. Global stocktaking o “bilancio globale”: nel 2015 a Parigi i paesi si erano impegnati a valutare ogni cinque anni a partire dal 2023 la situazione reale dell’azione di lotta ai cambiamenti climatici. Questo processo di analisi avviato da tempo rappresenta il più importante e ampio di valutazione mai fatto e il rapporto di sintesi è uscito a settembre, confermando che siamo pericolosamente fuori strada e che molto di più deve essere fatto e più velocemente. Se continuiamo al ritmo attuale di politiche climatiche, il pianeta sarà più caldo di circa 2,9° a fine secolo. Contro l’1,5° che ci eravamo collettivamente impegnati a mantenere.

2. I finanziamenti a favore dei paesi meno sviluppati e più colpiti dai cambiamenti climatici che rimangono insufficienti anche rispetto agli impegni che i paesi sviluppati avevano sottoscritto di contribuire con 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020, che era stato l’unico successo della COP della 2009 a Copenhagen. Nel 2021 siamo arrivati solo a 89 Miliardi. A Dubai bisognerà almeno tentare di decidere anche su un fondo addizionale e più ambizioso gestito attraverso l’intervento delle banche multilaterali, che hanno bisogno di essere riformate ed adattate alla sfida di sostenere la lotta ai cambiamenti climatici. Inoltre, alla COP27 al Cairo ci si era accordati sul principio il cosiddetto Fondo Danni e Perdite (loss and damage) sul quale si è giunti ad un accordo provvisorio qualche settimana fa. Ma come spiega Simone Tagliapietra di Bruegel ci sono ancora diverse questioni aperte: e in particolare quanto e quali strumenti finanziari utilizzerà il Fondo, chi saranno precisamente i destinatari e chi dovrà contribuirà e quanto ad esso. La Cina e Arabia Saudita, per dire, non dovrebbero dare un contributo anch’essi intervenire dato che non si possono più definire come paesi in via di sviluppo e contribuiscono in modo importante alle emissioni?

3. L’uscita dalla dipendenza dei combustibili fossili come reale prospettiva di una azione urgente e globale entro il 2050 e contemporanea definizione di obiettivi precisi per rinnovabili ed efficienza energetica. Alla COP26 di Glasgow non si era andati oltre un generico impegno a diminuire progressivamente l’uso del carbone e alla COP27 si era genericamente auspicato di spingere sull’energia a “basse emissioni”. Il G7 si è messo d’accordo per spingere sull’obiettivo di dipendere prevalentemente dalle rinnovabili entro il 2035 e di sospendere sussidi pubblici allo sfruttamento di fonti fossili senza meccanismi di recupero della CO2 (che però ancora non esistono). USA e UE spingono per andare nella direzione di un impegno a uscire dai fossili e dai sussidi pubblici alle industrie che li producono. Evidentemente, Dubai, i paesi arabi, ma non solo, spingono e pagano profumatamente per andare in direzione opposta e parlano al massimo di una diminuzione progressiva che impegnerebbe solo le imprese che producono petrolio e gas e non anche le emissioni derivanti dagli usi finali di petrolio e gas. La Presidenza di COP28 spinge per non parlare chiaramente di uscita dai fossili entro il 2050, ma si limita a valorizzare l’impegno a triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030 come richiesto dalla IEA e dal G20. Molti ritengono che questo sia un risultato raggiungibile dalla COP28. E sarebbe di sicuro positivo, ma non sufficiente. Soprattutto considerando il fatto che dall’inizio della guerra della Russia contro l’Ucraina, gli investimenti e risorse a disposizione di petrolio, gas hanno ripreso a crescere ( L'Agenzia Internazionale per l'Energia prevede che gli investimenti globali nel settore petrolifero e del gas aumenteranno di circa l'11%, raggiungendo i 528 miliardi di dollari nel 2023, il livello più alto dal 2015).

4. L’impatto del settore agricolo sulle emissioni clima-alteranti. Nonostante il settore agroindustriale europeo ( e in particolare quello italiano) sia del tutto refrattario ad ogni tipo di intervento significativo, come dimostrato dal sostanziale fallimento del Green Deal europeo in agricoltura, è un fatto dimostrato che il sistema agricolo e alimentare siano responsabili del 34% delle emissioni globali; la Presidenza della COP28 ha ripreso questo tema in particolare per inserire anche questo settore nei piani che definiscono il contributo di ogni paese alla mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici (NDC o nationally determined contribution e NAP, National Adaptation Plans, che andranno adattati entro il 2025).

Se queste sono le questioni aperte più importanti da decidere nelle prossime due settimane di negoziati, non possiamo che constatare che il contesto nel quale si svolge questa COP28 sia molto negativo. Vediamo perché.

La Cop28 a Dubai inizia nel contesto di almeno tre conflitti sanguinosi, crudeli e senza alcuna prospettiva di soluzione a breve: Sudan (9 milioni di sfollati e migliaia e migliaia di vittime nel disinteresse generale), l'aggressione russa all'Ucraina e l'interminabile conflitto fra Israele e Hamas. E nel contesto anche di una decisa controffensiva mediatica, ma anche molto concreta, di paesi e interessi economici che si oppongono all'accelerazione dell'uscita dalla dipendenza dai combustibili fossili; lo fanno in modo spregiudicato come dimostra l'inguardabile operazione della presidenza della COP28 denunciata dalla BBC per stringere affari su oil and gas durante i colloqui che dovrebbero invece portare sui punti aperti del negoziato o dell'Arabia Saudita, che per aumentare la dipendenza dei paesi più poveri, promuove un grande piano di investimenti nei settori del petrolio e del gas, come riportato dal Guardian; ma questo è ben visibile anche in Europa e in Italia nonostante il fatto che alla COP28 l’UE porti comunque posizioni avanzate su molte delle questioni più importanti. È un fatto che abbiamo visto all’opera nello smantellamento di una parte delle regole sul Green deal europee, che agro-industria, parte della manifattura e settore fossile (leggi Coldiretti e ENI in Italia) siano molto attivi, approfittano dell' eco-scetticismo quando non negazionismo e anche ignoranza di una parte importante della politica soprattutto di destra e dell'infinita disponibilità economica per pagare campagne di disinformazione e lobby a ogni livello.

La situazione e il "mood" sono perciò molto diversi da quello del 2018, del movimento globale che riusciva a portare nelle piazze del mondo intero milioni di giovani, dei rapporti dell'IPCC che riuscivano a conquistare le prime pagine di tutti i giornali con le loro evidenze dell'accelerazione dei cambiamenti climatici e dei loro effetti, dell’impatto sulle elezioni di molti paesi e della UE di questa sfida davvero globale. Eppure, oggi la situazione è anche peggiore, con il 2022 e 2023 anni più bollenti di sempre e una traiettoria prevista di un aumento del 9% di emissioni senza radicali interventi, quando per arrivare al nostro obiettivo comune di mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5° dovremmo ridurle del 45% a livello globale entro il 2030.

Ovviamente non tutto è perduto: ma emerge con sempre maggiore evidenza che solo una massiccia e rinnovata mobilitazione della società civile, della politica dei media e soprattutto degli attori economici che già hanno scelto la sostenibilità e che devono investire moltissimo di più di quello che fanno per contrastare lo smantellamento delle politiche climatiche, potrà invertire una tendenza che al di là di come andrà a la COP28 Dubai non ci rimetterà sulla strada di mantenere entro il 1,5° il riscaldamento globale entro fine secolo e ci esporrà, tutti e tutte, a effetti che non possiamo neppure immaginare sulle nostre vite, quando sarebbe ancora perfettamente possibile trasformare questo rischio in una enorme opportunità, per tutti e tutte.

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Oggi si apre la COP28 a Dubai. Ecco quattro temi che dovremo guardare tra due settimane per capire com’è andata.

1. Global stocktaking o “bilancio globale”: nel 2015 a Parigi i paesi si erano impegnati a valutare ogni cinque anni a partire dal 2023 la situazione reale dell’azione di lotta ai cambiamenti climatici. Questo processo di analisi avviato da tempo rappresenta il più importante e ampio di valutazione mai fatto e il rapporto di sintesi è uscito a settembre, confermando che siamo pericolosamente fuori strada e che molto di più deve essere fatto e più velocemente. Se continuiamo al ritmo attuale di politiche climatiche, il pianeta sarà più caldo di circa 2,9° a fine secolo. Contro l’1,5° che ci eravamo collettivamente impegnati a mantenere.

2. I finanziamenti a favore dei paesi meno sviluppati e più colpiti dai cambiamenti climatici che rimangono insufficienti anche rispetto agli impegni che i paesi sviluppati avevano sottoscritto di contribuire con 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020, che era stato l’unico successo della COP della 2009 a Copenhagen. Nel 2021 siamo arrivati solo a 89 Miliardi. A Dubai bisognerà almeno tentare di decidere anche su un fondo addizionale e più ambizioso gestito attraverso l’intervento delle banche multilaterali, che hanno bisogno di essere riformate ed adattate alla sfida di sostenere la lotta ai cambiamenti climatici. Inoltre, alla COP27 al Cairo ci si era accordati sul principio il cosiddetto Fondo Danni e Perdite (loss and damage) sul quale si è giunti ad un accordo provvisorio qualche settimana fa. Ma come spiega Simone Tagliapietra di Bruegel ci sono ancora diverse questioni aperte: e in particolare quanto e quali strumenti finanziari utilizzerà il Fondo, chi saranno precisamente i destinatari e chi dovrà contribuirà e quanto ad esso. La Cina e Arabia Saudita, per dire, non dovrebbero dare un contributo anch’essi intervenire dato che non si possono più definire come paesi in via di sviluppo e contribuiscono in modo importante alle emissioni?

3. L’uscita dalla dipendenza dei combustibili fossili come reale prospettiva di una azione urgente e globale entro il 2050 e contemporanea definizione di obiettivi precisi per rinnovabili ed efficienza energetica. Alla COP26 di Glasgow non si era andati oltre un generico impegno a diminuire progressivamente l’uso del carbone e alla COP27 si era genericamente auspicato di spingere sull’energia a “basse emissioni”. Il G7 si è messo d’accordo per spingere sull’obiettivo di dipendere prevalentemente dalle rinnovabili entro il 2035 e di sospendere sussidi pubblici allo sfruttamento di fonti fossili senza meccanismi di recupero della CO2 (che però ancora non esistono). USA e UE spingono per andare nella direzione di un impegno a uscire dai fossili e dai sussidi pubblici alle industrie che li producono. Evidentemente, Dubai, i paesi arabi, ma non solo, spingono e pagano profumatamente per andare in direzione opposta e parlano al massimo di una diminuzione progressiva che impegnerebbe solo le imprese che producono petrolio e gas e non anche le emissioni derivanti dagli usi finali di petrolio e gas. La Presidenza di COP28 spinge per non parlare chiaramente di uscita dai fossili entro il 2050, ma si limita a valorizzare l’impegno a triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030 come richiesto dalla IEA e dal G20. Molti ritengono che questo sia un risultato raggiungibile dalla COP28. E sarebbe di sicuro positivo, ma non sufficiente. Soprattutto considerando il fatto che dall’inizio della guerra della Russia contro l’Ucraina, gli investimenti e risorse a disposizione di petrolio, gas hanno ripreso a crescere ( L'Agenzia Internazionale per l'Energia prevede che gli investimenti globali nel settore petrolifero e del gas aumenteranno di circa l'11%, raggiungendo i 528 miliardi di dollari nel 2023, il livello più alto dal 2015).

4. L’impatto del settore agricolo sulle emissioni clima-alteranti. Nonostante il settore agroindustriale europeo ( e in particolare quello italiano) sia del tutto refrattario ad ogni tipo di intervento significativo, come dimostrato dal sostanziale fallimento del Green Deal europeo in agricoltura, è un fatto dimostrato che il sistema agricolo e alimentare siano responsabili del 34% delle emissioni globali; la Presidenza della COP28 ha ripreso questo tema in particolare per inserire anche questo settore nei piani che definiscono il contributo di ogni paese alla mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici (NDC o nationally determined contribution e NAP, National Adaptation Plans, che andranno adattati entro il 2025).

Se queste sono le questioni aperte più importanti da decidere nelle prossime due settimane di negoziati, non possiamo che constatare che il contesto nel quale si svolge questa COP28 sia molto negativo. Vediamo perché.

La Cop28 a Dubai inizia nel contesto di almeno tre conflitti sanguinosi, crudeli e senza alcuna prospettiva di soluzione a breve: Sudan (9 milioni di sfollati e migliaia e migliaia di vittime nel disinteresse generale), l'aggressione russa all'Ucraina e l'interminabile conflitto fra Israele e Hamas. E nel contesto anche di una decisa controffensiva mediatica, ma anche molto concreta, di paesi e interessi economici che si oppongono all'accelerazione dell'uscita dalla dipendenza dai combustibili fossili; lo fanno in modo spregiudicato come dimostra l'inguardabile operazione della presidenza della COP28 denunciata dalla BBC per stringere affari su oil and gas durante i colloqui che dovrebbero invece portare sui punti aperti del negoziato o dell'Arabia Saudita, che per aumentare la dipendenza dei paesi più poveri, promuove un grande piano di investimenti nei settori del petrolio e del gas, come riportato dal Guardian; ma questo è ben visibile anche in Europa e in Italia nonostante il fatto che alla COP28 l’UE porti comunque posizioni avanzate su molte delle questioni più importanti. È un fatto che abbiamo visto all’opera nello smantellamento di una parte delle regole sul Green deal europee, che agro-industria, parte della manifattura e settore fossile (leggi Coldiretti e ENI in Italia) siano molto attivi, approfittano dell' eco-scetticismo quando non negazionismo e anche ignoranza di una parte importante della politica soprattutto di destra e dell'infinita disponibilità economica per pagare campagne di disinformazione e lobby a ogni livello.

La situazione e il "mood" sono perciò molto diversi da quello del 2018, del movimento globale che riusciva a portare nelle piazze del mondo intero milioni di giovani, dei rapporti dell'IPCC che riuscivano a conquistare le prime pagine di tutti i giornali con le loro evidenze dell'accelerazione dei cambiamenti climatici e dei loro effetti, dell’impatto sulle elezioni di molti paesi e della UE di questa sfida davvero globale. Eppure, oggi la situazione è anche peggiore, con il 2022 e 2023 anni più bollenti di sempre e una traiettoria prevista di un aumento del 9% di emissioni senza radicali interventi, quando per arrivare al nostro obiettivo comune di mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5° dovremmo ridurle del 45% a livello globale entro il 2030.

Ovviamente non tutto è perduto: ma emerge con sempre maggiore evidenza che solo una massiccia e rinnovata mobilitazione della società civile, della politica dei media e soprattutto degli attori economici che già hanno scelto la sostenibilità e che devono investire moltissimo di più di quello che fanno per contrastare lo smantellamento delle politiche climatiche, potrà invertire una tendenza che al di là di come andrà a la COP28 Dubai non ci rimetterà sulla strada di mantenere entro il 1,5° il riscaldamento globale entro fine secolo e ci esporrà, tutti e tutte, a effetti che non possiamo neppure immaginare sulle nostre vite, quando sarebbe ancora perfettamente possibile trasformare questo rischio in una enorme opportunità, per tutti e tutte.

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Perché la Cop28 parte da un contesto negativo

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30.11.2023

Oggi si apre la COP28 a Dubai. Ecco quattro temi che dovremo guardare tra due settimane per capire com’è andata.

1. Global stocktaking o “bilancio globale”: nel 2015 a Parigi i paesi si erano impegnati a valutare ogni cinque anni a partire dal 2023 la situazione reale dell’azione di lotta ai cambiamenti climatici. Questo processo di analisi avviato da tempo rappresenta il più importante e ampio di valutazione mai fatto e il rapporto di sintesi è uscito a settembre, confermando che siamo pericolosamente fuori strada e che molto di più deve essere fatto e più velocemente. Se continuiamo al ritmo attuale di politiche climatiche, il pianeta sarà più caldo di circa 2,9° a fine secolo. Contro l’1,5° che ci eravamo collettivamente impegnati a mantenere.

2. I finanziamenti a favore dei paesi meno sviluppati e più colpiti dai cambiamenti climatici che rimangono insufficienti anche rispetto agli impegni che i paesi sviluppati avevano sottoscritto di contribuire con 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020, che era stato l’unico successo della COP della 2009 a Copenhagen. Nel 2021 siamo arrivati solo a 89 Miliardi. A Dubai bisognerà almeno tentare di decidere anche su un fondo addizionale e più ambizioso gestito attraverso l’intervento delle banche multilaterali, che hanno bisogno di essere riformate ed adattate alla sfida di sostenere la lotta ai cambiamenti climatici. Inoltre, alla COP27 al Cairo ci si era accordati sul principio il cosiddetto Fondo Danni e Perdite (loss and damage) sul quale si è giunti ad un accordo provvisorio qualche settimana fa. Ma come spiega Simone Tagliapietra di Bruegel ci sono ancora diverse questioni aperte: e in particolare quanto e quali strumenti finanziari utilizzerà il Fondo, chi saranno precisamente i destinatari e chi dovrà contribuirà e quanto ad esso. La Cina e Arabia Saudita, per dire, non dovrebbero dare un contributo anch’essi intervenire dato che non si possono più definire come paesi in via di sviluppo e contribuiscono in modo importante alle emissioni?

3. L’uscita dalla dipendenza dei combustibili fossili come reale prospettiva di una azione urgente e globale entro il 2050 e contemporanea definizione di obiettivi precisi per rinnovabili ed efficienza energetica. Alla COP26 di Glasgow non si era andati oltre un generico impegno a diminuire progressivamente l’uso del carbone e alla COP27 si era genericamente auspicato di spingere sull’energia a “basse emissioni”. Il G7 si è messo d’accordo per spingere sull’obiettivo di dipendere prevalentemente dalle rinnovabili entro il 2035 e di sospendere sussidi pubblici allo sfruttamento di fonti fossili senza meccanismi di recupero della CO2 (che però ancora non esistono). USA e UE spingono per andare nella direzione di un impegno a uscire dai fossili e dai sussidi pubblici alle industrie che li producono. Evidentemente, Dubai, i paesi arabi, ma non solo, spingono e pagano profumatamente per andare in direzione opposta e parlano al massimo di una diminuzione progressiva che impegnerebbe solo le imprese che producono petrolio e gas e non anche le emissioni derivanti dagli usi finali di petrolio e gas. La Presidenza di COP28 spinge per non parlare chiaramente di uscita dai fossili entro il 2050, ma si limita a valorizzare l’impegno a triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030 come richiesto dalla IEA e dal G20. Molti ritengono che questo sia un risultato raggiungibile dalla COP28. E sarebbe di sicuro positivo, ma non sufficiente. Soprattutto considerando il fatto che dall’inizio della guerra della Russia contro l’Ucraina, gli investimenti e risorse a disposizione di petrolio, gas hanno ripreso a crescere ( L'Agenzia Internazionale per l'Energia prevede che gli investimenti globali nel settore petrolifero e del gas aumenteranno di circa l'11%, raggiungendo i 528 miliardi di dollari nel 2023, il livello più alto dal 2015).

4. L’impatto del settore agricolo sulle emissioni clima-alteranti. Nonostante il settore........

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