Roberto Vannacci, fresco di candidatura alle prossime elezioni europee in quota Lega, ha rilasciato al quotidiano La Stampa un’intervista nella quale tra le varie questioni a detta sua supportate da fatti - Mussolini statista, l’aborto che non dovrebbe essere un diritto e la società multiculturale che minaccia l’identità dell’Europa - affronta anche la crisi della scuola. Lo fa sostenendo che gli studenti con disabilità danneggiano l’apprendimento degli studenti senza disabilità. Secondo Vannacci, così come nello sport ognuno compete con avversari di pari livello, anche nella scuola bisognerebbe tornare alle classi separate, nelle quali ognuno potrebbe giovare del contesto di apprendimento adeguato alla propria performance naturale.

Al di là di quello che possiamo pensare delle opinioni di Vannacci, non è di lui che voglio parlare. La cosa che colpisce infatti è che, ultimamente, a sostenere questa tesi non sia l’unico.

Qualche mese fa lo storico Ernesto Galli Della Loggia, dalle colonne della sua rubrica “Parole Scritte” sul Corriere della Sera, affrontava lo stesso tema chiarendo ai lettori che la crisi della scuola, con il fallimento del suo ruolo educativo e la conseguente carenza nei giovani di competenze conoscitive e civiche utili al futuro, sarebbe da riferire a una scuola troppo indulgente e vittima del mito dell’inclusione. La convivenza nelle classi italiane, infatti, di ‘cosiddetti normali’ (cit.) con ‘ragazzi disabili gravi e i loro insegnanti personali di sostegno’, con studenti con bisogni educativi speciali, e infine, con sempre più numerosi ragazzi stranieri ‘incapaci di spiccicare una parola d’italiano’, sarebbero la causa dei deludenti risultati scolastici e civili dei nostri giovani.

In altro modo, ad agosto era stata Concita De Gregorio a toccare il tema delle disabilità. De Gregorio, curatrice della rubrica di “Invece Concita”, sul quotidiano La Repubblica, commentava (Il valore di un selfie) la notizia relativa al gruppo di sei ragazzi, tra i quali l’influencer e modello tedesco Janis Danner, che avevano distrutto una statua ottocentesca dello scultore Enrico Butti, mentre vi salivano sopra per farsi un selfie. Con lo scopo di descrivere il comportamento dei giovani in oggetto De Gregorio faceva il seguente parallelismo: "Allora dunque ci sono questi cretini integrali, decerebrati assoluti che in un tempo non così remoto sarebbero stati alle differenziali, seguiti da un insegnante di sostegno che diceva loro vieni tesoro, sillabiamo insieme, pulisciti però prima la bocca. Ecco ci sono questi deficienti, nel senso che letteralmente hanno un deficit cognitivo – non è mica colpa loro, ce l’hanno – e che però pur essendo idioti hanno probabilmente centinaia o migliaia di followers, non ho controllato ma non importa, è assolutamente possibile che siano idoli della comunità".

Sarebbe troppo facile prendersela con Vannacci e questo esercizio di memoria dimostra che abbiamo un problema più ampio, politicamente e culturalmente trasversale e ha tre aspetti: il primo è cosa pensiamo sia la scuola, il secondo è quale pensiamo sia la sfida di crescere e il terzo è l’idea che abbiamo della disabilità.

La funzione della scuola è davvero solo quella di selezionare chi va avanti e chi resta indietro? È questo il valore e la funzione della scuola per la crescita? Se anche fosse vero che la scuola serve solo alla trasmissione di informazioni utili alla creazione di conoscenza, e non anche alla promozione della crescita della persona nella sua globalità, sulla base di quali evidenze la rimozione di ostacoli alla convivenza tra diverse caratteristiche (è questa la definizione di inclusione) in un contesto di apprendimento, sarebbero dannose? Che ruolo hanno nel successo o nell’insuccesso della scuola gli ambienti scolastici, le attrezzature, l’organizzazione dei piani di studio, le nuove tecnologie, la velocità e complessità con la quale la società cambia?

Seconda questione: sono davvero convinti i nostri tre scrittori che per la salute, e quindi anche per gli apprendimenti e i comportamenti delle giovani generazioni, siano rilevanti solo gli aspetti che hanno a che vedere con le condizioni di miglior espressione della performatività cognitiva? E i piani emotivi, relazionali, delle sfide poste da un corpo che cambia, del mondo che gira veloce e dell’identità che si cerca? Questi piani non riguardano e interrogano il successo o l’insuccesso scolastico tanto da rendere la vicenda ben più complessa del suo raffronto atletico tra differenze?

Terza questione: le disabilità. Fino a quando è accettabile il ritardo con il quale personaggi pubblici, e mass media, mancano l’appuntamento con una revisione profonda delle loro rappresentazioni della disabilità? Ogni volta che si usa la disabilità come sinonimo di mancanza individuale - e non come relazione tra caratteristiche dell’individuo (che nella loro diversità fanno parte della natura umana) e ambiente più o meno invalidante - si rinforza lo stigma e la discriminazione di cui un intero gruppo sociale è vittima. Mi piacerebbe pensare che l’insistenza con la quale si ascrive agli studenti con disabilità (e nel caso di Della Loggia anche ai giovani provenienti da altri paesi) la ragione dell’insuccesso degli studenti ‘’con abilità’’, o con la quale si usano le disabilità come stigma negativo (è il caso di De Gregorio), nasconda l’emergere di un sintomo di insicurezza proprio di quel ‘mito dell’abilità’ che tanto normalizza le diversità e performance umane.

Ma se anche fosse così il problema è che bisognerebbe rendersene conto, se no, lo sappiamo, quanto dannosi sono i fenomeni proiettivi. E questo, vale la pena ripeterlo, è un problema di cui lo stesso Vannacci è sintomo.

Segui i temi Commenta con i lettori I commenti dei lettori

HuffPost crede nel valore del confronto tra diverse opinioni. Partecipa al dibattito con gli altri membri della community.

Suggerisci una correzione

Roberto Vannacci, fresco di candidatura alle prossime elezioni europee in quota Lega, ha rilasciato al quotidiano La Stampa un’intervista nella quale tra le varie questioni a detta sua supportate da fatti - Mussolini statista, l’aborto che non dovrebbe essere un diritto e la società multiculturale che minaccia l’identità dell’Europa - affronta anche la crisi della scuola. Lo fa sostenendo che gli studenti con disabilità danneggiano l’apprendimento degli studenti senza disabilità. Secondo Vannacci, così come nello sport ognuno compete con avversari di pari livello, anche nella scuola bisognerebbe tornare alle classi separate, nelle quali ognuno potrebbe giovare del contesto di apprendimento adeguato alla propria performance naturale.

Al di là di quello che possiamo pensare delle opinioni di Vannacci, non è di lui che voglio parlare. La cosa che colpisce infatti è che, ultimamente, a sostenere questa tesi non sia l’unico.

Qualche mese fa lo storico Ernesto Galli Della Loggia, dalle colonne della sua rubrica “Parole Scritte” sul Corriere della Sera, affrontava lo stesso tema chiarendo ai lettori che la crisi della scuola, con il fallimento del suo ruolo educativo e la conseguente carenza nei giovani di competenze conoscitive e civiche utili al futuro, sarebbe da riferire a una scuola troppo indulgente e vittima del mito dell’inclusione. La convivenza nelle classi italiane, infatti, di ‘cosiddetti normali’ (cit.) con ‘ragazzi disabili gravi e i loro insegnanti personali di sostegno’, con studenti con bisogni educativi speciali, e infine, con sempre più numerosi ragazzi stranieri ‘incapaci di spiccicare una parola d’italiano’, sarebbero la causa dei deludenti risultati scolastici e civili dei nostri giovani.

In altro modo, ad agosto era stata Concita De Gregorio a toccare il tema delle disabilità. De Gregorio, curatrice della rubrica di “Invece Concita”, sul quotidiano La Repubblica, commentava (Il valore di un selfie) la notizia relativa al gruppo di sei ragazzi, tra i quali l’influencer e modello tedesco Janis Danner, che avevano distrutto una statua ottocentesca dello scultore Enrico Butti, mentre vi salivano sopra per farsi un selfie. Con lo scopo di descrivere il comportamento dei giovani in oggetto De Gregorio faceva il seguente parallelismo: "Allora dunque ci sono questi cretini integrali, decerebrati assoluti che in un tempo non così remoto sarebbero stati alle differenziali, seguiti da un insegnante di sostegno che diceva loro vieni tesoro, sillabiamo insieme, pulisciti però prima la bocca. Ecco ci sono questi deficienti, nel senso che letteralmente hanno un deficit cognitivo – non è mica colpa loro, ce l’hanno – e che però pur essendo idioti hanno probabilmente centinaia o migliaia di followers, non ho controllato ma non importa, è assolutamente possibile che siano idoli della comunità".

Sarebbe troppo facile prendersela con Vannacci e questo esercizio di memoria dimostra che abbiamo un problema più ampio, politicamente e culturalmente trasversale e ha tre aspetti: il primo è cosa pensiamo sia la scuola, il secondo è quale pensiamo sia la sfida di crescere e il terzo è l’idea che abbiamo della disabilità.

La funzione della scuola è davvero solo quella di selezionare chi va avanti e chi resta indietro? È questo il valore e la funzione della scuola per la crescita? Se anche fosse vero che la scuola serve solo alla trasmissione di informazioni utili alla creazione di conoscenza, e non anche alla promozione della crescita della persona nella sua globalità, sulla base di quali evidenze la rimozione di ostacoli alla convivenza tra diverse caratteristiche (è questa la definizione di inclusione) in un contesto di apprendimento, sarebbero dannose? Che ruolo hanno nel successo o nell’insuccesso della scuola gli ambienti scolastici, le attrezzature, l’organizzazione dei piani di studio, le nuove tecnologie, la velocità e complessità con la quale la società cambia?

Seconda questione: sono davvero convinti i nostri tre scrittori che per la salute, e quindi anche per gli apprendimenti e i comportamenti delle giovani generazioni, siano rilevanti solo gli aspetti che hanno a che vedere con le condizioni di miglior espressione della performatività cognitiva? E i piani emotivi, relazionali, delle sfide poste da un corpo che cambia, del mondo che gira veloce e dell’identità che si cerca? Questi piani non riguardano e interrogano il successo o l’insuccesso scolastico tanto da rendere la vicenda ben più complessa del suo raffronto atletico tra differenze?

Terza questione: le disabilità. Fino a quando è accettabile il ritardo con il quale personaggi pubblici, e mass media, mancano l’appuntamento con una revisione profonda delle loro rappresentazioni della disabilità? Ogni volta che si usa la disabilità come sinonimo di mancanza individuale - e non come relazione tra caratteristiche dell’individuo (che nella loro diversità fanno parte della natura umana) e ambiente più o meno invalidante - si rinforza lo stigma e la discriminazione di cui un intero gruppo sociale è vittima. Mi piacerebbe pensare che l’insistenza con la quale si ascrive agli studenti con disabilità (e nel caso di Della Loggia anche ai giovani provenienti da altri paesi) la ragione dell’insuccesso degli studenti ‘’con abilità’’, o con la quale si usano le disabilità come stigma negativo (è il caso di De Gregorio), nasconda l’emergere di un sintomo di insicurezza proprio di quel ‘mito dell’abilità’ che tanto normalizza le diversità e performance umane.

Ma se anche fosse così il problema è che bisognerebbe rendersene conto, se no, lo sappiamo, quanto dannosi sono i fenomeni proiettivi. E questo, vale la pena ripeterlo, è un problema di cui lo stesso Vannacci è sintomo.

HuffPost crede nel valore del confronto tra diverse opinioni. Partecipa al dibattito con gli altri membri della community.

QOSHE - Vannacci come sintomo - Samuele Pigoni
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Vannacci come sintomo

20 1
29.04.2024

Roberto Vannacci, fresco di candidatura alle prossime elezioni europee in quota Lega, ha rilasciato al quotidiano La Stampa un’intervista nella quale tra le varie questioni a detta sua supportate da fatti - Mussolini statista, l’aborto che non dovrebbe essere un diritto e la società multiculturale che minaccia l’identità dell’Europa - affronta anche la crisi della scuola. Lo fa sostenendo che gli studenti con disabilità danneggiano l’apprendimento degli studenti senza disabilità. Secondo Vannacci, così come nello sport ognuno compete con avversari di pari livello, anche nella scuola bisognerebbe tornare alle classi separate, nelle quali ognuno potrebbe giovare del contesto di apprendimento adeguato alla propria performance naturale.

Al di là di quello che possiamo pensare delle opinioni di Vannacci, non è di lui che voglio parlare. La cosa che colpisce infatti è che, ultimamente, a sostenere questa tesi non sia l’unico.

Qualche mese fa lo storico Ernesto Galli Della Loggia, dalle colonne della sua rubrica “Parole Scritte” sul Corriere della Sera, affrontava lo stesso tema chiarendo ai lettori che la crisi della scuola, con il fallimento del suo ruolo educativo e la conseguente carenza nei giovani di competenze conoscitive e civiche utili al futuro, sarebbe da riferire a una scuola troppo indulgente e vittima del mito dell’inclusione. La convivenza nelle classi italiane, infatti, di ‘cosiddetti normali’ (cit.) con ‘ragazzi disabili gravi e i loro insegnanti personali di sostegno’, con studenti con bisogni educativi speciali, e infine, con sempre più numerosi ragazzi stranieri ‘incapaci di spiccicare una parola d’italiano’, sarebbero la causa dei deludenti risultati scolastici e civili dei nostri giovani.

In altro modo, ad agosto era stata Concita De Gregorio a toccare il tema delle disabilità. De Gregorio, curatrice della rubrica di “Invece Concita”, sul quotidiano La Repubblica, commentava (Il valore di un selfie) la notizia relativa al gruppo di sei ragazzi, tra i quali l’influencer e modello tedesco Janis Danner, che avevano distrutto una statua ottocentesca dello scultore Enrico Butti, mentre vi salivano sopra per farsi un selfie. Con lo scopo di descrivere il comportamento dei giovani in oggetto De Gregorio faceva il seguente parallelismo: "Allora dunque ci sono questi cretini integrali, decerebrati assoluti che in un tempo non così remoto sarebbero stati alle differenziali, seguiti da un insegnante di sostegno che diceva loro vieni tesoro, sillabiamo insieme, pulisciti però prima la bocca. Ecco ci sono questi deficienti, nel senso che letteralmente hanno un deficit cognitivo – non è mica colpa loro, ce l’hanno – e che però pur essendo idioti hanno probabilmente centinaia o migliaia di followers, non ho controllato ma non importa, è assolutamente possibile che siano idoli della comunità".

Sarebbe troppo facile prendersela con Vannacci e questo esercizio di memoria dimostra che abbiamo........

© HuffPost


Get it on Google Play