Non so se sia capitato anche a voi di passeggiare in un supermercato e di chiedervi la ragione per la quale mele, fagiolini, melanzane o pere devono essere così generosamente coperte di plastica e perché la persona addetta a tagliare formaggio o a darvi del prosciutto deve per forza mettere il tutto in altri contenitori di plastica, se fino a non molti anni fa tutto era tranquillamente sfuso; al punto che diventa una vera impresa cercare di comprare frutta e verdura non imballata, a meno che, come mi ha detto un addetto un po’ scocciato, non si vada al mercato.

Vi sarà anche capitato di chiedervi perché, ordinando un caffè o un bicchiere di acqua in un bar magari anche chic in molti luoghi ameni del nostro paese, ci si trovi di fronte a questa orrenda abitudine di riceverli in contenitori di plastica o anche di carta plastificata. Oppure di stupirvi se, per arrivare al pacchettino ordinato online, si deve prima aprire una enorme scatola. O perché, nonostante sia perfettamente fattibile comprare detersivi, pasta, riso, e molti altri prodotti sfusi, questo sia davvero possibile solo in casi limitatissimi. E ancora come mai io qui in Belgio riporto regolarmente le mie bottiglie di vetro al suddetto supermercato, mentre in Italia questo non succede più.

Ecco, la direttiva europea sugli imballaggi proposta dalla Commissione europea e passata ieri pesantemente indebolita al Parlamento a Strasburgo, cercava di rispondere esattamente a questi quesiti, - e alle conseguenze nefaste che la sovraproduzione sempre crescente di imballaggi provoca su ambiente ed economia- : la proposta della Commissione prevede misure per ridurre la quantità di rifiuti limitando gli imballaggi non necessari e in particolare gli imballaggi monouso, consentendone riutilizzo e sistemi di vuoto a rendere; rendendo tutti gli imballaggi riciclabili entro il 2030, stabilendo requisiti obbligatori di contenuto riciclato per gli imballaggi in plastica e obbligando alcuni imballaggi a essere compostabili; migliorando la gestione dei rifiuti in modo che i rifiuti di imballaggio siano adeguatamente raccolti, selezionati e riciclati.

Sono questi obiettivi folli? Non mi pare, considerando che se non si fa nulla da qui al 2030 i rifiuti da imballaggio di plastica potrebbero aumentare addirittura del 46%. Eppure, come per le automobili e le case green, anche su questo tema l’Italia ha giocato in Europa un ruolo di freno, questa volta purtroppo in modo trasversale. La ragione è che nel dibattito italiano questa direttiva è diventata luogo di uno scontro del tutto innecessario fra riciclo da una parte e riuso e riduzione dei rifiuti dall’altra; si è cercato di difendere una eccellenza italiana reale, quella del riciclo, sorvolando sul fatto inoppugnabile che l’aumento costante dei rifiuti da imballaggio non potrà essere risolto con il riciclo, ma solo con azioni decise per ridurli alla fonte; e trascurando anche che riduzione e riuso possono rappresentare opportunità di business e di nuova occupazione.

Il 50% della carta e Il 40% della plastica in Europa sono usati per imballaggi; costituiscono il 60% dei rifiuti totali di plastica, con tutti gli effetti negativi su emissioni, inquinamento, spreco di risorse, costi per la loro gestione, che questo comporta; e i numeri di ISPRA ci dicono che anche in Italia solo il 55% della plastica è avviato al riciclo, pur se nell’ambito di una percentuale generale molto alta di riciclo del 75%.

La strategia di contrapporre l’obiettivo della riduzione e del riuso a quello del riciclo applicata da precisi gruppi di interesse ha convinto molti deputati e deputate e ha ottenuto come risultato quello di indebolire molto la direttiva non tanto negli obiettivi di prevenzione dei rifiuti - che sono stati mantenuti al 5% entro il 2030, al 10% entro il 2035 e al 15% entro il 2040, insieme ad altre disposizioni importanti sul vuoto a rendere, quanto sui meccanismi cruciali necessari per raggiungere effettivamente tali obiettivi.

Una lista che elencava i formati di imballaggio da superare è stata fortemente ridotta con ampie deroghe proposte dalla Commissione Industria e dagli eurodeputati italiani. Tra i formati di imballaggio eliminati dalla lista figurano i piatti e le tazze monouso dei ristoranti, gli imballaggi monouso per frutta e verdura, le vaschette e le bustine monouso per salse e zucchero e gli obbiettivi vincolanti per il riuso sono stati indeboliti con larghissime deroghe ed esenzioni.

Nonostante il giubilo bipartisan sui social subito dopo il voto Io penso che si tratti in realtà di una vittoria di Pirro, che mira a mantenere uno status quo non sostenibile, non aiuterà la trasformazione e la competitività del nostro sistema economico e industriale, si basa su una visione distorta delle priorità in tempi di emergenza climatica e ci fa perdere tempo e risorse. L’obiettivo del Green deal è esattamente quello di prepararci per tempo e pianificare una trasformazione che è inevitabile. Continuare ad ostacolarlo e ritardarlo non fa che ostacolare e ritardare anche le grandi opportunità di crescita sostenibile possibili per l’Italia e l’Europa.

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Non so se sia capitato anche a voi di passeggiare in un supermercato e di chiedervi la ragione per la quale mele, fagiolini, melanzane o pere devono essere così generosamente coperte di plastica e perché la persona addetta a tagliare formaggio o a darvi del prosciutto deve per forza mettere il tutto in altri contenitori di plastica, se fino a non molti anni fa tutto era tranquillamente sfuso; al punto che diventa una vera impresa cercare di comprare frutta e verdura non imballata, a meno che, come mi ha detto un addetto un po’ scocciato, non si vada al mercato.

Vi sarà anche capitato di chiedervi perché, ordinando un caffè o un bicchiere di acqua in un bar magari anche chic in molti luoghi ameni del nostro paese, ci si trovi di fronte a questa orrenda abitudine di riceverli in contenitori di plastica o anche di carta plastificata. Oppure di stupirvi se, per arrivare al pacchettino ordinato online, si deve prima aprire una enorme scatola. O perché, nonostante sia perfettamente fattibile comprare detersivi, pasta, riso, e molti altri prodotti sfusi, questo sia davvero possibile solo in casi limitatissimi. E ancora come mai io qui in Belgio riporto regolarmente le mie bottiglie di vetro al suddetto supermercato, mentre in Italia questo non succede più.

Ecco, la direttiva europea sugli imballaggi proposta dalla Commissione europea e passata ieri pesantemente indebolita al Parlamento a Strasburgo, cercava di rispondere esattamente a questi quesiti, - e alle conseguenze nefaste che la sovraproduzione sempre crescente di imballaggi provoca su ambiente ed economia- : la proposta della Commissione prevede misure per ridurre la quantità di rifiuti limitando gli imballaggi non necessari e in particolare gli imballaggi monouso, consentendone riutilizzo e sistemi di vuoto a rendere; rendendo tutti gli imballaggi riciclabili entro il 2030, stabilendo requisiti obbligatori di contenuto riciclato per gli imballaggi in plastica e obbligando alcuni imballaggi a essere compostabili; migliorando la gestione dei rifiuti in modo che i rifiuti di imballaggio siano adeguatamente raccolti, selezionati e riciclati.

Sono questi obiettivi folli? Non mi pare, considerando che se non si fa nulla da qui al 2030 i rifiuti da imballaggio di plastica potrebbero aumentare addirittura del 46%. Eppure, come per le automobili e le case green, anche su questo tema l’Italia ha giocato in Europa un ruolo di freno, questa volta purtroppo in modo trasversale. La ragione è che nel dibattito italiano questa direttiva è diventata luogo di uno scontro del tutto innecessario fra riciclo da una parte e riuso e riduzione dei rifiuti dall’altra; si è cercato di difendere una eccellenza italiana reale, quella del riciclo, sorvolando sul fatto inoppugnabile che l’aumento costante dei rifiuti da imballaggio non potrà essere risolto con il riciclo, ma solo con azioni decise per ridurli alla fonte; e trascurando anche che riduzione e riuso possono rappresentare opportunità di business e di nuova occupazione.

Il 50% della carta e Il 40% della plastica in Europa sono usati per imballaggi; costituiscono il 60% dei rifiuti totali di plastica, con tutti gli effetti negativi su emissioni, inquinamento, spreco di risorse, costi per la loro gestione, che questo comporta; e i numeri di ISPRA ci dicono che anche in Italia solo il 55% della plastica è avviato al riciclo, pur se nell’ambito di una percentuale generale molto alta di riciclo del 75%.

La strategia di contrapporre l’obiettivo della riduzione e del riuso a quello del riciclo applicata da precisi gruppi di interesse ha convinto molti deputati e deputate e ha ottenuto come risultato quello di indebolire molto la direttiva non tanto negli obiettivi di prevenzione dei rifiuti - che sono stati mantenuti al 5% entro il 2030, al 10% entro il 2035 e al 15% entro il 2040, insieme ad altre disposizioni importanti sul vuoto a rendere, quanto sui meccanismi cruciali necessari per raggiungere effettivamente tali obiettivi.

Una lista che elencava i formati di imballaggio da superare è stata fortemente ridotta con ampie deroghe proposte dalla Commissione Industria e dagli eurodeputati italiani. Tra i formati di imballaggio eliminati dalla lista figurano i piatti e le tazze monouso dei ristoranti, gli imballaggi monouso per frutta e verdura, le vaschette e le bustine monouso per salse e zucchero e gli obbiettivi vincolanti per il riuso sono stati indeboliti con larghissime deroghe ed esenzioni.

Nonostante il giubilo bipartisan sui social subito dopo il voto Io penso che si tratti in realtà di una vittoria di Pirro, che mira a mantenere uno status quo non sostenibile, non aiuterà la trasformazione e la competitività del nostro sistema economico e industriale, si basa su una visione distorta delle priorità in tempi di emergenza climatica e ci fa perdere tempo e risorse. L’obiettivo del Green deal è esattamente quello di prepararci per tempo e pianificare una trasformazione che è inevitabile. Continuare ad ostacolarlo e ritardarlo non fa che ostacolare e ritardare anche le grandi opportunità di crescita sostenibile possibili per l’Italia e l’Europa.

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Sugli imballaggi in Ue una vittoria di Pirro contro il Green Deal

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24.11.2023

Non so se sia capitato anche a voi di passeggiare in un supermercato e di chiedervi la ragione per la quale mele, fagiolini, melanzane o pere devono essere così generosamente coperte di plastica e perché la persona addetta a tagliare formaggio o a darvi del prosciutto deve per forza mettere il tutto in altri contenitori di plastica, se fino a non molti anni fa tutto era tranquillamente sfuso; al punto che diventa una vera impresa cercare di comprare frutta e verdura non imballata, a meno che, come mi ha detto un addetto un po’ scocciato, non si vada al mercato.

Vi sarà anche capitato di chiedervi perché, ordinando un caffè o un bicchiere di acqua in un bar magari anche chic in molti luoghi ameni del nostro paese, ci si trovi di fronte a questa orrenda abitudine di riceverli in contenitori di plastica o anche di carta plastificata. Oppure di stupirvi se, per arrivare al pacchettino ordinato online, si deve prima aprire una enorme scatola. O perché, nonostante sia perfettamente fattibile comprare detersivi, pasta, riso, e molti altri prodotti sfusi, questo sia davvero possibile solo in casi limitatissimi. E ancora come mai io qui in Belgio riporto regolarmente le mie bottiglie di vetro al suddetto supermercato, mentre in Italia questo non succede più.

Ecco, la direttiva europea sugli imballaggi proposta dalla Commissione europea e passata ieri pesantemente indebolita al Parlamento a Strasburgo, cercava di rispondere esattamente a questi quesiti, - e alle conseguenze nefaste che la sovraproduzione sempre crescente di imballaggi provoca su ambiente ed economia- : la proposta della Commissione prevede misure per ridurre la quantità di rifiuti limitando gli imballaggi non necessari e in particolare gli imballaggi monouso, consentendone riutilizzo e sistemi di vuoto a rendere; rendendo tutti gli imballaggi riciclabili entro il 2030, stabilendo requisiti obbligatori di contenuto riciclato per gli imballaggi in plastica e obbligando alcuni imballaggi a essere compostabili; migliorando la gestione dei rifiuti in modo che i rifiuti di imballaggio siano adeguatamente raccolti, selezionati e riciclati.

Sono questi obiettivi folli? Non mi pare, considerando che se non si fa nulla da qui al 2030 i rifiuti da imballaggio di plastica potrebbero aumentare addirittura del 46%. Eppure, come per le automobili e le case green, anche su questo tema l’Italia ha giocato in Europa un ruolo di freno, questa volta purtroppo in modo trasversale. La ragione è che nel dibattito italiano questa direttiva è diventata luogo di uno scontro del tutto innecessario fra riciclo da una parte e........

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